domenica 5 aprile 2015

CONFESSIONE E CONVERSIONE

Una società un po’ contradditoria la nostra. Da una parte si reclama il rispetto della privacy, ci si toglie perfino il numero telefonico dall’elenco, si vieta di dare proprie indicazioni all’ospedale, si vuole scomparire nell’anonimato, dall’altra si racconta tutto e di più di se stessi alla Televisione e sui rotocalchi. Ci si da volutamente in pasto all’opinione pubblica. Per molti la prima idea che sorge spontanea sulla confessione è quella che ha rapporto con il prete. Quindi circoscritta all’ambito religioso. Lutero al suo tempo nel 1500 sosteneva che questa prassi può diventare una tortura di coscienza anziché una terapia. Molti lamentano il fatto che quando vanno in chiesa si sentono subito accolti o allontanati con quel ripetuto invito a riflettere sui propri peccati, a chiedere perdono a Dio e ai fratelli, a battersi il petto. Insomma nessun senso di autostima, tutto nero, totale svalutazione, dell’essere umano. Altro che gioia, una sensazione di gelo. Poco tempo fa un contadino che non frequentava troppo la messa sentì apostrofarsi dal suo prete: “la tua anima è più sporca della gerla di letame che porti sulle spalle” con l’ingiunzione di andarsi a confessare al più presto. Recentemente un ex emigrato residente in Abruzzo riferiva che il giorno peggiore della sua vita era stato quello della prima comunione, perché non aveva avuto il coraggio a 9 anni di confessare un certo peccato al prete. E nella foto di quella festa appare ancora oggi cupo ed emaciato a perenne memoria del grande giorno. Ma da allora un addio definitivo ai preti e alle loro confessioni. Indubbiamente l’educazione al senso di colpa è sempre pedagogico e salutare per ciascuno uomo in via di sviluppo e in età matura. Sbaglia e fa del male a se stesso colui che sostiene essere oggi tutto lecito e che il peccato è anticaglia da archiviare. Ma il senso morboso di colpa, come spesso inculcato da alcuni uomini di chiesa, conduce solo a brutte nevrosi o a totale abbandono della prassi penitenziale. E qui vale la pena essere chiari. Nulla oggi è tanto posto in discussione come la confessione privata, un calo ed una diserzione. E non è che l’emorragia si ristagna ingiungendo ai preti di mettersi a disposizione dei penitenti (quali?). Questo rito va riveduto e corretto. Anzitutto da parte del clero. Riferiva un signore che recentemente quando entrò a confessarsi in un abitacolo di Medjugorje di sentì accogliere: ”immagino  che lei viene a confessarsi perché è andato con le donnacce.” Bel complimento. Addio per sempre. Oppure altro devoto che picchiò alla porticina penitenziale e sentì apostrofarsi: “non vede lei la luce verde? E che motivo di picchiare? ’’. Oppure c’è da rivedere la prassi degli interessati. Tipico il caso di fidanzati costretti a confessarsi la sera prima del matrimonio:” il prete mi ha chiesto se ho fatto l’amore prima di sposarmi. Immaginarsi, questi sono fatti miei.” Ma la normativa risalente al Concilio di Trento direbbe che questa confessione è addirittura sacrilega, perché si tace al tribunale di Dio un peccato grave. Vi sono poi forme diverse adottate da altri preti, come chi non confessa, ma all’inizio delle messa dopo i “Signore Pietà “ invita i fedeli ad usufruire dell’assoluzione pronunciata subito di seguito. Altri al contrario durante la messa invitano un bel numero di preti ad ascoltare le confessioni degli intervenuti allo scopo di approfittare delle loro presenza, di affrettare le cose, di risparmiare tempo come all’ammasso e di prendere due piccioni con una fava: e sarebbe confessione? Come se una messa bene ascoltata non fosse già essa stessa una confessione. A bene osservare è il metodo più semplice per squalificare tutto. Ma tant’è, così si fa quando al posto della fede ci sta il formalismo. E qui andrebbe opportuna una domanda: o l’assoluzione prima della messa vale per quello che esprime allora è confessione e perdono dei peccati, oppure è una sacra formuletta devozionale qualunque che nulla produce e allora tanto vale tralasciarla. Ne va della sincerità del rito. A questo punto non vale la pena di ricorrere alla liceità o meno del sacramento: è necessario un ripensamento e una riformulazione di fondo che si collega alla prassi di Gesu’: il quale prima che ascoltare i peccati altrui, prima che consigliare di dire i propri peccati all’incaricato parla di conversione, pentimento interiore. In genere i cattolici trovano sempre da litigare con i protestanti su questo punto. Questi affermano che la confessione al prete è un abuso d’autorità’, che a perdonare i peccati è Dio non un intermediario, e che ci si confessa direttamente con lui. I cattolici di rimando la chiamano affermazione truffa in quanto sostengono che ognuno puo’ girarsi la coscienza a piacimento come una fisarmonica. E qui stanno contrapposti due mondi diversi: quello della coerenza e quello della furbizia. Un protestante che crede fermamente a quanto afferma è certo migliore del cattolico e rende anche la sua comunità’, la sua chiesa e la società più sincera. Un cattolico invece puo’ andarsi a confessare ogni settimana e poi ti ripeterà tutte le furberia del caso. Quindi si puo’ capire anche la diversità fra le due religioni e il loro influsso in campo sociale. Da quando nel 1215 è stata “fondata” ufficialmente la confessione privata e nel 1560 resa obbligatoria la confessione al prete non è che la cattolicità italiana sia diventata più etica e più morale. Mentre fa riflettere invece come il mondo protestante con il suo prendere sul serio la propria coscienza e confessandosi prima di tutto e direttamente a Dio che scruta ogni cuore umano abbia acquisito se non altro maggior rispetto verso il prossimo, senso civico e legali.

Autore:
Albino Michelin
Anno 2015

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