martedì 21 aprile 2015

SHALOM, QUALE PACE FRA ISRAELE E PALESTINA

Dopo 38 giorni di assedio nella Basilica della Natività in Betlemme ad opera di militari palestinesi, finalmente il 9 maggio 2002 si è convenuto che i 13 terroristi supposti tali da Israele, vengano esiliati in Spagna, Italia, Austria, Grecia e Lussemburgo. Fino a qualche mese fa si può dire che l'opinione pubblica europea e la civiltà occidentale era ·schierata quasi totalmente e sempre a favore di Israele e contro i palestinesi, razza araba e imprevedibile. Attualmente l'ago della bilancia sta spostandosi e molti in effetti cominciano a porsi dei dubbi e a prospettare soluzioni diverse da quelle della forza e delle armi. Il buon senso della gente comune sostenuto anche da considerazioni d'ispirazione cristiana e viceversa comincia a prospettare soluzioni chiare e precise. La via della pace in Palestina è una sola: quella che passa attraverso la fine dell'occupazione israeliana nei territori e la creazione di uno stato palestinese all'insegna del motto: "due popoli, due stati". Il meccanismo azione-reazione, attentato-repressione non fa che aumentare la spirale dell'odio. Partiamo dalla situazione attuale, nella prospettiva di una futuro basato sulla convivenza.  Lo Stato d'Israele esiste, ha il diritto di esistere e di vivere nella sicurezza. Lo Stato palestinese non esiste ancora e ha il diritto di esistere e di vivere pure lui nella sicurezza. Lo Stato d'Israele occupa territori che appartengono ad altri. l palestinesi hanno il diritto di vedersi finire l'occupazione militare israeliana dei loro territori imposta nel 1967 e di crearvi un loro Stato Indipendente. Fintantoché l'occupazione dura hanno il diritto e il dovere di reclamare la loro terra e la loro libertà e di portare avanti la resistenza per arrivare a questo scopo. Vediamo che la radice del conflitto non è fondamentalmente una questione di terrorismo palestinese che minaccia la sicurezza e l'esistenza dello Stato d'Israele. Alla base si trova l'occupazione militare israeliana che provoca la resistenza palestinese e questa a sua volta è percepita come una minaccia per la sicurezza d'Israele. Continuare a parlare di terrorismo palestinese senza vedere il diritto dei palestinesi alla libertà e alla fine dell'occupazione equivale a rifiutare ogni soluzione. Per mettere fine all'effetto, cioè alla violenza globale bisogna eliminare la causa, che è l’occupazione militare. Se no il ciclo di violenza continuerà e da entrambi le parti, innocenti e combattenti continueranno ad essere uccisi. Affermare   che la violenza   da parte palestinese è di tipo terroristico e quella da parte israeliana un diritto alla legittima difesa rende inutile qualsiasi dichiarazione e impossibile la cessazione della violenza. Che cosa vogliono i palestinesi? Vogliono la loro libertà, la loro terra, il loro Stato indipendente. Che    cosa    vogliono    gli    israeliani? Vogliono la loro sicurezza, all'interno di frontiere rispettate, al riparo da ogni attacco e da ogni minaccia: le due esigenze sono interdipendenti. Ma invece di mettere fine all'occupazione il Governo israeliano la mantiene e utilizza i mezzi, rappresaglie   e   guerra dichiarata, che portano proprio all’opposto della sicurezza, anzi all'aumento delle reazioni e della violenza da parte palestinese, e quindi ad una sempre maggiore insicurezza per gli israeliani. Cosi la spirale della paura e di rancore non avrà mai fine. Perché gli israeliani non si decidono a compiere questo passo verso la pace? In effetti fare la pace   dipende   soprattutto   da   loro. Perché Israele rifiuta fino ad ora di restituire ai palestinesi i territori occupati nel 1967, che sono solo 5.000 kq, vale a dire il 22% di tutta la Palestina storica, della quale Israele copre il 78%   dal 1948? Israele coltiva ancora il sogno di appropriarsi di tutti i territori palestinesi, ma senza i palestinesi?  Dopo quasi 100 anni di conflitto è tempo di riconoscere che questo sogno è impossibile. Oggi ci sono 3 milioni di palestinesi nei territori occupati. Bisogna che Israele accetti di trattare con questa realtà, non eliminandola o porla sotto il sistema di apartheid. O forse   Israele non ha fiducia dei palestinesi o che in uno stato indipendente possano diventare dei vicini pacifici?  E' un sospetto non fondato! Le manifestazioni dell’ostilità palestinese nel tempo attuale non sono dovute ad una viscerale odio contro il popolo israeliano ma l'espressione della resistenza di un popolo a ciò che esso considera come un tentativo di sottrazione e di espulsione dalla sua terra. Una volta eliminata questa minaccia l'ostilità cesserà. Guardando al futuro le previsioni sono chiare. Israele vivrà sempre circondato da paesi arabi, compresa la Palestina. Fino ad oggi egli non è riuscito ad allacciare relazioni normali con loro.  La pseudo mentalità dell’Antico Testamento di considerarsi l'unico popolo eletto che per sentirsi tale ha bisogno di eliminare tutti gli altri e le loro false divinità è forse ancora troppo radicata nella sua psicologia collettiva. Qui fra Jhawé degli ebrei e Allah dei musulmani non c'è diversità rilevante. La politica seguita da Israele e dalla comunità internazionale, con il pretesto di proteggere il nuovo Stato d'Israele mante­ nendo l'ingiustizia commessa contro i palestinesi, ha suscitato e conservato atteggiamenti   di odio   in tutti   i paesi arabi.  Se si vuole proteggere qualcuno non lo si circonda di nemici, ma di amici. Bisogna dunque cambiare politica al fine di trasformare i paesi vicini in paesi amici. Questa   trasformazione    non   è impossibile, basta rendere giustizia ai palestinesi, mettere fine all'occupazione e creare un loro Stato. Solo cosi Israele circondato da vicini amici vivrà   nella sicurezza voluta. La proposta dell'Arabia Saudita di concludere una pace generale con Israele, adottata dal summit arabo europeo del marzo 2002, è un segno ed un invito per Israele: i paesi arabi sono pronti a fare la pace con lui, Stato e popolo. Queste considerazioni vanno un po' contro corrente, cioè non sono molto in sintonia con le nostre preferenze fin'ora coltivate. In effetti noi italiani, europei, genti dell'occidente ci siamo in genere schierati per Israele in quanto è uno Stato filoamericano. E noi abbiamo avuto e tutt'ora nutriamo, anche se con una serie di interrogativi in aumento, molta sudditanza psicologica nei confronti degli Usa. Il grido lanciato dai nostri leader dopo l'attentato dell'11 settembre 2001 "Siamo tutti americani", non si è ancora spento, ma solo attenuato. Sta però lentamente affiorando nei nostri discorsi il dubbio che nella questione del Medio oriente americani ed israeliani non hanno dalla loro parte tutte le ragioni e i palestinesi tutti i torti. Dubitare delle proprie sicurezze è l'inizio della saggezza e quindi il primo passo verso la pace in un territorio sempre in guerra da che mondo è mondo, Da Adamo ai giorni nostri.

Autore:
Albino Michelin
08.06.2002

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