martedì 28 aprile 2015

ARMI ITALIANE VERSO "STATI CANAGLIA"

Si dice che la storia è maestra di vita. In parte può essere vero, come logica di tutti i proverbi, in parte non lo è affatto. In effetti da anni in materia d'armi e d'armamenti la storia non sta proprio insegnandoci niente. La vicenda dell'Iraq inizio secolo ha mostrato l'agghiacciante paradosso di un paese, gli Stati Uniti, che dopo di averne armato un altro (l'Iraq appunto), decide dichiarargli guerra proprio perché a sua volta in possesso di strumenti di distruzione. Ma guardiamoci dentro a casa nostra. Il 3 giugno 2003 la Camera dei deputati ha dato l'addio alla legge 185 che risaliva ancora al 1990, apportando una sostanziale modifica all'industria bellica con 225 si, 115 no, 20 astenuti e 186 assenti. Una nuova legge che ci riporta indietro di 15 anni. D'ora in poi anche in Italia avremo la liberalizzazione del commercio d'armi da guerra. Verrà eliminato il certificato d'uso finale, cancellato l'obbligo del governo a presentare una relazione annuale sulle esportazioni autorizzate, allargata a dismisura la rosa dei possibili paesi acquirenti che da oggi comprende anche quelli dove vengono violati i diritti umani purché in modo non „grave “(?). Così il nostro paese s’inserisce nel nuovo clima internazionale che considera la guerra come normale strumento di controllo e di risoluzione dei conflitti. Una norma dunque che cancella ogni principio etico e consente ai nostri produttori d’armi di muoversi senza nessun tipo di controllo. Così senza saperlo potremo diventare complici di barbare repressioni, sanguinose rappresaglie, azioni di morte che violano i principi cui la nostra costituzione si ispira. L’accettazione della guerra preventiva a cui milioni di persone in ogni parte del mondo si sono opposte porta con sé non solo un esasperato concetto di difesa, ma anche l’idea che con la forza delle armi si possano imporre storia, cultura, forme di governo. E’ la legge del mercato gonfiare il proprio portafoglio. E secondo le leggi del mercato non vanno soddisfatte solo le richieste, ma va anche indotta ed educata la massa umana, che le armi ancora non le sa usare, ad acquistarle e diventarne dipendenti. D’ora in poi in Nigeria ci ammazzeranno con fucili e pistole beretta delle nostre valli bresciane e noi non lo sapremo. Come non sapremo quante ne finiranno in Cina o in Algeria. I paesi sotto embargo per gravi violazioni ai diritti umani anch'essi potranno ricevere le nostre armi, ricorrendo al trucco delle triangolazioni, facendo cioè passare il carico attraverso un paese destinatario legittimo della merce. Nel 2002 il nostro commercio d'armi è aumentato del 6% con l'introito di 920 milioni di euro. Negli anni seguenti sarà molto più alto, ma conoscerlo sarà impossibile.
                                                 Mercanti d’armi, vergogna Italia
Una volta noi si era famosi nel mondo per il mercato della seta e di pregiati prodotti artigianali.  Oggi esportiamo strumenti   di morte. Non versiamo lacrime di coccodrillo, non facciamo commedie di commiserazione sugli americani morti alle Torri gemelle, non agitiamo pugni di vendetta contro gli arabi kamikaze e contro il terrorismo: quella gente usa e userà sempre di più anche armi italiane. Questo è il messaggio di pace esportato da un popolo e da una nazione cattolica, piena di santi, di madonne e ossequiente al papato. Questi sono i risultati dell’abolizione della legge 185. Che essa sia stata in parte votata anche dalle sinistre, il cui scopo sarebbe quello di difendere i diritti dei deboli e non i diritti del profitto e del capitale, qui non ci interessa. Non siamo alla difesa di qualche partito, ma alla difesa della politica con il P maiuscolo, che significa difesa e costruzione della polis, cioè della città e della convivenza civile. E nel caso avrebbe ragione un P. Zanotelli quando sostiene che di fronte a questo tradimento dei politici italiani bisogna ripartire dalla società civile organizzata che dovrà diventare sempre di più soggetto politico. Indubbiamente questa legge è una bella botta al movimento pacifista, specialmente quello portato avanti dai vari missionari impegnati nel terzo mondo. Ma poiché esso nella sua parte migliore è animato da programmi a onda lunga piu’ che di immediato successo non si indigna di fronte a tanta indecenza e propone due obbiettivi, parziali certo, ma nella direzione di una giusta riflessione ed impegno.
1) Ripensare ad una riconversione dell'industria bellica. In effetti le migliaia di operai dipendenti in tale settore dovrebbero venir dirottati altrove. Cosa non facile, né di immediata attuazione.
2)  Appoggiare la proposta Lula, presidente del Brasile, al G8 di Evian organizzato all'inizio di giugno 2003: "una tassa sul commercio di armi per finanziare la lotta contro la fame nel mondo “.
3)  La chiesa italiana attraverso   le sue gerarchie esprima pubblicamente il disappunto di molti cattolici per questo sconcertante metodo di garantire le nostre finanze.
4) Non disdegnare un referendum in materia nonché la disubbidienza fiscale contro l'impiego delle nostre imposte alla costruzione di armi e di materiale bellico.
Molti riterranno utopia queste proposte: vengano almeno considerate come ipotesi di lavoro per non doverci trovare sempre vita natural in permanente stato di guerra.
                                                    Armi italiane nel mondo
Stato/commesse/milioni di euro: Spagna/46/26; Kuwait/10/83; Francia/19/66; Cekia/2/49; Sudamerica/?/41; India/30/37; USA/56/36; Germania/33/30; Arabia Saudita/8/29    

Autore:
Albino Michelin
20.06.2003

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