lunedì 22 ottobre 2018

L'INTEGRAZIONE DEGLI STRANIERI: UN IMPEGNO, NON UNA PRETESA

Lamon è un paese della provincia di Belluno che nel secondo dopoguerra ha registrato un consistente esodo di residenti verso paesi di emigrazione, come la Svizzera. Da Ginevra fino a S. Gallo i Lamonesi hanno invaso il territorio ricavandone un benessere personale e contribuendo a quello locale. Come sempre è avvenuto nella storia delle migrazioni. Sabato 15 settembre casualmente mi trovavo nella piazza del paese in occasione della fiera del Fagiolo e mi sento chiamare per nome da alcune persone. Con un ex emigrato rimpatriato di nome Marco ho potuto instaurare una chiacchierata, i cui punti salienti giova pubblicarli perché potrebbero essere di aiuto per gli italiani che oggi hanno a che fare con il problema stranieri ed immigrazione, “l’onda afroasiatica”. Il primo rilievo: Marco inizia dicendo che lui deve ringraziare sentitamente le missioni cattoliche del tempo, si parla di 60-50 anni fa, perché molto si sono prodigate per l’accoglienza, l’accompagnamento e l’integrazione dei connazionali in quel paese. Francamente era la prima volta in vita mia che sentivo parlare bene dei preti. Ma il mio interlocutore era sincero e nessuna intenzione di lustrare le pantofole. Qualche argomento come punto e spunto di riflessione. Si dice che al tempo gli italiani entrando in Svizzera dovevano essere muniti di contratto di lavoro. Rispondo; si e no. In effetti ricordo a Basilea, dove fui attivo verso gli anni 60 arrivavano torme di ragazzi e ragazze, in rapporto con dei parenti o paesani, ma in pratica spaesati e figli di nessuno, senza nessun contratto. E noi avendo una certa conoscenza delle ditte o famiglie disponibili li accompagnavamo a destinazione e venivano accolti. Noi non si chiudeva porti, porte e portafogli. Si dirà altri tempi. Certo ma anche altro spirito. Non interessa qui se avessero poi sottoscritto il contratto o premesso la visita medica. Venivano piazzati. Altro rilievo: gli alloggi, penuria e approssimazioni. Le missioni, specie Ginevra, si adoperarono per costruire delle baracche in legno, in collaborazioni e sostegno delle autorità locali. Non si trattava certo ci chalet, ma di strutture dignitose, con cucina, letto, servizi igienici. E anche questo era un aiuto all’integrazione. In Italia invece ti ammucchiano gli stranieri in un recinto murario come le sardine, e li abbandonano alla loro sorte a bighellonare per le strade. E che dobbiamo pretendere? Che siano una squadra del buon costume? Altro aspetto. Quella nostra gente era in genere analfabeta su tutto, munita solo di braccia e tanta buone volontà. Così le missioni   organizzavano corsi serali per muratori e tornitori, corsi serali per taglio a cucito a favore delle donne specie ragazze che venivano inoltrate nell’ambiente e rispettate. Utile per l’integrazione.  Altro aspetto importante era quello dei nidi d’infanzia, degli asili, e delle scuole primarie, sempre in collaborazione con gli uffici del luogo. Tutti ricordano questo tipo di assistenza a Ginevra, Berna, Basilea, Zurigo, S. Gallo.  Indubbiamente si inseriva anche qualche ora di lingua locale, francese o tedesco a seconda, e questo perché chi sa parlare acquisisce dignità e potere e si sa anche difendere. Strumento valido per l’integrazione. In Italia invece è una querimonia continua, da una parte perché in certe scuole si registrano troppi stranieri, in altre mancano o gli italiani e causa la denatalità si deve procedere alla chiusura.  Ma dove si cerca di introdurre anche accanto all’italiano la cultura dello straniero? Se qualcuno si mettesse in testa di esporre a scuola un’icona cinese, africana, orientale apriti cielo, invasione, vadano a casa loro. Altro rilievo: i nostri emigrati provenivano in genere da paesi tradizionali quindi necessitavano della messa domenicale. In alcune parti potevano usufruire delle chiese locali, ma in altre, nelle grosse città su citate, i cantoni benché di religione protestante collaboravano anche con sostegno finanziario affinché si costruissero chiese, luoghi di culto centri di aggregazione italiani. Il loro principio era che se si concede libertà religiosa nella propria lingua, usi e costumi si rende l’immigrato più sereno e disponibile all’integrazione.  