mercoledì 1 aprile 2015

A UNA DONNA ISLAMICA IL NOBEL PER LA PACE

E' stata una sorpresa per tutti venerdì 10 ottobre 2003. E perché si tratta di una donna, e perché islamica, e perché residente nel mondo degli ayatollah, e perché a tutti sconosciuta: Shirim Ebadi. Ma tant'è la giuria di Oslo in Norvegia ha preferito questa iraniana, giudice e avvocatessa, anni 56.
Per una esauriente comprensione di tale riconoscimento va premessa una breve introduzione: Alfred Bernhard Nobel (1833-96) fu un chimico svedese che inventò la nitroglicerina da cui la dinamite con il potere di aumentare le armi di distruzione. Resosi conto del danno che le sue invenzioni avrebbero causato e quasi pentitosi costituì la fondazione di un premio annuale nell'ambito della fisica, della chimica, della medicina, della letteratura, della pace da assegnarsi a coloro che avrebbero dato eccezionali contributi in tali settori.
Molti sostengono che la scelta 2003 sia una delle migliori degli ultimi anni in quanto premio dal valore altamente simbolico, stimolo a nuove premesse, incoraggiamento per altre promesse. Anzitutto è una donna, difficile quindi riuscire a farsi rispettare e a rendersi credibile in un ambiente di imperante maschilismo, di aberrante vilipeso femminismo. Giudice già dai tempi dello Scia, Ebadi non porta lo chador in testa e stringe la mano a tutti gli uomini. Non esce e non fugge dal sistema, ma vuole combatterlo e cambiarlo dal di dentro. Istituisce un telefono azzurrò speciale per difendere i diritti dei minori e delle donne divorziate affinché dopo la separazione e l'abbandono vengano concessi loro gli alimenti. Conosce bene il Corano e lo vive in profondità proclamando: "leggete bene il Corano e dentro con ci troverete nulla contro i diritti umani “. Sa Coniugare molto bene Corano e diritti umani, Corano e dignità della donna, Corano e democrazia, ·Corano e rispetto delle diverse fedi religiose. E' docente di diritto a Teheran, la capitale iraniana, dove; apre un ufficio di consulenza con 500 collaboratori, fa la scrittrice, la giornalista, in permanente alternativa e dissenso contro il potere. Subisce un periodo di carcere per aver difeso in qualità di avvocato gli oppositore al regime che ne denunziarono i servizi segreti. Lotta per una difficile transizione, cioè dalla teocrazia allo Stato di diritto. E in un mondo di violenti lo fa in un modo non violento. Islamica, vuole dimostrare che non esiste una inconciliabilità fra il Corano ed il Vangelo, che anzi sono convergenti. Vuole testimoniare a tutti che l'lslam può essere come il Cristianesimo compassionevole ed umano. Risposta a chi considera incompatibili due libri sacri, le due culture ed inevitabile lo scontro fra le civiltà. Se in determinate aree islamiche vengono violati i diritti dell’uomo, dei minori, della donna, delle democrazie la colpa non è della religione, ma dei politici che la sfruttano a loro interesse. Cattolici e occidentali non possono che congratularsi. Certo nessun premio per la pace, neppure un Nobel, è astrattamente disinteressato e neutrale. Esso privilegia una persona, di un certo ambiente, con determinati obbiettivi, con universali apprezzati valori morali. In una certa area del mondo cattolico di casa nostra non è mancata la delusione né qualche mugugno. Si sa che fra i 165 candidati era stato dal Vaticano incluso e caldeggiato anche Papa Wojtyla. Pure i nostri maggiori quotidiani e da tempo avevano iniziato con il loro tamtam a sostenere la premiazione. Persino le agenzie di scommesse avevano dato 5-2 a favore del pontefice. All'inattesa nomination della Ebadi sono subito emerse tre tipi di reazioni. La prima quella della Giuria di Oslo, la quale, quasi scusandosi, concordò che sì il Papa era uno dei candidati, ma essa si è fatta guidare da altri criteri. In pratica quelli da noi su esposti.
La seconda reazione proveniente dall'ala conservatrice del mondo cattolico che ha considerato l'esclusione di Giovanni Paolo il frutto del pregiudizio antipapista del protestantesimo scandinavo, mondo freddo e sospettoso verso il Vaticano. Losche manovre perpetrate dai luterani per i quali il dovuto riconoscimento a questo Papa sarebbe stato considerato come premio all'intera chiesa cattolica.
