domenica 13 settembre 2015

MORIRE SENZA PRETE

Ognuno di noi ha il diritto di morire come crede, cioè secondo la sua fede o secondo le sue convinzioni laiche e quindi con relativo funerale religioso o civile. Si sa che oggi la nostra morte personale viene rimossa e tabuizzata. Ci incuriosisce però la morte degli altri, assunta a spettacolo, come quella di chi si getta dalla finestra, di chi viene giustiziato alla sedia elettrica, di chi finisce impiccato penzoloni ad una trave. Il tutto ovviamente con il supporto leggenda dei Mass Media e della TV. Un tempo la morte propria veniva sentita come un fatto profondamente personale e sociale. In effetti il moribondo faceva chiamare il prete del paese che gli portava l'estrema unzione e il viatico (cioè la comunione considerata pezzo di pane per il viaggio), al suono della campana maggiore, in corteo sotto il baldacchino, accompagnato dai chierichetti che attiravano l'attenzione dei paesani al suono di un campanello di chiesa. Il malato poi procedeva a raccogliere attorno al suo letto tutti i familiari e passare loro le ultime consegne. Così io ho visto da bambino morire mia nonna a casa mia ed è un'impressione che non mi disturba ricordare. Più tardi nella mia professione mi sono trovato più volte, in genere negli ospedali, di fronte a pazienti irrecuperabili. Ho sempre preferito presentarmi in abito civile per non mettere il malato in stato di ansia per l'imminenza di fare i bagagli, destinazione l'Altro Mondo. Una visita di cortesia ed eventualmente di disponibilità: se il malato finiva tutto con un saluto, oppure desiderava un ulteriore visita, recitare insieme una preghiera o ripassare a portargli comunione ed unzione degli infermi, io accondiscendevo. Se notavo che la mia visita invece costituiva un disagio non ritornavo più. Non ha senso volergli dare la comunione o l'olio santo come si trattasse di cacciargli nello stomaco l'olio di ricino. L'amore di Dio per l'uomo, sia esso religioso, indifferente o a lui ostile, è più grande di tutti i nostri strumenti del mestiere, benedizione comprese. C'è comunque un aspetto che in questo ambito fa riflettere ed è il comportamento (non tanto del malato quanto) di certi familiari.
Si ha quasi la sensazione di un complotto: istituiscono un cordone poliziesco attorno al sofferente, mettono il paziente in stato di ibernazione, il prete non deve nemmeno salutarlo, diversamente lo spaventa. Magari poi la situazione si prolunga per qualche anno. Ad un certo punto arriva la disgrazia, il poverino muore. Allora ecco i familiari eccitati fino al parossismo, dar di piglio al telefono e cercare preti a qualsiasi ora e in ogni dove. Se per caso nessuno fosse reperibile, allora è tutta una geremiade contro clero che lascia morire la gente come cani. Ma qui forse si nasconde un'altra intenzione: l'epigrafe murale ai paesani in cui si deve comunicare che il nostro caro è passato a miglior vita "munito dei conforti della fede". I soliti slalom. Certo è umano che il prete accorra anche dopo il decesso di un familiare, eventualmente per creare un momento di solidarietà attorno allo scomparso. Però al morto questo tipo di presenza non serve proprio a nulla, perché un cadavere non è più capace né di ripensamento, né di assoluzione, né di risurrezione spirituale. Come si dice in gergo, incapace di volere e di intendere. Opportuno invece sarebbe che i cristiani o ciascuno di noi a seconda della sua religione avesse un rapporto diverso con la sua morte e con l'approccio ad essa. Si parla ovviamente a credenti: la morte bisogna anche prepararsela. Ricevendo l'estrema unzione? Anche qui va fatta una precisazione. Oggi non viene più chiamata così: ti dà il senso di una liquidazione, di ultimo viaggio senza ritorno. Si preferisce chiamarla Unzione degli infermi e la si fa con l'olio a segnare la fronte. Perché da sempre in tutte le civiltà l'olio viene considerato medicina, dignità, gioia. Pensiamo solo alla parola "Messia"' in ebraico all’equivalente "Cristo" in greco: significano "unto con l'olio della dignità e della speranza".
L'evangelista Marco (6, 13) riporta che gli apostoli ungevano con l'olio molti infermi e li guarivano. E Giacomo consiglia: "chi è malato si faccia ungere con l'olio ... e verrà perdonato dai peccati" (5, 14). Oggi è invalsa una forma più tranquilla e rasserenante. In molte parrocchie alcune volte all'anno vengono organizzate delle liturgie non solo con l'unzione agli infermi, ma anche agli anziani, ai pensionati. E un modo efficace per riconciliarsi con la morte evitando all'ultimo momento di creare parapiglia attorno al letto del malato e spallate fra medici, primari, infermieri e preti. E allorquando la situazione psicologica del paziente è molto fragile forse non vale la pena nemmeno chiamare il prete. Importante che egli si senta dal suo prossimo assistito e accompagnato. Così anch'egli potrà venire dolcemente consegnato dalle mani della sua famiglia o della sua comunità nelle mani di Dio.

Autore:
Albino Michelin
29.03.1997

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