domenica 11 ottobre 2015

BENESSERE DELLA VITA: IL VANGELO COME TERAPIA

È il sottotitolo di un libro di 166 pagine accessibile e popolare edito nel 1998 dalla S. Paolo a cura del dott. R. Chiavarino missionario in Svizzera che sì è preoccupato di comporre in opera unitaria e coerente il numeroso materiale rimasto incompiuto per la prematura morte dell'autore, di quel grande psicoterapeuta che fu Pietro Balestro (1938-94), sacerdote, docente in parecchie università italiane. Non è un libro a carattere teorico né devozionale, ma un vero vademecum della salute se per essa intendiamo benessere fisico, psichico e spirituale ad un tempo. Sappiamo che nell'ultimo secolo il Vangelo è stato letto ed affrontato da parecchi punti di vista, da quello letterale a quello filologico, semantico, teoria delle forme, storico, simbolico, mitico, politico, marxista, della Liberazione anche a seconda delle varie aree geografiche. Oppure da un punto di vista categoriale, come dei bambini, dei giovani, degli adulti, degli anziani, ecc. Oggi la nostra società sente il bisogno di avvicinarsi al Vangelo con altri intenti ed interessi, in modo particolare per ricevere una risposta al bisogno di senso esistenziale.
Questa pubblicazione si può collocare nella vasta produzione contemporanea, purtroppo ancora soltanto privilegio degli addetti ai lavori, che affronta il Vangelo dal punto di vista della psicologia del profondo e della psicoterapia, tra cui emergono i poderosi studi del contemporaneo E. Drewermann, teologo e psicoterapeuta tedesco. "Vangelo come terapia" si preoccupa soprattutto di sgomberare il terreno facendo un'importante distinzione tra fede e religione. La prima appartiene allo spazio della propria interiorità, la seconda invece all'ambito esteriore e sociale concernente il complesso di riti, preghiere, celebrazioni, precetti, con tendenza ai deterioramenti nelle medagliette, nei cornetti e nei santoni. È raro il caso che una fede interiore rimanga slegata da una religiosità esteriore, mentre è molto più frequente il caso contrarlo, cioè di gente "religiosa" che non ha nessuna fede. Il fatto di certe persone senza Dio e senza prossimo che si esibiscono ossequienti alle gerarchie ecclesiastiche onde ottenere il consenso ai loro affari ne è una prova. In questo senso il giudizio che oggi abbiamo "tanta religione e tanta chiesa ma poca fede" non sarebbe poi così lontano dalla verità. E' paradossale ma sintomatico constatare come lo stesso Gesù addita quale ostacolo alla pienezza di vita certo modo di intendere la religione, allorché considerata automatica dispensatrice di salvezza legata a magiche ricette, a tempo e luogo cadenzate. Atteggiamento infantile e regressivo, come pretendere di raggiungere la luna mettendo una scala sopra l'altra. Qui dunque, nel nostro studio, non ci si interessa del fatto religioso, né della sua interpretazione né della sua collocazione nei confronti delle diverse religioni esistenti. Interessa la risonanza del messaggio evangelico nell'esperienza quotidiana, per cui il titolo potrebbe anche equivalere a "Fede come terapia". Un altro aspetto che emerge oggi da questa e da tutta la vasta letteratura religiosa in merito è che il nostro Cristianesimo occidentale presenta sottolineature troppo maschili, razionali, dogmatiche, normative, eteronome ed eterologhe (cioè con principi che piovono dall'alto o dall'esterno), legaliste, codicillose. Vale a dire è poco femminile, poco affettivo. Indubbiamente qui si constata subito la mancanza della donna nella formazione della nostra civiltà. Forse, o di certo, la sua presenza avrebbe selezionato nella Bibbia stessa tratti meno guerreschi e meno violenti: meno testa e più cuore. Questa osservazione ci ricollega subito ad un fatto del giorno (10.2.99), al pronunciamento della Corte di Cassazione nei confronti di un imputato accusato di violenza carnale nei confronti di una diciottenne di Potenza. Assolto perché la ragazza indossava jeans e tale tipo di pantaloni non si può sfilare senza in consenso della donna. E' nota la canea e la rivolta scatenata dal mondo femminile con il conseguente sciopero della gonna, a scopo di protesta. Ovvio che se alla Corte di Cassazione si fosse registrata un'adeguata presenza delle donne il verdetto sarebbe stato diverso. Come dire, quando alla legge manca il sentimento. E, volendo aprire una finestra sul mondo, lo stesso fenomeno dilagante delle religioni o sette giovanili New Age, carismatiche, apocalittiche, con largo spazio alla donna-sacerdotessa, forse dimostrano il bisogno dell'irrazionale, cioè del sentimento e dell'affettività! Potrebbe rappresentare una reazione all'interpretazione troppo celebrale e maschile del nostro Cristianesimo. Nel "Vangelo come terapia" i coautori Balestro-Chiavarino mettono in risalto come tutto il suo messaggio sia un inno alla vita, vita che irrompe da ogni dove, secondo il detto di Gesù: "sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiamo in abbondanza" (Giov. 10.10). In molti di noi c'è la paura di vivere, di spalancarsi alla vita per timore di perdere qualcosa, una ritrosia esagerata della novità che conduce non di rado ad una esistenza grigia e senza slancio, incapaci di godere il presente. Così la paura di vivere ci spegne la vita. In molti di noi è radicato il complesso di Peter Pan, la paura di diventare adulti. "Non voglio diventare donna" piangeva una ragazzina il giorno delle sue prime mestruazioni. Ma tutti noi piangiamo di simili recalcitrazioni. E spesso anche certa