In Italia invece per costruire una moschea si viene a sollevare un putiferio. Si, perché i musulmani sarebbero tutti terroristi, tutti dell’Isis e nascondono bombe a mano dentro i pantaloni. Si, perché secondo gli italiani Dio è solo cattolico, non musulmano e per i musulmani. In questo modo non si crea una piattaforma di convivenza ma sempre di sospetto e di denigrazione. Nessuna integrazione. Altro ancora: in determinati periodi dell’anno in Svizzera si organizzavano dei saggi con i bambini, tipo danze, concerti, teatrini in cui si tentava di accomunare tutti, i bianchi e i negretti, per abituarli a collaborare nel rispetto reciproco. Assemblage che continuiamo anche oggi specie con quelli di provenienza eritrea e siriana. In Italia ogni anno verso natale assistiamo a polemiche infinite perché tale o tal altro concerto deve essere sacro, alla cattolica, non si vogliono mescolare scabbia e virus di bambini e tradizioni straniere con tutte le loro varie stregonerie Altro che ponti, e inclusioni, muri anche qui ed esclusioni. Sono gli stranieri che devono venire a noi e rinunciare alle loro superstizioni e non noi andare da loro a fondere la reciproche tradizioni. Se non si continua a osteggiare questa cultura non vi sarà mai integrazione. Ma volenti o nolenti le emigrazioni fra qualche decennio avranno dimensioni planetarie. Gesù diceva “verranno dall’oriente e dall’occidente e si siederanno al posto dei figli del regno”. Indubbiamente lui pensava all’aspetto religioso, ma anche sul piano etnico e sociale questo si verificherà nonostante tutti i nostri catenacci e fili spinati. Dapprima avremo l’invasione dei ricchi, dei calciatori del pallone che milionari verranno da ogni latitudine a rubare il posto alle nostre speranze giovani che ci priveranno anche di una nazionale decente, verranno i cinesi ad acquistare tutti i bar ed arricchirsi con i nostri soldi, verranno gli inglesismi, neologismi tipo devolucion e i nostri vocabolari rimarranno senza legittima difesa a salvaguardare il verbo italiano del grande Dante Alighieri.  Prima gli italiani e padroni a casa nostra diventeranno slogan vuoti, retaggio di un tempo che fu. Il nostro errore è quello di pretendere che gli stranieri (che poi sono percentuale limitata) si integrino, se no tornino a casa. Non pensiamo che l’integrazione richiede impegno di strutture e di personale da parte nostra, Questi discorsi ci sono venuti spontanei a Lamon nella sagra del fagiolo con l’ex emigrato in Svizzera Marco a dimostrazione anche che non tutti i veneti e i connazionali rientrati sputano sul piatto dove hanno mangiato, non tutti denigrano i loro ospitanti elvetici e i nostri nuovi immigrati. Né queste note sono state qui pubblicate per esaltare la Svizzera quasi fosse l’Eldorado e il paradiso terrestre. Anche lei ha avuto ed ha le sue sacche di xenofobia, ma certo non cosi viscerale. E nemmeno si vuole fare del clericalismo ed esaltare il ruolo delle missioni cattoliche, al tempo ruolo sociale oltre che religioso, (e oggi missioni per l’integrazione), ma per citare delle esperienze, che prese sul serio potrebbero umanizzare i nostri rapporti con gli stranieri in Italia. Perché sia detto, si respira un’aria pesante, greve, sospettosa, di caccia all’untore quando si valicano i confini per trascorrere qui qualche periodo di riposo o di turismo. L’integrazione in Italia sarà possibile quando si inizierà a parlare meno alla panza del popolo, si cesserà di istigarlo. Quando avremo meno fegato e più cuore.

Autore
Albino Michelin
16.09.2018

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