domenica 10 gennaio 2016

NOI SIAMO IL NOSTRO CORPO

Fra le realtà più importanti che noi conosciamo e possediamo la prima è senz'altro il nostro corpo fino al punto di affermare che noi non abbiamo solo un corpo, ma siamo il nostro corpo, ben inteso, non esclusa l'anima suo principio vitale. La cura del corpo è diventata oggi la nostra preoccupazione primaria. Si sa che attraverso un'appropriata alimentazione e controllo sanitario abbiamo anche allungato l’esistenza: la media pare sia 82 anni per le donne, 77 per gli uomini. Se riferito ai maschi il corpo deve essere snello, giovane e giovanile a qualsiasi età, forte, funzionale, palestrato, simbolo dello stato sociale. Se difettato va riparato come una vecchia macchina da ripristinare. Riferito alle donne il corpo deve essere ovviamente bello, formoso, a misure consacrate dalla moda, accattivante, seducente. Di qui il grande aumento delle cure di bellezza, saune, abbronzature, manicure, pedicur, massaggi, abbiglia menti, lifting, sport di ogni genere, ginnastica, diete dimagranti. Per non parlare della chirurgia plastica, gli arrotondamenti e aggiustamenti al silicone, l'estetizzazione praticata da ambo i sessi. Con i piercing ornamento del corpo, e il tatuaggio espressione, specchio dell'anima. L'obesità del corpo non viene giudicata una vergogna, ma addirittura una sporcizia, un sudiciume una sozzura, di più di una colpa! Quello che un tempo veniva considerato colpa per l’anima oggi è la pinguedine per il corpo. Così si arriva all’anoressia ed ad una serie di autoemarginazioni psicologiche che buttano le persone nel caos della depressione. Vale l'equazione che un corpo bello è salute, un corpo brutto è malattia. Un tempo si diceva che l'abito non fa l'uomo (o il monaco), oggi invece che il corpo fa l’uomo tout-court. Il ragionamento sembra filare giusto, ma il discorso diventa un po' squilibrato perché   pende tutto da una parte. Cioè non si fanno i conti che il corpo è anche fatalmente destinato al deperimento, alla malattia, alla vecchiaia, portatore di handicap. Indubbiamente il corpo è lo strumento relazionale che mi mette in rapporto con le persone e le cose. In effetti con gli occhi posso vedere, con le orecchie sentire, con le mani toccare, con il naso odorare, con il palato gustare. Però con il tempo occhi e orecchi e tutto si possono indebolire, il tatto immobilizzarsi causa una paralisi. Cioè il corpo come impedimento alla relazione. Tutto questo mi dice che io sono sì il mio corpo, ma non soltanto. Attraverso di esso sono una realtà che gli sfugge, addirittura gli è superiore. Ad esempio nel mondo non avremmo degli eroi se ciascuno di noi seguisse soltanto il linguaggio del corpo, che è quello di salvare la propria pelle.
                                                    Il nostro corpo: frate asino
Forse ci sarà di una certa utilità contestualizzare l'idea del corpo che gli uomini hanno avuto lungo la storia e continuano ad avere nelle civiltà di oggi. Ad esempio la tradizione ebraica dal 500 a.C. in poi, quella che ci viene descritta anche nella Bibbia, Vecchio Testamento. Essa dava al corpo un'estrema importanza, nel senso che poneva tutta la sua concentrazione su questa vita, sulle gioie di questa terra. In effetti quegli ebrei non erano pervenuti alla fede nella risurrezione del corpo dopo la morte. Al termine della vita tutto finiva in una specie di parking sotterraneo dove i morti si trasformavano in larve dormienti. Bisogna aspettare Gesù per sentirci affermare la risurrezione della “carne” dopo la morte. Il famoso «carpe diem», acchiappa il momento fugace, era la filosofia quotidiana non solo dei greci e dei latini, ma anche del popolo eletto. Diversa invece la concezione nella civiltà egiziana di 5 mila anni fa, 2500 anni precedente a quella ebraica. Gli egiziani praticavano la mummificazione, cioè imbalsamavano i morti. Motivo: credevano in una vita futura ma non riuscivano ad immaginarsela senza il corpo. Perciò imbalsamavano il defunto nella fiducia che l’anima trasportata nel Regno del Sole potesse ancora comunicare con il corpo, sia pure a distanza.  