domenica 29 luglio 2018

QUANDO LE DONNE PIANTANO IL CHIODO

"La donna è mobile" canta il duca di Mantova nel terzo atto dell’Opera Rigoletto di G: Verdi(1851). Un’aria popolare a tutti nota. Però non si confondano arte, musica, fantasia con la realtà. Oggi forse il costume sta cambiando. Tutto è mobile, non soltanto la donna. Ma altro è riconoscere parità di diritti e di uguaglianza uomo-donna, altro è la pretesa di livellare i due mondi, sino ad annullarne le differenze. Per quanto la natura, quella umana compresa, sia evolutiva, non si può ipotizzare che ciò avvengano un prossimo futuro. Al di là dell’aria popolare di G. Verdi, non vanno sottovalutate le caratteristiche profonde dei due sessi. L’uomo è portato più alla produzione, al mondo esteriore, all’organizzazione, alle cose. La donna di più all’assistenza, al mondo interiore, alla spiritualità, alla formazione, alle persone. Intuitiva, costante nelle decisioni, insistente, si identifica con i suoi progetti, non dimentica, riemerge a onda lunga. Non molla mai l’osso. Questo modello viene alla mente anche in questioni attuali, ad esempio in riferimento al ruolo della donna nella chiesa, sacerdozio femminile incluso. Papa Wojtyla aveva a suo tempo bloccato il discorso senza discussione e di autorità. Che la donna non faccia il prete è volontà di Dio. Argomento archiviato? Per i maschi sì, ma per le donne no. Anzi si amplia a macchia d’olio in molti altri aspetti e in ogni occasione. Ne fa fede il recente libro di Jaqueline. Straub: ”Perché voglio diventare prete”. Si chiede perché dobbiamo restare bloccati da reliquie di una prassi bimillenaria e che alle parole roboanti rivolte alle donne dagli alti palazzi, in cui le si esaltano come coraggiose, intelligenti, perfino geniali non sia mai seguita alcuna concessione sul piano delle responsabilità e del potere. Escluse da ogni ambito della direzione e ministerialistà della chiesa. In tutti i parlamenti del mondo le donne siedono con competenza e professionalità, solo in vaticano le donne sono ridotte a portaborse, o poco più, non accettate a capo di dicasteri, come quello della famiglia, dell’educazione, della canonizzazione dei santi, occupati con i denti mascellari e accuratamente da cardinali maschi. Si inventano ostacoli pseudo teologici, ma la questione è sempre la stessa, ”destino fisiologico e biologico.” Le donne devono sempre fare la voce grossa per ottenere un cambiamento. In questo contesto significativa è la presa di posizione della Conferenza Americana Femminista, già attiva dal 1975 che ha divulgato di recente un questionario: ”Dopo 5 anni di pontificato di Bergoglio che cosa è cambiato nel binomio chiesa-donna”. Già qui si nota un bel coraggio. Agli uomini non interessa, siamo ancora alla calzetta, ma le donne rilanciano. Senza mettere in discussione la validità globale e profetica di papa Francesco nel suo complesso, però nel dettaglio esprimono le loro riserve in riferimento all’ultima esortazione ”Gaudete ed Exultate “ del 19.3.2018. Dichiarano che tale documento non ha suscitato in loro interesse come le precedenti esortazioni, specie sul significato della santità, in cui vengono coinvolte di ambiguità. Esprimono inquietudine per questo ulteriore esempio di romanticismo popolare in cui le donne si trovano posizionate quali proiezioni di ideali teologici maschili con scarsa consapevolezza delle realtà da loro vissute. Non accettano di venire considerate nella chiesa come il “genere altro”, demonizzato nel passato dagli insegnamenti cattolici ufficiali, romanticizzato e patrocinato oggigiorno, quasi richiesta di scusa. Un senso di enfasi e di euforia, più di convenzione che di convinzione. E qui ti fanno suonare un campanello di allarme al nr.12 di “Gaudete…”, in cui si dice che il genio femminile si manifesta in stili femminili di santità. Il termine “genio della donna” lo trovano di una banalità vacua, quasi ironica. Tanto è incluso che il nostro corpo femminile, continuano le donne, ci impedisce di rappresentare Cristo sull’altare, estranee alle istituzioni della leadership educativa nella chiesa. E poi passano al nr.118 della stessa esortazione, dove rilevano un conflitto sempre legato alla questione del genere, in cui Papa Francesco affronta la relazione fra umiltà e umiliazione. Nodo scoperto per le donne, che ovviamente risentono nel loro DNA le umiliazioni inferte loro dalla storia patriarcale del passato. L’umiltà secondo Bergoglio, può radicarsi nel cuore soltanto attraverso le umiliazioni, senza di esse non c’è né umiltà, né santità. L’umiliazione porta ad assomigliare a Gesù. Le donne considerano inappropriato questo approccio alla santità che contraddice alla passione di Papa Francesco per i poveri, i discriminati, gli umiliati. Non è vero che un rifugiato, un torturato, una vittima di abusi, una donna intrappolata in un matrimonio violento stiano imparando una lezione di umiltà. L’umiliazione degli impotenti non è un cammino verso la santità e verso l‘umiltà né per l’autore, né per le vittime. L’umiltà è segno di maturità e di autoconsapevolezza dei propri limiti, ma l’umiliazione non andrebbe mai accettata e tanto meno santificata. Non è questa una reazione insubordinata nei confronti del Papa, ma un’osservazione riferita al maschilismo innato ed occulto in ciascun uomo di chiesa, forse rimasuglio del grande e troppo esaltato Concilio Vaticano II, (1962-65) il quale sotto il Cupolone ha raccolto in assise ben 2500 partecipanti, di cui però solo 16 donne (9 nubili e due vedove di guerra). Proprio per questo Bergoglio vede di buon grado la proposta del viennese Card. Schönbrunn di organizzare un nuovo concilio ecumenico a favore del sacerdozio femminile. Un bel risultato. Importante oggi è seminare: a suo tempo si potrà anche raccogliere.

Autore
Albino Michelin
25.07.2018 

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