venerdì 16 ottobre 2015

UN'OCCASIONE MANCATA: LE DIMISSIONI DEL PAPA

Morto un papa se ne fa un altro, sembrava fino a ieri uno slogan scontato. Invece da quando (e precisamente da venerdì 7 gennaio 2000) il Vescovo Lehmann primate di Germania si è permesso di sollevare indirettamente il problema si è data la stura ad un finimondo. Altro che sasso nella piccionaia. Non solo nei media di estrazione cattolica, ma anche nei quotidiani politici di ogni tendenza, cuor solo ed anima sola nell'ossequio verso la gerarchia per un pugno di voti, si è assistito ad una levata di scudi, è tornato redivivo lo spirito delle crociate. Anzitutto, per partire dalla fonte, Lehmann non ha proferito nulla di irriverente. Nel suo pragmatismo nordico, totalmente carente nella popolazioni latine dove tutti parlano e nessuno dice, in un'intervista in TV ha espresso semplicemente il suo pensiero in merito: "Credo che questo papa, nell'ipotesi si trovasse impari al suo compito per motivi di salute, avrebbe il coraggio di dimettersi''. Non c'è qui da ravvisare nessuna combine, né corni, né bicorni, né malaugurio, né programmi di blitz ai danni del trono pontificale. È una constatazione normale nei confronti di persone umane (ed il papa è pure un uomo) investite di un ruolo pubblico. Il Papato appartiene pure ad un incarico rappresentativo, tanto più alto tanto meno esente da giudizi, apprezzamenti e considerazioni. È Gesù stesso ad invitarci ad un giudizio in merito: "dai frutti conoscerete la pianta". Ma in Italia non è così. Si sa che noi italiani preferiamo strisciare e stordire l'autorità con aggettivi, qualificativi, appellativi pluriornati, salamelecchi, cerimoniose piroette, servilismi e (perché no, diciamocelo) ruffianate. Salvo poi a fregarcene alla prima occasione. Il fatto stesso che anche l'attuale Papa venga osannato nel folclore intercontinentale e poi registri così profondo dissenso sommerso in fatto di fede e costume ne è una dimostrazione.  Ma tant'è: qui il "rozzo" e barbaro Lehmann, giudicato triviale dai nostri guardiani del tempio, ha superato ogni limite. Sacrosanto quindi il lenocinio popolare contro questo teutonico usurpatore, nostalgico erede degli Ottoni invasori, che si è permesso di deturpare la nostra romano centrica chiesa universale. Il Vescovo di Como Maggiolini definì l'intervista: "aggressione di cattivo gusto". E dalle più alte sfere vaticane all'ultimo uomo della strada tutti in coro a suonare le corde della più lacrimosa compassione.
Riassumo alcuni stralci: " ... Il papa sta bene, anzi benissimo ... Santo Padre grazie per la Sua vecchiaia, Lei Santità è giovanissimo più di tanti noi giovani. Padre, ... Paternità non si rinuncia, il Papa risponde solo a Gesù Cristo ... Il suo è un ruolo unico, nessuno può decidere per lui, spetta a Gesù ... Non c'è posto per un papa emerito ... Povero papa, ridotto a unità produttiva fra padroni e sindacati ... Ruolo incomprensibile per chi non ha la fede ... Il Signore non chiede prestazioni superiori alle nostre forze, lui stesso ci dà le forze per compiere ciò che domanda ... La potenza del Signore si manifesta nella debolezza dell'uomo .” E avanti con tutta una serie di espressioni, che collocate al loro posto avrebbero un significato coerente, ma stralciate così hanno solo il sapore di fiorellini devozionali. Un'intervista del genere non deve restare sul piano delle occasioni mancate ma offrirci l’input di una riflessione sul piano culturale. L'intervento di Lehmann, o provocazione vera e ridimensionata, ha fatto il giro del mondo e pone al papato degli interrogativi, di cui alcuni di pubblico dominio, altri totalmente inediti.
