sabato 27 ottobre 2018

PROFESSIONE COME VOCAZIONE

Il caso di Erika divenuta Suor Caterina di Gesù non è né unico, né raro. Una ragazza moderna, ex giocatrice di pallavolo, laureata in medicina, amante delle compagnie giovanili e delle escursioni, per due anni in Africa con attività di chirurgo, fidanzata con un ragazzo della stessa professione, improvvisamente, o così può sembrare, rivela in famiglia di essere stata toccata dalla chiamata di Dio, di essere serena solo quando incontra Gesù, al ragazzo confessa di non poterlo rendere felice, insomma dal detto al fatto a 44 anni entra in clausura presso le monache “Benedettine murate” in una città del nord Italia. Fatto recente che si presta alle più svariate considerazioni. ”Ma che cosa ci guadagna a rinchiudersi in convento, con tutto il bene che c’è da fare in questo mondo, con la sua passione per l’Africa così carente di cure e di assistenza, che bisogno ha Gesù di una sepolta viva in adorazione perpetua davanti al suo tabernacolo”. Opportune qui alcune riflessioni sulle vocazioni maschili e femminili, sulla missione degli esseri umani, sulle varie professioni, sulle preferenze ed elezioni da parte di Dio, di fronte al quale invece tutti siamo uguali e alla stessa griglia di partenza. Nel senso che tutti siamo chiamati da Lui sia pure con doni diversi. Troppa carne al fuoco che si può semplificare riducendo all’essenziale. Premessa importante è che una persona si senta gratificata di stare sulla terra. Per gratificata non intendiamo felice, fortunata, grondante denaro e successo. Erika non è una egoista, una misantropa, una scansafatiche, una rifiutata né una prediletta da Dio, ma una che si sente realizzata solo dando spazio alla propria interiorità. Dio non ha bisogno di lei, o di toglierla dal mondo, è lei che ha bisogno di Dio attraverso questo tipo di scelta: il ritiro in convento. Non si vuole qui deprezzare la vocazione intesa nel senso tradizionale come la chiamata di Dio al suo servizio. Diremmo solo che è riduttivo sacralizzare l’affermazione. Indubbiamente nella bibbia, nelle religioni, nelle vite dei santi si parla spesso di “voce” di Dio, ad un singolo o ad un popolo. Così Abramo per voce di Dio parte dalla sua terra ed emigra, Samuele nel sonno viene svegliato dalla voce di Dio per diventare profeta in Israele, Giuseppe nel sogno sente attraverso l’angelo la voce di Dio di prendere Maria come sua sposa, tante donne sentono la voce di Dio che il bimbo nel loro grembo sarà destinato a grandi prodigi, Luigi Gonzaga e Domenico Savio da giovinetti sentono la voce di Dio a diventare santi. Non facciamo qui del psicologismo, indubbiamente può trattarsi di ispirazioni, di improvvise decisioni, di illuminazioni interiori, di allucinazioni, originate da situazioni casuali, incontri, pressioni ambientali, disgrazie, successi, insuccessi. Se Dio c’è, come è nella fede di molti, può servirsi di tutte le più svariate forme, anche delle più quotidiane e naturali. Tralasciamo qui il caso specifico impellente ai nostri giorni, delle vocazioni al sacerdozio: una caduta a picco. E’ un aspetto parziale e settoriale della vocazione universale di ogni uomo, che non è chiamato a farsi prete ma ad esercitare una professione, nessuna superiore o inferiore all’altra, ma solo diversa. Qui ci può entrare benissimo il discorso sul rapporto vocazione professione. In tedesco per le due viene usata un unico vocabolo con la stessa radice: ”Beruf”. Nel gergo comune vocazione richiama l’immagine di chi si consacra alla vita religiosa per l’eternità, il dedicarsi interamente a Dio o al prossimo. Professione invece richiama competenza, produttività, riconoscimento sociale, condizionata da fatti esterni alla persona e con scadenza a termine. Ma si può partire anche da una domanda volutamente provocatoria: al di là del prete, nel caso un medico, un infermiere, uno psicoterapeuta si sente dedicato ad una professione o ad una vocazione? A rifletterci oggi la maggioranza tende a rispondere: una vocazione. E sarebbe opportuno approfondire i termini perché ne guadagnerebbe il mondo se la vocazione venisse vissuta come professione, cioè con competenza. E se la professione come una vocazione, cioè con un’adesione profonda, una messa a disposizione del nostro potenziale interiore nascosto, capace di indirizzare le nostre migliori energie a quel lavoro. E’ quanto intendeva Calvino (+1556) quando sosteneva che ogni professione è vocazione. Che poi l’intuizione l’abbia portato un po’ troppo lontano, a sostenere che il lavoro rende lode a Dio, e che ogni arricchimento proveniente dal lavoro è segno della benedizione di Dio, facendosi passare protestante antesignano del capitalismo. Queste sono esagerazioni possibili: da un principio esatto, applicazioni esagerate. Però non andrebbe smarrita l’idea di fondo, che cioè bisognerebbe riuscire a laicizzare di più la vocazione, e spiritualizzare di più la professione. Facendo attenzione alla vocazione che dovrebbe precedere ogni professione e costituirne il fondamento, che non è conseguibile attraverso un diploma, ma attraverso l’ascolto di ciò che sgorga dal nostro maestro interiore. Però non voliamo troppo alto. In pratica quando è possibile che la professione sia vissuta come vocazione allorché abbiamo un’infinità di precari, di disoccupati, di gente che deve accontentarsi di un lavoro qualsiasi lontano dalle loro aspirazioni e capacità? O d’altra parte, quando abbiamo centinaia di scansafatiche, che una professione non la vogliono e si fanno passare come disabili, e vivono sulle spalle altrui sfruttando il lavoro e i sacrifici del prossimo? Sull’argomento ampliamo la visione: Dio ha creato il mondo, ma l’ha lasciato incompleto. All’uomo il compito di completarlo attraverso le più svariate vocazioni e professioni: dal chiostro come la Erika, dove si produce e si comunica a noi, attraverso la preghiera, energia spirituale. Dal sacerdozio con preti e missionari da Gesù desiderati quali “pescatori di uomini” per alimentare in noi il rapporto con il Trascendente. Dalle professioni umanitarie per garantirci una serenità di vita, a quelle specificatamente tecniche e produttive per acquisire maggiore dignità e giustizia sociale. Vocazione o professione? Nessuna differenza, basta fare tutto con passione.

Autore
Albino Michelin
31.09.2018

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