mercoledì 6 gennaio 2016

MAREMOTO NEL SUD-EST ASIATICO: GUAI A VOI, POVERI!

E' questa un'espressione tratta per ironia dalla Bibbia (Luca 6,24) che sembra possa riferirsi anche all'immane tragedia del Sud est asiatico nella quale il 26.12.04 sono perite oltre 200 mila persone e rimaste senza tetto 5 milioni. Non è certo nefasta come quella registrata in Cina il 23.1.1556 con 830 mila morti, ma è pur sempre una catastrofe dalle dimensioni apocalittiche. La potremmo analizzare sotto tre aspetti: l'impatto psicologico, quello religioso (dov'è Dio?), quello umanitario (quale solidarietà?).
                                       Prima impressione: un senso di precarietà.
Francamente ai vulcani, agli oceani, alle placche che sostengono il continente non importa proprio nulla che sia natale, pasqua, la festa del patrono, la sagra del paese, ferie o giorni lavorativi. Tutti i giorni sono uguali. La natura semplicemente ci ospita e si può da un momento all'altro sbarazzarsi di noi, nonostante i nostri cellulari e navigatori satellitari. La tecnica non è in grado di controllare la terra, soprattutto se di essa ci si vuole fidare ciecamente. Ha ragione in parte anche Eschilo, l’antico tragediografo greco, quando fa dire a Prometeo che gli uomini sono effimeri, e pure il poeta francese del secolo scorso P. Claudel quando scrive che tutto il reale è effimero e l'effimero non è che un simbolo. Nella natura esiste un limite al di là del quale tutto si trasforma in perdita. Di qui il senso della nostra precarietà, di ciò che possediamo, di ciò che siamo. La vita e la terra più che sfruttate vanno capite. Si fa strada la necessità di amministrare in altro modo ciò che abbiamo, ciò che abbiamo guadagnato, smettere di sognare nella immortalità che non c’è, di convincerci che non c'è nessuna scienza che ci può permettere eterna gioventù. Vi sono territori dell'anima in cui la scienza non serve a nulla. Questi in sintesi i sentimenti che ci hanno attraversato dopo la devastazione dello tsunami.
Una domanda: dov’è Dio?
O non esiste o se esiste è impotente. Questa una delle tante conclusioni tirate di fronte ad una furia sismica in cui la maggioranza delle vittime sono stati bambini innocenti, pescatori e povera gente. La risposta (ne scelgo una fra le innumerevoli) data dal Cardinal Martino: "Dio ha voluto metterci alla prova" non ci soddisfa più di tanto, tirarci fuori Dio in questi casi è devastante, perché un Dio a questo prezzo nessuno lo vuole, anzi una religione così proposta in alcuni casi crea solo degli atei. Provvidenza non è provvidenzialismo e questo linguaggio è proprio un'incauta lettura provvidenzialistica della storia. Il fine non giustifica i mezzi cioè il raggiungimento di un fine buono (creare un mondo più onesto, della gente più brava) non giustifica neanche da parte di Dio il maneggio di ogni mezzo, disgrazie, catastrofi, sciagure, sofferenze. Diversamente abbassiamo Dio al livello di Macchiavelli, cioè che il fine giustifica i mezzi. Superare d'un balzo l'impasse e affermare piuttosto che "Dio dopo ogni calamità non ci abbandona mai" sembra la risposta meno semplicistica e meno sommaria. Il "non si muove foglia che Dio non voglia" è un bel proverbio che come dovunque ha però il suo bel controproverbio: "aiutati che il ciel t'aiuta". Certo nell'Antico Testamento si legge che Dio ha mandato il diluvio per "distruggere" l'umanità iniqua ad eccezione del giusto Noè, e che Dio nel Deuteronomio lancia il messaggio “sono io che do la morte e faccio vivere" (32,39), ma non è il Dio di Gesù! Il suo è il Dio della creazione, della redenzione dell'amore, non delle botte in testa. Il concetto di Paolo che la natura è diventata violenta e ingovernabile a causa del peccato originale di Adamo e di Eva che hanno mangiato la mela è un tentativo personale di innocentare Dio e toglierlo dalla responsabilità delle disgrazie. Vero cioè, come detto sopra, che Dio non c'entra, ma discutibile l'argomento che il peccato di Adamo abbia prodotto un tale sconquasso. Certo è un fatto: che più l'uomo si riconcilia con Dio rispettando le sue leggi poste nella natura, più la natura si riconcilia con l'uomo e gli diventa meno sinistra. Qui cade appropriata la recente osservazione di Luzzatto, porta-parola della religione ebraica: "la natura ha le sue leggi e le sue regole, tocca a noi conoscerle e allo scopo investire tempo e denaro per vivere meglio e più sicuri". E se Dio nella natura ha posto delle