Il primo concerne il fatto delle dimissioni papali lungo la storia. Il caso di Celestino V (13.12.1294) ritornato nel suo eremo abruzzese è il più eclatante. Però anche di recente Giovanni XXIII ha lasciato scritto che in caso di malattia incurabile preferiva dimettersi: ma ne venne a conoscenza solo due giorni prima della morte (1956). Anche Paolo VI nel 1966 nel Castello di Furnone dichiarò pubblicamente che teneva lui stesso in considerazione tale eventualità. Perfino Papa Wojtyla, che si è sempre dichiarato in buona salute (almeno all’apparenza) nel Codice di Diritto Ecclesiastico da lui pubblicato nel 1983 ha inserito due canoni: il 332-335 in cui viene a sfatare il tabù delle sue stesse dimissioni che possono benissimo capitare in caso di impedimento ad esercitare il suo ufficio, se liberamente espresse e debitamente manifestate. In secondo luogo, se vogliamo basare il ruolo papale sul Vangelo di Gesù come sarebbe di dovere, allora le cose si chiariscono ancora meglio. Tale ruolo si fonda non tanto sulla persona, ma sulla fede della stessa, e può essere esercitato come servizio provvisorio e temporaneo. In effetti Gesù disse a Pietro: ''Tu sei Pietro e sulla fede di questa pietra io edificherò mia Chiesa". Ma non molto più tardi il Signore scendendo dal Monte Tabor gli fece la seguente rampogna: "Vai indietro da me Satana perché non sai di che spirito sei". Che lungo la storia vi siano stati papi "fedeli" che han salvato la barca della chiesa nessun dubbio. Come d'altronde non bisogna dimenticare che ve ne sono stati altri di "infedeli" che le hanno fatto correre rischi indescrivibili.  Per cui va dato ragione a certi storici che affermano avere il Signore salvato il suo popolo non sempre per merito del papato, ma nonostante il papato. I numeri ci dicono che su 263 Papi 46, cioè un 18%, hanno tenuto un comportamento inguardabile ed altri furono tolti d'autorità per le loro idee tutt'altro che ineccepibili. Quindi abbiamo avuto nel tempo papi che si sono dimessi o per mancanza di volontà o per mancanza di fede ed altri che hanno  esercitato la loro funzione solo ad tempus, a dimostrazione che tutto questo polverone sollevato attorno all'intervista di Lehmann a difesa del ruolo indimissionabile del papa storicamente non regge. Stampa o TV cattolica o nazionale che a bella posta tace su queste informazioni non fa un buon servizio alla verità e si rende correa di "occasione mancata". Un ulteriore argomento va poi portato a conoscenza del pubblico. Da oltre 30 anni esiste una prassi per cui Vescovi (Canone 401,1) e Parroci  (538,3) al 75° anno d'età devono dare le dimissioni da ruoli direttivi nella chiesa.” Ovviamente il motivo risiede nella scontata fisica impossibilità ad espletare i loro compiti professionali. Ora lo stesso discorso dovrebbe o potrebbe valere anche per il Papa. La motivazione contraria, riportata da alcuni, cioè che il Papa ha sposato la chiesa e quindi solo la morte ne può estinguere il connubio è per nulla convincente, perché anche un vescovo da parte sua ha sposato la diocesi e anche un prete s'è coniugato con la parrocchia e tali dovrebbero rimanere finché morte non separi. Però a 75 anni devono fare le valigie, ritirarsi in un ricovero, entrare nel mucchio dei pensionati o fare i cappellani in un convento di suore.
Se tutto ciò suona logico e non irriverente per i comuni ecclesiastici, altrettanto lo potrebbe essere anche per il promulgatore e il garante di tale legislazione. E aggiungasi anzi che di fronte al mondo dei non credenti sarebbe un gesto di grande valore laico. Come dire: "anch'io Papa sono uomo fra gli uomini, uomo come voi". C'è poi l'ultima affermazione, cioè "che il Papa risponde solo a Gesù". Per carità evitiamo di scappare per la tangente, evitiamo anche solo la parvenza di idolatrie e fanatismi. Perchè ciascuno di noi, e non solo il Papa, deve in ultima analisi rispondere a Dio, a Gesù Cristo, alla sua coscienza. E qui è lo stesso Papa Wojtyla a venirci incontro, in un documento del 31.5.1995 (Ut sint unum) in cui desidera lumi dal popolo di Dio per gestire in forma più democratica il suo