religione viene sentita come salvaguardia al nuovo, come storico bisogno di restare dentro una pancia immortale, in un perpetuo immobilismo. Ma proprio in questo senso Gesù disse: "Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà" (Le 17.33). Oppure in un altro contesto: "Lascia che i morti seppelliscano i loro morti" (Le, 9-59). Come si vede la logica della conservazione non è la logica della vita. E' in questa linea che l'uomo viene posto al centro del Vangelo, ama il prossimo tuo "come" te stesso. L'uomo al centro della disputa, per il quale la stessa legge è un mezzo non un fine. Se ha fame colga le spighe anche di sabato (Mt 12, 1). Vivere nella sensazione della propria intrinseca positività è indispensabile per qualsiasi iniziativa di vita, piena e calda. L'autostima è fondamentale per una sana terapia personale. E' sempre Gesù che dichiara: "non valete voi forse più di molti passeri?" (Lc. 12,7}. La negatività, la ricerca della sofferenza, l'automutilazione, sia pure a gloria di Dio, non è nella logica di Gesù. E qui si tratta di ricuperare anche nel Cristianesimo un filone smarrito, quello della valenza positiva dell'uomo. Nel senso che se Dio si è fatto uomo depone sul valore positivo di quest'ultimo. Messaggi biblici secolari come "Tu sei polvere e polvere diventerai" oppure "Vanità delle vanità e tutto è vanità" sono stati dal Vangelo superati perché imput al nichilismo. Contro il pessimismo Gesù ha sempre ad ognuno consigliato: "abbi fede!". Fede non tanto in me, quanto in te. È di qui che il Vangelo inizia la vera terapia, dando all'uomo la coscienza delle sue possibilità attraverso la fede. Fede che tutti posseggono se non altro come seme, ma che pochi sappiamo o vogliamo attivare. Supporre che la fede sia un privilegio esterno da Dio ad alcuni dato, al altri negato sarebbe una forma di ingiustizia inaccettabile da parte di quell'Essere che Gesù chiama Padre. "Vangelo come Terapia" pone Gesù e l'uomo in un rapporto di empatia, molto più profondo che un rapporto di simpatia. Empatia significa In effetti identificarsi dentro nella situazione dell'altro, anche se per ipotesi fosse un antipatico. Mentre la simpatia è un sentimento che seleziona. Solo con tre categorie di persone Gesù non è mai entrato né in simpatia, e tanto meno in empatia: con gli ipocriti, con i farisei, con il clero del suo tempo. È stato intrattabile. Considerando i rapporti con costoro, qualcuno di noi potrebbe definirlo addirittura un arrabbiato ed un frustrato. È perché falsificavano la verità dell'uomo e manipolavano la fede religiosa per gli interessi di categoria, anziché per una vera terapia dei loro assistiti.
L'empatia di Gesù la si incontra ad ogni passo. Rammenta quando prima della moltiplicazione dei pani dice: “ho pietà di questo popolo, non voglio mandarlo via digiuno perché non abbiano a venir meno lungo la strada". Gesù è sempre coinvolto della pietà umana, dalle partecipazione affettiva, totale. In effetti invita sempre la persona malata o depressa in disparte, la lascia parlare, le parla, ne ricupera le vere intenzioni, non scoraggia, non sanziona, non minaccia, non abbandona. Un vero psicoterapeuta nel quale la mentalità o la prosopopea giudicante lascia il posto alla comprensione partecipativa. "Non sono venuto per i sani ma per i malati" Gesù cioè non si è mai presentato come Messia, ma come medico: è di qui che inizia la salvezza da lui operata.
Alla fine una conclusione molto pratica. Noi cattolici consideriamo il sacramento della confessione privata come l'occasione privilegiata per la terapia dell'anima. L'affermazione vale, ma sembra riduttiva, considerata la sua crisi. Sfogliando l'elenco telefonico possiamo constatare che nella città di Zurigo esistono attualmente oltre 500 psichiatri (o psicologi o psicoterapeuti) ed una cinquantina di preti. Qualche decennio fa la percentuale in materia era totalmente in senso opposto. Alcuni frettolosamente concludono che la gente ha perso la fede o che ha perso la testa, malata di mente. Sembra giudizio affrettato. La gente ama dire e dirsi a persone che la possono aiutare a trovare un senso. Non vogliono sentirsi né giudicati, né messi in ginocchio. Forse tra le mille e cento cause della crisi del clero una potrebbe risiedere anche nel fatto che la gente dubita sullo stile del prete o della confessione ad essere terapia dell'anima. Non si dimentichi che la confessione privata è stata introdotta nel settimo secolo dai monaci irlandesi per dare alla gente la possibilità di dialogo interiore e terapia dello spirito. Come "possibilità" offerta al paziente, non come "obbligo", imposto ad ogni credente. E non si dimentichi che fino al 1200, periodo dei Concili Lateranensi, anche i laici erano autorizzati a ricevere la confessione del popolo perché importante si riteneva crearsi un rapporto dialogico, basato sull'empatia. Con il Concilio di Trento (1560) la confessione privata fu resa obbligatoria e proprio sotto forma di tribunale in cui il prete fa la parte del giudice, il fedele quella dell'accusato, con l'obbligo di rivelare numero, specie, circostanze del peccato: di qui la confessione privata sentita poco come una liberazione terapeutica, con il conseguente abbandono, e la sua sostituzione da parte di altri curatori "tecnici" dello spirito. Merito dunque dei nostri due scrittori Balestro­Chiavarino di averci sensibilizzato su queste nuove realtà "Vangelo come terapia".

Autore:
Albino Michelin
03.03.1999

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