Non è esatto perciò affermare che la sopravvivenza nell’aldilà sia una credenza rivelata nel Cristianesimo, è molto più antica della nostra religione e la precede. In questa abbiamo avuto 2 mila anni fino a mezzo secolo fa circa, in cui è prevalso un rapporto piuttosto negativo uomo-corpo, un rapporto addirittura punitivo. Non certo per la mentalità di Gesù che con la sua preoccupazione di guarire ogni genere di malattie vedeva nel corpo un riflesso di Dio, cristallo appannato dalla sofferenza e dal dolore. Per Gesù valeva il proverbio «mens sana in corpore sano», mente sana in corpo sano. Non unilaterale invece il pensiero di Paolo allorché se da una parte definiva il corpo tempio dello Spirito Santo (la Cor. 3.16), dall'altra si prefiggeva di castigare il suo corpo e di ridurlo in schiavitù affinché dopo di aver predicato agli altri non diventasse reprobo egli stesso. Purtroppo però nella nostra storia bimillenaria occidentale ha preso il sopravvento questo secondo filone. Alla sua mentalità aveva contribuito non poco anche la filosofia di Platone (400 a.C.) definendo il corpo «prigione delle idee» dal quale queste dovrebbero liberarsi per raggiungere il mondo degli dei. Concezione più tardi abbracciata in gran parte anche dal cristianesimo. Origene (220 d.C.) pure lui ha screditato il corpo come carcere dell'anima, una quasi apologia inconscia al suicidio. Poi Gregorio Nisseno (380 d.C.) per il quale il corpo altro non era che una pelle di animale da deporre in una propizia occasione. E poi l'indimenticabile S. Agostino (400 d.C.) che descriveva il corpo come sede del peccato originale, quindi veicolo, attraverso il rapporto sessuale, di focolai infettivi nei posteri. In definitiva per tutto il medioevo ed oltre il corpo ha avuto poca importanza. Decisivo era il sapere se dopo pochi anni sulla terra si andava in paradiso o all'inferno. Polizza d'assicurazione per una salvezza eterna era quindi far pagare dazio al corpo con penitenze, digiuni, mortificazioni. In tale contesto si capiscono tutti quei santi che si ritiravano nel deserto a pane e acqua per tacitare la concupiscenza del corpo, altri che entravano in chiostri e conventi e si flagellavano la carne per tacitare impulsi malefici. Altri che si gettavano nudi nei cespugli si spine per soffocare gli appetiti erotici, altri che si picchiavano il corpo gridandogli “frate asino” per scacciare lontano le tentazioni del mondo femminile. Insomma una storia troppo frustrata nel disprezzo del corpo.
                                 Sull’” Espresso” si espone il Cardinale Martini
Oggi le cose sono in parre cambiate, si sono evolute, ma per una strana legge della compensazione si è finiti all’opposto: l’invadenza di torture, frustrazioni, sadismi, sfruttamenti, umiliazione del corpo ad ogni livello, commercio, prostituzione. In parte si ravvisa un certo ritorno a concentrare totalmente la vita sul corpo, sia in positivo come in negativo. Non va sottaciuto però un accenno alla sua componente sessuale come linguaggio erotico ed amoroso. Qui la chiesa cattolica attuale potrebbe ricercare un certo equilibrio superando tanti tabù, residuati di quella mentalità atavica. Sul Settimanale Espresso del 21.4.06 è apparsa un’intervista fra il Cardinal Martini e l’insigne chirurgo cattolico Ignazio Martino. L’ex arcivescovo di Milano in riferimento al corpo-sessualità sostiene tra l’altro che l’uso del profilattico sarebbe una male minore nella lotta contro l’Aids, apre all’adozione di embrioni anche da parte di donne single se questo serve ad evitare la distruzione di embrioni già fecondati, accenna qualche spiraglio all’adozione di bambini da parte di single quando  non vi siano altre  possibilità, parla  di fecondazione  eterologa (tema combattuto dal suo confratello Cardinal  Ruini  nella  crociata del  referendum 2005  sulla  procreazione assistita) come questione complessa su cui continuare ad interrogarsi  senza ostentare  certezze. Sull'aborto ripete che la vita fisica va rispettata e difesa aggiungendo però che questa non è il valore supremo assoluto. Insomma nella nostra chiesa del silenzio invita a dibattere e rileggere la problematica corpo-sessualità. Sono rilievi di grande importanza soprattutto se si pensa che Martini era un candidato alla successione di papa Wojtyla e nel primo scrutinio sufficientemente votato. Da parte dei cardinali di Curia, della chiesa gerarchica, dei giornali cattolici diocesani nessun commento, totalmente ignorato. È così però che nella cultura si fanno lentamente strada le applicazioni morali del vangelo ad una società in trasformazione. Oggi abbiamo bisogno proprio di questo: di dare al corpo-sessualità tutto il suo equilibrio e il suo valore. Da una parte togliere l'equivoco del corpo oggetto di investimento, dall’altra liberarlo da ogni indebita demonizzazione e da ogni malsano tabù.

Autore:
Albino Michelin
26.05.2006

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