primato. Ed è basandoci su questa premessa che noi riteniamo che egli, come tutti gli uomini rivestiti di pubblico potere, non ha da rispondere prima di tutto o soltanto a Gesù Cristo, quanto piuttosto anche alla comunità dei credenti. Un caso eclatante, e per niente eccezionale a proposito, ma che nessun oratore sacro o TV cattolica ha mai rammentato, lo si ebbe a constatare nel Concilio di Costanza (1415) allorché l'assemblea ecclesiale, o sinodale che dir si voglia, decise di deporre tre papi (Gregorio XII, Benedetto XIII e Giovanni XXIII), il cui nome venne ripreso da Roncalli nel 1958, ed elessero Papa Martino V, il quale accettando l'incarico, legittimò la superiorità del Concilio o del Popolo dei Credenti sul Papa stesso. Abbiamo qui cioè una serie di dimissioni in cui il Pontefice non si appella a Gesù Cristo, ma sottostà alla Chiesa di Gesù Cristo. Dispiace che nemmeno i frequentatori abituali della messa domenicale siano mai stati edotti in materia. E con tale sottocultura programmata quanto avanti vogliamo andare nella corresponsabilità di chiesa? In tutta questa vicenda non va dimenticato un doveroso ringraziamento. Un grazie grande e sincero alla chiesa cattolica tedesca nel caso interpretata dal suo primate Lehmann. Certi diplomatici sono pronti a ricordarci che attualmente non corrono ottimi rapporti fra quella chiesa e il vaticano. Infatti risale solo al 20.11.99 il triplice diktat del papa ai vescovi tedeschi: ritiro dai consultori abortisti statali, no alla democratizzazione della chiesa, infallibile no alla donna prete. Chiaro segnale inoltre di tutto ciò è il fatto che dal 1984 Roma non ha mai scelto nessun cardinale tedesco.  Ma l'episcopato di quella nazione va oltre a quest'ultima bagatella. La forza di questa chiesa ha radici molto lontane e molto profonde, la fortuna di avere avuto un Lutero, un protestantesimo con cui confrontarsi e dialogare, la divulgazione della Bibbia fra il popolo, università di teologia per laici, dibattiti televisivi sulla fede condotti da uomini e donne sposati. Realtà tutte che in Italia si sognano di notte.
La vera cultura che i nostri esperti in materia possiedono la devono tutta o quasi alle ricerche protestanti o cattoliche dei tedeschi. La nostra cultura in patria è troppo clericale, ripetitiva, divulgativa: poco o nulla creativa. L'uscita di Lehmann si inquadra in questo contesto di corresponsabilità nella chiesa. E si ricollega con il precedente intervento del Cardinal Martini di Milano (7.10.99) in cui si auspica la convocazione di un grande concilio mondiale, per confrontarsi insieme sui grandi problemi, implicito il fatto che l'attuale pontefice è superato da un mole di attività planetaria, oltre le sue possibilità. Purtroppo c'è un limite a tutto, anche al Papa. Questi sono i grandi temi che sottostanno alla "boutade' di Lehmann del 7.1.00: per nessuno restino delle occasioni mancate!

Autore:
Albino Michelin
10.02.2000


NOTE DI LETTURA DI P.A. PEROTTI C.S., DOTT. IN TEOLOGIA, DIRETTORE DEL SERVIZIO SOCIO-PASTORALE IN LUSSEMBURGO.

1) La reazione espressa da A. Michelin in questo articolo raggiunge in sostanza le reazioni di diverse persone che ho letto nella stampa in Lussemburgo.
2) Reazioni che provengono da ambienti cattolici, che condividevano il parere del primate di Germania Card. Lehman, così come era stato espresso di fatto nella sua intervista.
3) Condivido la posizione di A.Michelin nella sua sostanza. Ritengo che un minimo di informazione storica debba essere assicurata se non si vuole fra mezzo secolo chiedere perdono per avere lasciato vivere i credenti in una ignoranza ottusa, senza diritto di parola. Quella di A.Michelin, sebbene controcorrente, fa parte di quelle prese di posizione coraggiose che diventano oggi sempre più rare nell’ambito della chiesa. (Triuggio (MI) 23.2.00)

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