martedì 23 ottobre 2018

LIMITI ALLE DEVOZIONI RELIGIOSE

Va subito sgomberato il terreno nel senso che non si tratta di fare piazza pulita delle devozioni in quanto tali, che spesso sono l’unico sostegno interiore di molta gente. Quanto piuttosto fare alcune considerazioni perché gli equivoci in questo campo esistono e parecchi, profondi e radicati. Intanto non andrebbero confuse le devozioni e le religioni da una parte con la fede e la spiritualità dall’altra. Le prime possono anche alimentare ed esprimere le seconde, ma le possono pure sostituire, manipolare e sabotare. Da che mondo è mondo ogni cultura, da quelle preistoriche alle nostre post moderne, venera i suoi santi, oppure eroi pagani, saggi induisti, guaritori africani tutta gente equivalente ai santi. Non si sa in fondo quale sia la differenza fra l’antica romana Diana dea dei boschi, e S. Isidoro patrono dei campi. Ed è ovvio pure che ogni religione passa attraverso forme culturali del tempo. In tempo di fame si crea la Madonna delle Galline, in tempo di fortune militari si tira fuori La Madonna delle vittorie. Tutto il mondo è paese, ogni essere umano sente il bisogno di protezione. Nei periodi tribali si offriva alla divinità i beni più amati, come il sacrificio di un bambino il cui sangue si spargeva alle fondamenta della città da fondare onde ottenere fortune e benedizioni dal dio di turno. Vedi anche il mito biblico di Abramo che arriva quasi ad uccidere il figlio Isacco per obbedire al suo Dio che lo renderà padre felice fra le nazioni. Oggi invece si adottano bambini a distanza per sentirsi ossequenti al nostro Signore che ci ingiunge ad amare il prossimo come noi stessi. Anche le forme di devozione sono evolutive. Attualmente noi assistiamo al boom dei pellegrinaggi, visite ai santuari, cortei processionali, feste patronali, adorazione perpetua del santissimo sacramento, a S. Rita, S. Antonio, anime del purgatorio. In fondo quale potrebbe essere un limite che si annida in queste pratiche? Tentiamo di citarne qualcuno. Ogni devozione potrebbe avere un potere paralizzante. Ad esempio interiorizzare una debole immagine di sé, il sentimento della propria mancanza di valore, magari rafforzato da un esagerato senso di colpa o di vergogna del proprio comportamento: una diminuzione della propria autostima. Per altri che praticano devozioni l’immagine di Dio tende ad essere una divinità dittatoriale, minacciosa, giudicante, che essi cercano di rendersi benevola e il cui favore continuamente invocano. La loro strategia per sentirsi protetti da Dio è quella delle preghiere ripetute in genere adottando formule imparate dall’infanzia, complessi e paure conservate con automatismo durante la vita adulta. Altri si sentono vittime di una sottile ma pervasiva tattica patriarcale o clericale che punta a mantenerli passivi e sottomessi. Ricordando costantemente a costoro i peccati, i fallimenti diventa più facile soggiogarne la volontà e le decisioni. Altri ritengono che sopportare croce, sofferenze, sacrifici con passiva rassegnazione alla volontà di Dio sia più importante che intraprendere azioni per alleviarli. Queste persone soggiogate e colonizzate nutrono scarso interesse per la Bibbia o per il libro sacro della loro rispettiva religione, cioè dimostrano poco discernimento critico. Le scritture sono per i preti, per gli imman, per i santoni, per i brahmani, non per il popolo e rimangono occasione per pregare, anziché uno stimolo di comportamento per la vita relazionale quotidiana. Per altri devoti i preti tendono ad apparire come i perfetti rappresentanti di Dio sulla terra. La chiesa è vista come emanazione della divinità. Ciò che conta è essere presenti alle funzioni religiose più che parteciparvi. Questi devoti sono coccolati dal clero che loda la loro religiosità come “fede semplice della gente semplice”, apprezzamento paternalistico che rinvia alla volontà di dominio e di controllo. Vi sono persone che nella vita agiscono anche in modo creativo e responsabile, ma quando si affidano alle loro devozioni cadono in una sorta di trance perdendo quella maturità, cui danno prova in molti ambiti della vita. Altri devoti sono preoccupati quasi soltanto della salvezza della propria anima. Obbiettivo delle loro devozioni è salvare la propria anima, l'aldilà. Questo, il nostro mondo non interessa più di tanto, valle di lacrime. Un’anima sola hai, se la perdi che sarai. Dualismo fra l’anima e il corpo, lasciano il mondo alla sua sorte, al cataclisma finale, alla sua distruzione incombente, alle apocalissi, così care alle apparizioni e alle devozioni mariane. Il limite è che tutte queste devozioni si fermano troppo ad una religione di consolazione ma non diventano religione di liberazione. A tali devoti spesso non interessa nulla del cosmo, cioè della natura, dell’ambiente, della desertificazione, dell’inquinamento globale, dello sfruttamento delle terre. Non ci soffermiamo poi alle devozioni di prostituzione, strumentali, tipicamente italiche, ipocrite, vero obbrobrio di Dio e dei santi suoi, quelle esibite a scopo di pubblicità, successo negli affari, risultati politici, agitando corone di rosario in piazza o adornando i covi mafiosi di un pantheon di santi. Pure nel rispetto delle devozione come consolazione interiore, va sottolineata la necessità di una correzione verso una religione di liberazione, quale impegno di liberarsi e liberare le relazioni umane dalla corruzione, dal razzismo, dall’odio verso il diverso, dal caporalato, dagli evasori fiscali, dai muri, dalle gabbie in cui rinchiudere i bambini. Gesù ripete:” non chi dirà Signore Signore, ma chi avrà fatto la volontà del padre mio…” Se abbiamo così tanti devoti e così poca umanità un motivo ci sarà: quello della inutilità di molte nostre devozioni religiose.

Autore
Albino Michelin
17.09.2018

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