leggi egli perderebbe di credibilità se ad ogni momento intervenisse a sospenderle. Chi getta un sasso in aria sa che, una volta esauritasi la forza di propulsione, quello per la legge di gravità ritorna giù. Se non si sposta gli cade anche in testa. Nel caso non puo lamentarsi con Dio che non ha fatto il miracolo. Chi stanco dell'escursione si siede e si addormenta sopra un formicaio al risveglio non ha da reclamare contro Dio che gli insetti l'abbiano tutto martoriato. Chi costruisce baracche in un terreno sismico, o palazzi sotto il Vesuvio non può processare Dio se la terra sobbalza e il Vulcano erutta sommergendo tutto e tutti. Indubbiamente questi tentativi di risposta lasciano aperte delle obbiezioni, ma per lo meno sciolgono parecchi interrogativi e non tirano in campo sempre il Padre Eterno. La terra è un meccanismo autoregolativo, che dobbiamo conoscere e non semplicemente sfruttare. Essa è ancora giovane, in fase di assestamento, nonostante il suo sistema pare abbia avuto inizio circa 15 miliardi di anni fa, quindi in continuo divenire. In questo contesto si può inserire il detto di Paolo: "la creazione soffre e geme le doglie del parto" (Rom.8,22) e quello dell'Apocalisse in cui si promettono cieli nuovi e terre nuove (21,1).
                                                         Quale solidarietà?
L'attacco alle Torri Gemelle di New York l'11 settembre 2001 con oltre 3 mila morti ha diviso il mondo e creato uno scontro fra civiltà, perché un fatto umano. Il diluvio delle Maldive invece ha unito il mondo perché un fatto di "natura". Che le varie religioni abbiano rinunciato ai loro diversi riti funebri e si sia proceduto all'interramento in fosse comuni e a cremazioni di gruppo, dimostra che Dio è uno ed uguale per tutti. Altra considerazione: il maremoto tsunami non ha privilegiato alcuni rispetto ad altri vacanzieri del turismo, spacciatori di droga, ricchi nababbi, star dello spettacolo, sfruttatori del sesso, tutti accomunati con i poveri del luogo. Il tripudio verificatosi per qualche divo mediatico e qualche famiglia scampata che persino in Tv si è proclamata graziata e selezionata da Dio, come estratta a sorte, tutto ciò sa di sconcerto. Questa tragedia oltre che grande emozione poi ha suscitato dovunque una grande solidarietà.  E come primo intervento è senza dubbio stato necessario e resta encomiabile. Ma poiché questo disastro ha avuto in parte anche cause politiche, che si potranno ripetere in futuro, sulla solidarietà va fatto d'ora in poi un discorso più globale, allo scopo di fondare un ethos, cioè un'etica morale mondiale.  Diversamente tutto finisce nella retorica del buon cuore. Buona parte di questo disastro (pur ripetendo che la tecnica non arriva a tutto) va addebitato ad un peccato politico. Non lasciamoci commuovere dai 500 milioni di dollari per l’assistenza offerti dal Giappone e dai 350 degli Usa. Quando un bombardiere in Iraq costa 250 milioni significa che l'America ha contribuito con l'equivalente di un bombardiere ed un quarto. La guerra in Iraq costa 4 miliardi e mezzo di dollari al mese. Grazie per le donazioni, ma restano sempre una spilorceria nel secchio. Sì, perché il debito che quei 12 Paesi del maremoto hanno da tempo contratto con l'occidente ammonta a 350 miliardi (!) di dollari. Per cui la prima soluzione politica è l'annullamento del debito senza moratorie. Solidarietà politica significa anche fare delle scelte prioritarie: invece che investire per andare sulla luna, investire in quei territori per l'ecosistema, strumenti di previsione, d'allarme, di sanità. Nell’Oceano Pacifico tali sistemi esistono, ma si tratta di interessi fra due potenze economiche, Usa-Giappone. Nell'Oceano Indiano invece, nell'Indonesia fra i miserabili figli di un Dio minore tutto ciò è carente. Solo piscine imperiali a vantaggio dei pochissimi megaricchi. Ecco perché un terremoto di scala 7 causa maggior numero di vittime qui che non lo stesso terremoto ad uguale intensità nei territori dell'asse Usa-Giappone. Infine soluzione politica globale: 200 Paesi, 6 mila lingue tutti uniti, si pongano sotto l'egida dell'Onu, rinunciando in materia a fare i galli cedroni, i primi della classe, a correre da soli. Il mondo deve sentirsi una sola famiglia, la politica deve battersi per questo. E così anche la terra e l’ecosistema ci diventeranno una casa più amica.

Autore:
Albino Michelin
08.01.2005

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