giovedì 7 giugno 2018

DIMESSI IN BLOCCO I 34 VESCOVI DEL CILE

Mai nella chiesa è accaduto che l’intero episcopato di un Paese si dimettesse. E’ accaduto da parte dei vescovi cileni il 18 maggio u.s. in occasione di una vertice tenuto in vaticano, al quale Papa Francesco li aveva convocati. Preme qui sottolineare non tanto il fatto sensazione di cronaca, quanto e soprattutto il modo di affrontarlo. L’origine di questa specie di terremoto la conosciamo tutti. Si tratta della ripetuta e non risolta né scomparsa pedofilia del clero, e del suo frequente occultamento da parte dell’autorità superiore, dell’episcopato appunto. L’intervento è la conseguenza della visita che Bergoglio aveva fatto in Cile ai primi di aprile di quest’anno, in occasione della quale aveva anche sollecitato un colloquio con alcune persone tempo addietro abusate per anni da P. Ferdinando Karadina, considerato santo e formatore di preti e vescovi, alla fine risultato vero abusatore seriale. Come sempre accade inizialmente le vittime erano state dall’entourage ritenute non credibili, addirittura allontanate. Uno dei vescovi, Mons. Barros, era stato accusato di insabbiamento dei documenti e di copertura dei responsabili. Anche il Papa in aereo di ritorno verso Roma era stato dai giornalisti incalzato sul fatto di avere istintivamente difeso il Barros, sostenendo che in questi casi non bastano illazioni, occorrono prove. Prove che poi nel giro di un mese sono state raccolte ed esibite. Qui si chiude la notizia e si apre qualche considerazione. Nella vita non ci deve meravigliare del peccato, del crimine, o di una persona e di noi uomini che dentro ci caschiamo, quanto il modo di affrontarli, di riconoscerci, di prendere i dovuti rimedi. Quindi quello che qui nella fattispecie ci interessa è l’autoconfessione. Del Papa anzitutto che chiede scusa: ”ho sbagliato, anche per affrettate informazioni, di chiedere le prove alle vittime”. Non ha importanza qui se il fronte antibergoglio ha alzato testa e cresta e suonato le trombe. In secondo luogo l’autoconfessione di 34 vescovi che rimettono il mandato. Al di là delle nostre diplomazie, del tutti colpevoli e tutti innocenti, del male comune mezzo gaudio, il gesto fa riflettere in un mondo che ha smarrito il senso delle proprie responsabilità e della coscienza collettiva, e non solo nell’ambito della pedofilia, piaga assai più comune nelle famiglie e in tutti gli strati sociali. Papa Francesco non fa l’inquisitore, non va alla caccia delle streghe e dei colpevoli, di capri espiatori, ma va alla radice del problema mostrando quanto la malattia fosse diffusa, e frutto di decine di anni di nomine episcopali selezionate secondo cordate, preferenze e referenze vaticane. Non fa l’angelo sterminatore, ma si pone in atteggiamento penitenziale necessario per la tutela dei minori e perseguire quanti si macchiano di tali colpe. E aggiunge sempre: ”alle vittime ho chiesto di cuore perdono”. Ma significativa è anche la pubblicazione del documento emanato dai 34 vescovi che suona: ”con questa dichiarazione chiediamo perdono per il dolore arrecato alle vittime, al paese, al popolo di Dio e per i gravi errori e omissioni, intendiamo ristabilire la giustizia, contribuire alla riparazione del danno, desideriamo che il volto del Signore torni a risplendere. Chiediamo a tutti di aiutarci a percorrere questa strada. Con ciò abbiamo maturato l’idea che fosse opportuno dichiarare la disponibilità a rimettere i nostri mandati.” Certo all’inizio del vertice vaticano Bergoglio aveva distribuito a tutti questo testo o uno similare, ma ciò che meraviglia è la pubblica confessione, dichiarata al mondo intero. Indubbiamente il papa può accettare le dimissioni, può sospenderle, può renderle operative alla scelta dei successori. Al limite non è che “tutti e singoli” siano responsabili degli occultamenti del reato di pedofilia. Ma qui si da’ un bell’esempio di passaggio dalla casta alla comunità solidale e penitente. Si rende operativo il detto dalla Bibbia:” confessate a vicenda i vostri peccati”. (Gc.5,16) In effetti a che serve riferire al prete in confessionale, fra quattro pareti blindate, i propri peccati in privato e poi in pubblico continuare con la catena di soprusi? La grandezza morale di una persona, che sia religiosa, laica, politica, dignitaria non sta nel gonfiare il petto di onestà ipocrita e bolsa, ma nell’ammissione della propria realtà, e della propria debolezza. Papa Francesco e i vescovi cileni non si sono barricati sdegnosamente nei loro santuari accusando le forze sataniche, gli anticlericali, i massoni, i pretifaghi o mangiapreti che la chiesa è sempre stata e sempre sarà bersaglio del fumus persecutionis. Magari dimenticando la sincerità della chiesa dei primi secoli che si autodefiniva casta meretrix. (S. Ambrogio di Milano). Questo, nel contesto degli ultimi 5 anni di Papa Francesco, è coraggio, trasparenza, ritorno ad un Vangelo autentico. Si sente spesso dire che la chiesa è nostra madre e della propria madre non si parla mai male. O anche la chiesa è Dio, la chiesa ha sempre ragione. Facciamo distinzione di tempi e luoghi, nessuno parla male della chiesa di madre Teresa, della chiesa dei missionari religiosi e laici del terzo mondo, di generosi cristiani protestanti come lo zurighese E. Sieber da poco deceduto e di un elenco infinito. Questo dei vescovi cileni non è un semplice fatto di cronaca ma un vero evento di testimonianza morale ed etica, in un mondo in cui tutto è liquido, relativo, astuzia, nessuna distinzione fra bene e male. Qui la chiesa non si impone come maestra, giudice infallibile dell’operato altrui, atteggiamenti che spesso hanno dato e danno allo stomaco, ma come discepola del Signore e del suo Vangelo. Per cui ti può anche invogliare, può legittimare a ciascuno la sua eventuale appartenenza.

Autore
Albino Michelin
31.05.2018

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