martedì 12 gennaio 2016

PAPA RATZINGER SULLA DITTATURA DEL RELATIVISMO

Uno dei motivi, forse il principale, per cui Ratzinger dai cardinali fu eletto papa è stato il discorso del 18 aprile 2005 in occasione di funerali di Wojtyla e dell’apertura del conclave elettorale per il suo successore. Praticamente una dotta e serrata disquisizione sul relativismo e contro il relativismo, il grande pericolo della società attuale. Veramente egli vi ha aggiunto anche qualcosa d’altro come “nichilismo, agnosticismo, sincretismo, individualismo, marxismo, collettivismo, liberalismo” e tutta una serie di sismi, ma il suo chiodo fisso fu e sarà vita natural durante il relativismo. Dittatura del relativismo, che non riconosce nulla di definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le proprie voglie. Argomentazione serrata, pensiero netto che fanno di Ratzinger una persona coerente e lineare. Organizzazione e diplomazia non è suo mestiere, si lascia condurre dai vari canali e Ruini di turno, ma come filosofo e come teologo è riferimento indiscutibile. Tuttavia è sui contenuti del relativismo che il dibattito resta aperto e abbisogna di analisi in tutte le sue componenti. Diversamente espresso così si presta a dire di tutto e il contrario di tutto. Nessuno pretende di insegnare al papa di fare il suo mestiere, ci siamo noi o ci sono già tante mosche cocchiere nella nostra società, ma anche la visione di un pontefice è pur sempre legata alla sua cultura, alla sua natura, alla sua storia personale. Ignorare tutto questo significa fare del papa un dio in terra, con tutte le pericolose idolatrie, siano esse di matrice laica o ecclesiastica. Quindi intendiamoci prima sulle parole. Relativismo vorrebbe significare che tutto è niente e niente è tutto, ogni comportamento umano vale l’altro, sia a livello individuale che collettivo, è il mio istinto a decidere.  Ma può significare anche che in ogni aspetto umano, in ogni teoria, in ogni ideologia, in ogni uso e costume vi può essere qualcosa di positivo. E questo relativismo va studiato, approfondito, non a priori demonizzato. Talvolta addirittura usato come materiale di costruzione a fronte di nuove istanze e mode che si presentano. Dipende dalle competenze e dalla coscienza con cui il nuovo viene affrontato. L a coscienza indubbiamente ce l’abbiamo tutti, ma talvolta può anche essere sporca e muta, essa abbisogna di competenza, cioè di informazione, confronto, formazione, responsabilità. È il primo tipo di relativismo da noi citato che Ratzinger considera il più grande nemico dell’umanità oggi: che l’errore sia uguale alla verità, che tutte le verità si equivalgano, che non esistano verità assolute, principi immutabili nell’ambito morale, che ci si lasci portare qua e là da qualsiasi vento di dottrina.
                                              C’è anche una dittatura del dogmatismo.
Indubbiamente questa visione della realtà non deve portarci al dogmatismo. Perché se pericolosa oggi è la dittatura del relativismo, non meno lo è quella dell’assolutismo. In effetti ha anche Ratzinger stesso in più di una occasione relativizzato l’assolutismo della chiesa del passato, non solo dopo i mea culpa del predecessore, ma anche a non giudicare la storia di ieri con i pregiudizi e la mentalità di oggi. Caso emblematico, nella scorsa estate in occasione del suo viaggio in Polonia ebbe a dire che lo sterminio degli ebrei nell’ultima a guerra mondiale non è stato frutto dell’odio di tutto un popolo tedesco, ma soltanto di alcuni criminali nazisti. E aggiunse: ”conviene guardarsi dalla pretesa di giudicare le generazioni precedenti vissute in altri tempi e in altre circostanze in assenza di prove reali. Non si devono giudicare le differenti precomprensioni di allora”. Se ne deduce che ogni nostro giudizio può essere condizionato da un pregiudizio. Per cui trasferire il nostro giudizio di oggi, cioè il modo di valutare la bontà o la malvagità di un’azione del nostro tempo ad un comportamento del passato o viceversa può essere un’operazione frettolosa, imperfetta e superficiale. In un certo senso si può dire allora che tutto è relativo, che bisogna situare un atto umano in relazione al modo, alla cultura, alle circostanze in cui fu compiuto. Un secolo fa i predecessori dell’attuale papa condannavano la democrazia come una delle pesti più terribili. Oggi invece sembra che la democrazia l’abbia inventata addirittura la gerarchia cattolica e che solo quest’ ultima sia in grado di orientarla direttamente intervenendo ad ogni piè sospinto persino sulle leggi del parlamento.  