domenica 3 novembre 2019

CULTURA DELLA MORTE: L'EQUIVOCO DEGLI SLOGAN

Francamente sembra a molti che parlare oggi di cultura della morte sia una mistificazione o una strategia strumentale per diffondere ogni tipo di colpevolizzazione. In effetti si dovrebbe meglio parlare di una sfrenata paranoia di vita eterna ininterrotta su questa terra e molti non benedicono affatto chi ha dato loro la vita perché sanno che “l'essere uomo è per la morte". L'espressione del filosofo tedesco Heidegger che molti arrivano a condividerla anche se privi di cultura universitaria. Siamo al corrente che ogni anno nel mondo si tolgono la vita 850 mila persone, 7 ogni 100.000 abitanti, in Europa 56 mila, in Italia 4000, in Svizzera circa un migliaio con costante aumento dei suicidi giovanili. La metà potrebbe essere salvata se potesse contare sul sostegno dei familiari ed amici. Senza dimenticare che un certo numero fra costoro la vita se la tolgono perché vanno fuori di testa, dal momento che ogni persona sana di mente alla propria vita è attaccata con i denti mascellari. Ma tutto ciò qui, non entra in linea di conto. Invece dovremmo citare tutti i casi per cui oggi si nota un'ansia e una psicosi di cultura della vita. Vivere, vivere bene, vivere sani, vivere pienamente, vivere più a lungo possibile. Il movimento globale giovanile sorto dalle piazze contro l'inquinamento dell'ambiente a favore di un clima vivibile, contro la deforestazione delle Amazzoni, contro la siccità di immensi territori che costringe gli abitanti all'emigrazione coatta lo dimostra. Ben 6.500 k2 di foreste distrutte nei primi otto mesi dei 2019. E ce ne accorgiamo direttamente pure noi quando spesso alla domenica le nostre città vengono chiuse al traffico per non morire tutti avvelenati. Anche se in fondo si costata una contraddizione fra il voler tutto e subito senza sacrificare nulla, paradosso di egoismo, in fondo la gente vuole garantirsi il pianeta terra come una casa abitabile senza paure di morte e di autodistruzione. Se poi scendiamo nei dettagli ci troviamo nell'imbarazzo della scelta: giovanilismo anche a 90 anni, istituti di bellezza, trattamenti e massaggi giapponesi, prevenzioni di ogni tipo, progresso dei medicinali, vaccini contro ogni genere di influenza, fitness, walking, footing, culto della vita anche se poi abbinato ad uno spreco della vita stessa buttata ad ogni tipo di piacere. Per non parlare della medicina e delle scienze medicali, dell'intelligenza artificiale per allungare la vita: si ipotizza pure riparazione-e trapianto del cervello, protesi cerebrali, reimpianto di neuroni, come si trattasse di restaurare un lavandino. Utopia senz'altro e intanto però attesta anche questa la nostra cultura contro la morte, altro che civiltà della morte. E anche chi uccide e pianifica guerre, si tratti da parte di paesi, nazioni, continenti lo fa per arricchirsi sulla pelle dei morti, sulle loro macerie e vivere cosi a lungo senza intralci di sorta. Identificare il testamento biologico e l'eutanasia con la cultura della morte a ben pensarci è fuorviante, è confondere la parte deteriore con il tutto. Qui bisognerebbe trattare con molto rispetto chi soffre le pene dell'inferno, specialmente da chi è sano di mente. Bisognerebbe sempre mettersi nella pelle degli altri, e non pontificare dall'alto delle proprie bigonce, pulpiti o parlamenti che siano. Si pensi a chi si trova in condizioni irreversibili, sofferenze fisiche o psichiche intollerabili patologie neurovegetative, paralisi progressive e tutto quell'oceano di degradi che riducono l'essere umano ad un vegetale, peggio ad un verme. La Chiesa italiana (Card. Bassetti presidente) alla sentenza della Cassazione (25.9.19) che apre al suicidio assistito ribadisce il suo sconcerto e si dichiara vigilante su quanto legifererà il parlamento con la speranza di paletti forti e garanzia al diritto di obbiezione di coscienza. Ma a molti non sembra una soluzione adeguata. La chiesa non deve attendere il responso della società civile, ha da esprimere il proprio orientamento evangelico prima e al di là delle leggi dello stato. E neanche va ridotto fra militanze di partito. In effetti esistono cattolici favorevoli al testamento biologico e laici contrari. Non è questione religiosa ma di sensibilità umana. Tre posizioni sembrano qui rappresentative del complesso problema. E vale la pena citarle. G. Bastianello: ”sono cattolico e desidero libertà di scelta. Ho 63 anni, da 14 malato di distrofia muscolare, da 10 costretto in carrozzella. Ogni mattina un pezzetto del mio corpo non risponde ai comandi, devo farci i conti tutto il giorno. Non condivido che eutanasia e suicidio assistito siano una soluzione di comodo e sbrigativa. Chiaramente mi batto per la vita e con un gruppo d volontari presto assistenza a persone in un letto con gravi disabilità peggiori delle mie. Sto per la libertà di una persona e se decide di andarsene deve essere lasciata libera. Che cosa c'è di sacro in una vita vegetativa?" Un secondo intervento degno di citazione è quello di Davide Oliviero, vescovo di Pinerolo (Torino): "Sono a favore della vita contro l'eutanasia. Ma la chiesa non si trinceri dietro ai principi generali, abbia il coraggio di affrontare i casi uno per uno, il coraggio di uscire dalle ideologie. Non ribadire verità perenni con la storia che cambia e con le situazioni particolari. Siamo usciti dai valori non negoziabili, necessario un tavolo di lavoro a più voci, stante la complessità della vicenda. Basta entrare in un ospedale e ci si si accorge che a ragionare sui grandi principi non ha alcun senso." Un terzo intervento di A. Maggi, religioso marianista, teologo e fondatore del centro biblico di Montefano (Macerata):" Sacra non è la vita, ma l'uomo. E' lui che ha il diritto di vedere rispettata la sua dignità e il suo voler morire. La chiesa deve offrire la cultura della solidarietà affinché nessuno abbia a chiedere la morte. Andrebbero uniti tre aspetti: Vicinanza alla persona, alla sua coscienza, alla sua libertà. Ogni caso va rispettato perché un caso a sé."' Certamente ogni vita è un dono di Dio. Ma non potrebbe essere a Dio rivolta la seguente preghiera: "Signore, questa vita per me è una lacerazione. Vorrei tornare da te. La vita che mi desti ecco ti rendo". Sarebbe questa una bestemmia, una viltà. un sacrilegio da meritare il profondo dell'inferno? Tutto questo dilemma potrebbe esser semplificato se uomini di chiesa e laici ricordassero un'affermazione fondamentale di Tommaso d'Acquino, (1200) santo dottore basilare della chiesa, il quale nella sua Metafisica scrisse:" l principi sono eterni, le loro applicazioni invece secondo coscienza e situazioni”.

Autore
Albino Michelin
28.09.2019

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