La terza reazione è quella filtrata dallo stesso Vaticano. Diplomaticamente fa capire che si tratta di una sconfitta, e di una sconfitta ingiusta ai danni di Wojtyla. Strano, però. Subito poi il tiro 'viene corretto affermando (e qui siamo d'accordo) che il Papa sta al di sopra dei premi e riconoscimenti umani, non necessita di incoraggiamenti, una donna musulmana ha più bisogno di tale onorificenza. Che rispondere a queste tre osservazioni? L’ultima potremmo archiviarla agli atti affermando che Papa. Vescovi, preti impegnandosi per la pace non fanno altro che il loro dovere. Come dice il Manzoni:” i soldati è loro dovere fare la guerra.” E per noi” Gli ecclesiastici è loro mestiere fare la pace.” Lo stiamo a conclamare e cantare in tutte le musiche e in tutte le messe cattoliche:” Gloria a Dio e pace in terra agli uomini di buona volontà’…agnello di Dio dona a noi la pace…scambiatevi un segno di pace…la pace sia con voi” E’ tutto un rituale d’obbligo. Ci basta uno stipendio mensile, non vogliamo metterci anche un premio. Certo che in questo periodo di overdose TV per il giubileo papale e per la nuova aristocratica tornata di 31 cardinali siamo presi dalla tentazione della chiesa pigliatutto. Le mani sulla città mediatica, sulla carta stampata ti fanno venire la tentazione di porre il culto cattolico al centro dell’universo come verità assoluta. E con esso il diritto ai primi posti della vita sociale. A Pietro che scendendo dal Monte Tabor importunava Gesu’ perché si mostrasse a tutti come il Messia vincente, Gesu’ rispose:” vai lontano da me, Satana.”  Meglio dunque avere attribuito un premio Nobel a una donna musulmana che ha fatto della pace una scelta personale ananziché a chi della pace deve avere un obbiettivo di obbligo professionale. Sulla seconda osservazione: la candidatura del Papa quale premio Nobel per la pace veniva giustificata dall’impegno profuso contro la guerra in Iraq. Questo ci trova consenzienti. Però alcuni fanno osservare che totale è stato questo impegno, ma alquanto tardivo e quindi scontato. In effetti rombi di motori stavano per decollare dagli Usa già nell’estate del 2002; il no papale chiaro e netto senza no e senza ma alla guerra irachena è stato espresso solo il13 gennaio 2003, cioè in occasione delle varie ambasciate presso il Vaticano, due mesi prima della dichiarazione ufficiale. Mentre nella visita papale al parlamento italiano del 14 novembre 2002 con la maggioranza di ronzini scalpitanti ad invadere o liberare l’Iraq, nella pubblica conversazione di avvento del 10 dicembre, negli auguri natalizi del 25 dicembre, si è parlato con tono accorato ma generico di pace, preghiere per la pace, condanna di ogni belligeranza. Solo dopo il 13 gennaio l’impegno del pontefice si fece totale con l’nvio di suoi messaggi presso Saddam e presso Bush. Ma ormai i giochi erano fatti, i dadi erano tratti. Indubbiamente motivi diplomatici di forza superiore, ma che forse si sono rivelati decisivi nell’attribuire o meno il premio Nobel al capo della cattolicità’.
La giuria premio Nobel di Oslo è composta pure di donne. Orbene si sa che una buona parte del mondo femminile non condivideva la posizione di quel pontefice sulla condizione femminile. Il suo no ai contracettivi, al controllo delle nascite, al divorzio, ecc. E tale no viene considerato lesivo dalla dignità delle donne, ai loro diritti, e quindi alla pace. Non è certo per questo che Wojtyla deve cambiare linea o idea. Però delle due l’una: o prendere o lasciare. Egli ritiene secondo coscienza di stare dalla parte della severità morale? Giustissimo. Allora nel caso non possiamo pretendere il premio Nobel secondo quel criterio adottato dall’attuale fondazione. Il Nobel è andato ad una donna islamica a significare che i messaggi di pace non conoscono oggi frontiere di razza, di cultura, di religione. E questo grazie alla iraniana Shirim Ebadi.

Autore: Albino Michelin
Data 31.10.2003

Nessun commento:

Posta un commento