giovedì 10 settembre 2015

LO SPRETATO

E’ un’espressione che al malcapitato picchia male in testa. Vi è pure una serie di romanzi e di film che rincara la dose, per cui l’ex che ci capita dentro resta sistemato tutta la vita. Si basa su un riferimento un po’ settario ed unilaterale di un’espressione di Gesù "Chi pone mano all'aratro e poi si volge indietro, non è degno di me" (Luca 9,62). Espressione ormai proverbiale e nota anche all'uomo della strada. E tradizionalmente viene interpretata: "chiunque si battezza ed entra nella comunità cristiana ma poi lentamente si sbattezza, lasciandosi sopraffare dai propri interessi, dalla cultura del denaro e dell’egoismo non è degno di me”. Espressione certo di Gesù ma riferita a tutti i cristiani. Distorsione ed abuso aver attribuito questo giudizio solo alla casta sacerdotale, ai preti.
Ogni categoria indubbiamente si costruisce la sua cultura di difesa e di prestigio, e quella dei preti è caduta nello stesso tranello appropriando per se stessa questa frase di Gesù. Che alla fine dei conti ha un significato più ampio: in pratica chi non si decide per nulla, chi cambia e ricambia il proprio impegno o disimpegno professionale, chi muta come la luna, appartiene un po’ al mondo degli inutili per se e per gli altri. Le conseguenze le conosciamo tutti: chi ha lasciato il sacerdozio per un'altra professione ha fatto la fame, la miseria, è stato posto all'ostracismo e al margine della società. Questo in modo particolare qualche decennio fa, ma nei paesi di bianca matrice l’atteggiamento mentale non è neanche oggi di molto cambiato. Un senso di dispregio accompagna il soggetto “transfuga scappato con una donna “, che si è svestito, si è spogliato, ha gettato la tonaca alle ortiche. Insomma puzza di peste vita natural durante. Secondo il precedente Concordato fra l'Italia e la Chiesa, stipulato nel 1929 e riveduto solo nel 1984, allo spretato era vietata qualsiasi carica pubblica, impiego, insegnamento, funzione direttiva. La prassi era che chi lasciava il seminario o il sacerdozio doveva morire di fame: parola del Signore. Traditore. Ricordo di un compagno, si chiamava Piero, deceduto qualche anno fa in un incidente stradale. Dopo 10 anni di sacerdozio sentiva forte il desiderio di farsi una famiglia. Ha lasciato quindi, ma molti l'hanno fatto passare come un matto, un pazzoide. Quest'uomo con la forza di volontà, facendo qualsiasi tipo di lavoro, di giorno e di notte, è riuscito a prendersi due lauree, dare lezioni private. In barba al Concordato che lo vietava, fu assunto come insegnante in un Istituto tecnico statale, di cui è poi divenuto preside. Sposatosi, ovviamente, ha avuto una figlia che frequentò l'università, attualmente membro di una commissione al Parlamento Europeo di Bruxelles. Questo "spretato" tutte le mattine frequentava la messa, parlava di vangelo, frequentava ogni tipo di associazione religiosa. Passare dal sacerdozio al matrimonio per Piero non è stato un abbandono, un tradimento, ma l'occasione per ritrovare la sua vera strada. Solo ci si domanda come mai Piero non poteva più fare il prete, dal momento che la sua fede era più viva e vera di tanti preti. Alcuni cattolici sposati, invero alquanto rancorosi, rispondono che come nel matrimonio si giura fedeltà Dio e ad un partner, così nella sacerdozio si giura fedeltà a Dio di rimanere senza partner. Ma l’interpretazione è una forzatura. Nel senso che il matrimonio è sì un impegno, ma secondo natura e l’istinto di natura, mentre invece il sacerdozio è una messa fra parentesi della natura e del suo istinto amoroso procreativo. Quindi la conclusione non è del tutto evangelica.  Dio disse: alcuni scelgono il celibato come testimonianza della vita futura, dove non ci sarà né maschio, né femmina, né procreazione (Mt.9,12). Anche i monaci tibetani e tante religioni naturali hanno i loro celibi. Soltanto, ci si domanda se è conveniente rendere il celibato obbligatorio per chi desidera esercitare il sacerdozio. Dal comportamento di Gesù non appare così evidente dal momento che gli apostoli erano sposati e i primi vescovi avevano moglie. Quindi ci si pone la domanda se per un prete prendere moglie allorché si inoltra nell’età adulta con nuove problematiche e tensioni psicologiche sia una sconfessione oppure un trovare in modo più maturo la propria strada. D’Altronde anche la Bibbia dice:” è del saggio cambiare consiglio”. Al giovane seminarista  si ricordava  che la gente vuole il prete illibato, casto, incontaminato. La gente al prete perdona tutto, ma non che si perda con una donna. Capito? La gente perdona al prete tutto: palanche, mafioso, attaccabrighe, nevrotico, ma non gli perdona la donna. Lo spretato a causa di una donna e del matrimonio era sussurrato, dileggiato, emarginato da tutti i benpensanti cattolici. Forse una spiegazione la c’è. Esiste in noi una morale innata ed una morale indotta. Cioè se certa educazione religiosa continua a siringarci (indurre) una morale anti sessuale e antifemminista enfatizzandone le colpe, ovviamente la gente giudicherà e tratterà di conseguenza. Dirà: brrr un prete? Meglio ladro che con una donna! Stanno aumentando sempre di più corsi, giornate di studio, anni sabatici sul tema: "La figura del prete “. Da augurarsi che non si cada nelle tradizionali   autoesaltazioni e auto protagonismi di categoria. Che vengano trattati anche i veri temi di attualità, come: 1) possibilità di esercitare il Sacerdozio "ad tempus" ridimensionando il dogma un po’ retorico del "Tu es sacerdos in aeternum". 2) Possibilità di esercitare il sacerdozio anche in stato di matrimonio. 3) Coinvolgimento di ex preti a comunicare le proprie difficoltà di inserimento nella società. 4) Delegazione di laici che si esprimano senza riverenza e con trasparenza sul ruolo del prete oggi.
Non si dica che questo articolo andava scritto solo a porte chiuse e per i consacrati. La figura del prete è inscindibile dalle relazioni con il popolo di Dio, che S. Pietro definisce "plebe santa: sacerdozio regale". Il ruolo del prete oggi, anche se sembra una specie in via di estinzione (se non altro nel mondo occidentale), è diventato un patrimonio comune che comunitariamente andrebbe discusso e gestito.

Autore:
Albino Michelin
27.01.1995

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