Abramo della bibbia si racconta avesse deciso di uccidere il figlio Isacco per piacere a Dio. Oggi lo si considera un crimine, ieri invece rappresentava un gesto di sottomissione alla divinità sacrificando le cose e le persone più care. Sansone gridò:” perisca Sansone e tutti i filistei” facendosi crollare così il tempio addosso per coinvolgere nella rovina anche i nemici. Era un modo di dare lode a Dio sterminando chi in lui non credeva. Suicidio? Non passava nemmeno per la testa. Era martirio, atto eroico come i nostri kamikaze.  S.Tommaso nel 1200 sosteneva che a questo mondo ci vuole chi comanda e chi sta sottomesso. Quindi padroni e schiavi. E ha dato pure dei principi perché gli schiavi restassero tali e tali continuassero ad essere i padroni. Non si sognava di abolire la schiavitù perché contro la dignità dell’uomo. Semplice, era la morale del tempo che si vedeva garantita la continuità della società. Gli esquimesi di qualche secolo fa per la mancanza di generi alimentari e per l’eccessiva crescita della popolazione abbandonavano i vecchi a morire fra le placche del ghiaccio, non certo per crudeltà ma per necessità di alimentare le nuove generazioni.  Per noi è immorale questa mancanza di assistenza, oggi senz’altro, ma mettendoci nei panni loro, al loro posto, la cosa diventa relativa. Appunto relativismo accettabile. Per non affermare tutto e il contrario di tutto si deve dunque ammettere che esiste un relativismo buono ed uno pericoloso. Ma affermare tout court che oggi viviamo in pieno relativismo, veleno della nostra società, lo scomunicarlo significa fare una lettura partigiana del mondo nel terzo millennio. E gli esempi sarebbero infiniti. Importante è capirne la chiave di lettura. Non sono i principi assoluti, eterni, non negoziabili che fanno un comportamento onesto o disonesto, ma il soggetto stesso che riesce a riflettere su che cosa si compie, chi lo compie, perché lo compie, in quali circostanze lo compie, quali effetti ha previsto, quali alternative ha preferito o tralasciato. Quindi condannare in modo sommario e sbrigativo la cosiddetta etica della situazione (i tedeschi la chiamano Siti im Leben) potrebbe essere ottusità mentale e ignoranza delle coordinate psichiche dell’uomo. Indubbiamente bisogna difendere e diffondere nella nostra società ideali e principi, ma sempre con qualche analisi di fondo. Cioè i principi hanno delle costanti e delle variabili. Le variabili sono le applicazioni dei principi che possono nelle situazioni evolversi.  Aggiungiamo inoltre che esistono principi e ideali. Questi sono posti sempre davanti agli occhi di tutti con la differenza che fanno riferimento al futuro, sono sovversivi (vedanesi le beatitudini di Gesù), ma vengono realizzati gradualmente.
                               Confusione morale: che cosa è il bene e che cosa è il male?
Più che il relativismo dunque è oggi il qualunquismo morale a farci paura. Oggi abbiamo pensiero debole, morale bassa, etica carente. Lo Stato efficiente è quello che fa dei buoni affari, per cui il migliore sarebbe quello di evadere il fisco, la medicina dovrebbe permettersi tutto ciò di cui è capace, dire la verità non sarebbe sempre una virtù. Se fosse così, come sarebbe possibile mantenere i segreti professionali. L’onestà non sarebbe mai la miglior politica. I criteri giusti per l’informazione non sarebbero l’obbiettività ma il sensazionalismo. Profitto sarebbe farla franca, l’unico scopo dell’economia: spendere milioni per budget militari, anziché investire risorse per la sicurezza dei cittadini, sciupare capitali scandalosi per il festival di Sanremo con un milione di euro alla Hunziker e 700 mila a Pippo Baudo anziché garantire dalla disoccupazione i precari e dalla miseria i pensionati. Oggi un comportamento è morale, cioè onesto, solo perché è normale, cioè compiuto da tutti o dalla maggioranza. La scienza è diventata la nostra parola d’ordine, scientifico è sinonimo di etico. Se scientificamente arriviamo a fare qualche cosa, significa che dobbiamo e possiamo farlo. Degrado a lungo termine, come inquinamento, desertificazione, tramonto della civiltà, estinzione della specie, depauperamento demografico, boh… no problem. Gli animali possono sopravvivere grazie all’istinto, noi non abbiamo questa fortuna. Possiamo sopravvivere solo educando e attivando i nostri poteri valutativi morali. I valori morali sono più basilari di tutti gli altri, perché riguardano non ciò che facciamo, produciamo, possediamo, ma ciò che siamo come persone. Da questo caos ci usciremo soltanto se le varie religioni del mondo potranno tra di loro solidarizzare e diventare vere agenzie di formazione umana.  Anche la nostra chiesa cattolica dovrebbe recepire tutto questo evitando le solite musiche da organetto, ricette dogmatiche, rigidità, assolutismi, piagnistei, per riscoprire invece quel Gesù del “cercate prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia”.

Autore:
Albino Michelin
09.03.2007

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