lunedì 28 ottobre 2019

NADIA TOFFA: QUANDO LA TV PUÒ DIVENTARE UN PULPITO


Nadia Toffa deceduta per tumore al cervello il 13 agosto u.s. definita la guerriera e insignita quale cittadina onoraria di Brescia, Leonessa d'Italia sua città natale, benché quarantenne la si poteva definire ancora una ragazza, tanto era profondamente legata alla sua professione, alla passione con cui la esercitava, alla propria vita, da lei considerata una risorsa per gli altri. Faceva parte dello staff televisivo le "Jene" come reporter e conduttrice. Servizio iniziato nel 1997, ne aveva fatto parte per metà della sua vita, per cui veniva chiamata anche la ragazza dal microfono in mano. Le Jene, un programma televisivo, se pure condotto talvolta con intelligente ironia, voleva evidenziare e scoraggiare la corruzione, la malavita fatta di truffe, di menzogne, illegalità, mafie. Al limite fa una certa impressione che dalla Televisione, considerata spesso un assemblaggio di persone fanatiche di visibilità, affamate di carriera, facili al gossip e al grande fratello, bramose di consenso e di pubblico applauso possa emergere qualche voce profetica, cioè controcorrente, altruista, che impegna la propria vita in favore degli altri. Non ci sembra il pulpito adatto, tanto siamo abituati ad uno strumento di facile imbonimento e di evasione culturale. Eppure in Nadia Toffa abbiamo avuto un testimone credibile della passione in favore degli ultimi. Ha messo l'Italia sottosopra amata dal nord e dal sud perché autentica, cocciuta, perseverante, tosta. Nota per esempio la sua inchiesta sull'llva di Taranto, di cui era diventata cittadina onoraria, per la sua difesa dei bimbi minacciati dall'inquinamento del polo siderurgico locale, dove ha lanciato un progetto e raccolto 700 mila euro per un reparto oncologia pro infanzia. La storia delle mamme orfane sconvolse la giovane giornalista.  Si percepiva che la sua sete di giustizia era autentica. In effetti al suo funerale del 16 agosto, attorno alla bara posta al centro della cattedrale, sormontata da ghirlande di fiori e dalla inconfondibile cravatta nera, stava allineata una delegazione del bar Ta mburri di Taranto con lo striscione: "Je esce pacce per te … io esco pazzo per te.". Altro caso in cui essa dimostra la sua passione convinta ed altruista è quello della Terra dei Fuochi, territorio malsano fra Napoli e Caserta, dove il suolo è inquinato dai rifiuti tossici del nord e del sud con la complicità della camorra e le campagne sono invase dai rifiuti delle aziende che lavorano in regime di evasione fiscale; là sono pure arrivate le sue inchieste per dare voce alla gente bistrattata e maltrattata. Un lavoro che essa ha compiuto anche con il sostegno e l'apporto del parroco del luogo Patricelli, uno dei preti coraggiosi in un ambiente ormai invivibile. Fra i due è sorta una profonda collaborazione e amicizia tanto che Nadia gli confidò più tardi che l'avrebbe desiderata ad officiare il suo funerale. Per questa causa e professione essa ha voluto amplificare la sua voce. Non meno significativi sono i apporti che la Toffa ha avuto con la sua malattia, il tumore al cervello. Da quando in un albergo di Trieste nel dicembre 2017 fu colta da malore improvviso nessuno sospettava una fine così celere. Si ha sempre speranza contro ogni speranza che il progresso della medicina possa evitare l'inevitabile. Attraverso i media si vedeva che Nadia nel corso dei mesi sfioriva, ma la luce sincera e spavalda è rimasta integra nei suoi occhi di giovane donna. Vi sono tanti modi oggi di porsi di fronte alle malattie in modo particolare a questa che viene considerata ancora a rischio. Lei l'ha affrontata senza drammi e senza traumi. Anziché trincerarsi dietro ad un silenzio astioso verso il destino e di marginalità pudica verso la società, la famiglia, gli amici ebbe il coraggio di rivelare a tutti ciò che le stava accadendo. Era un personaggio pubblico e sapeva che i suoi ammiratori e ammiratrici si chiedevano cosa mai fosse successo a Trieste quella notte e ha ritenuto opportuno informarli. Ha avuto il coraggio di chiamare cancro tumore con il suo nome. "Questa è una parrucca" disse in una trasmissione toccandosi i capelli" e io non me ne vergogno. Non c'è niente che fa soffrire un ammalato del vivere con vergogna la sua patologia come se fosse un vizio. Più terribile della malattia c'è solo la vergogna di essere malati. Nascono i soliti sbigottimenti, scattano i soliti interrogativi che ci prendono di fronte all'esercizio del destino. Perché a me, entro quale destino si colloca la mia malattia. La risposta non ci appartiene, la vita è un arazzo alla rovescia, solo dopo la morte se ne capirà il disegno. Il Signore mi ha dato una sfida che potrò vincere, importante è mettercela tutta e combattere sempre. La vita è sempre vita anche quando pesa. Pensieri di Nadia che però con il persistere della malattia vengono seguiti da altri. Come quello su Dio: il Signore non è crudele, Dio è buono e il male non gli appartiene. La preghiera è un abbraccio E qui la Jena diventa una colomba. L'unico suo rimpianto espresso poco prima della morte: mi dispiace per mia mamma che dovrà restare sola senza di me. l funerali di Nadia furono conseguenti alla sua vita. Celebrati dal parroco Petruccelli come da lei desiderato, che fedele alla vita di lei, sviluppò la massima di Gesù: "beati coloro che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati". Cui faceva da testimone un 'altra corona di fiori dei detenuti del carcere di Caserta " A te Nadia che sei sempre stata paladina di giustizia". In un'epoca come la nostra piena di odio, di rivalse, di cattiverie, di rabbia, di tutti contro tutti una giovane conduttrice ha saputo coinvolgere nobili sentimenti in una efficace azione giornalistica e televisiva. Gli indifferenti, cattolici o meno vengono scossi da questa teologia di vita espressa e testimoniata da Nadia Toffa. Appunto quando la TV può diventar e un pulpito.

Autore:
Albino Michelin
02.09.2019

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