martedì 12 dicembre 2017

FRA PRETI PENSIONATI ITALIANI E SVIZZERI: UNA DISCRIMINAZIONE DA SUPERARE

Nel nostro tempo la pensione è sacra. Chi l’aspetta per liberarsi da ogni impegno, per farsi le crociere, per darsi agli hobby, passeggiare col cane, chi per scrivere le proprie memorie, dedicarsi all’arte, alla musica, alla cultura. Però in fondo la professione anche se non la eserciti più’, ma l’hai scelta o te la sei identificata, resta sempre nel tuo DNA. Un aspetto interessa qui al sottoscritto e riguarda i preti pensionati. In Svizzera i missionari stranieri e a servizio degli immigrati sono circa una sessantina, di cui una ventina in pensione. Nel dato specifico ci limitiamo agli italiani del Canton Zurigo, diocesi Coira, che sono sette. Ciò che fa riflettere è la disparità di trattamento, escluso quello economico che è paritetico i preti svizzeri si riuniscono in assemblee territoriali, dette decanali, in cui sono invitati tutti i sacerdoti, indigeni, stranieri, attivi e pensionati. In Svizzera esistono anche i territori suddivisi in zone per i missionari a servizio degli stranieri, dei quali finora maggioranza italiani con aggiunti anche di altre nazioni. Pure costoro organizzano delle riunioni separate per argomenti pastorali relativi ai fedeli di lingua straniera. Nella zona Zurigo due casi recenti servono a rappresentare la situazione generale. Ad inizio novembre un Decanato svizzero di questo cantone fece le votazioni interne per eleggere il nuovo presidente. I pensionati italiani ricevettero come al solito l’invito con diritto di voto passivo, cioè eleggere anche se non il diritto ad essere eletti. E’ un comportamento antidiscriminatorio che gli svizzeri mantengono sempre sia per le riunioni, escursioni, corsi culturali. Giusto modo per fraternizzare. Diverso il discorso nella zona di Zurigo riguardante i missionari italiani. Ad inizio ottobre ebbe luogo a Bari un corso di aggiornamento: tutti invitati eccetto i pensionati, che non sono grazie a Dio zoppi e disabili, ma tutti in buona salute: ignorati, discriminati, eliminati. E tale metodo avviene per tutte le riunioni trimestrali. Eccetto quando si tratta di riunione i preghiera. Comodo, tanto si parla con Dio, ma non con i propri simili. Ovvio che il sottoscritto parla per sé, non è stato incaricato dai pensionati, anche se li conosce della stessa opinione. Si parla tanto di fraternità sacerdotale: parola magica e sacrale. Che sembra esistere soltanto in caso di morte di un pensionato, allora tutti si danno convegno in tunica e stola rigorosamente violacea, con panegirici celesti al ministro di Dio e volute d’incenso alla memoria del caro estinto. Un prete pensionato, se ha scelto questa strada per passione e non solo per professione, non tanto ha piacere mantenersi alla conoscenza del proprio mondo religioso e pastorale, ma anche è aperto al sapere, alle nuove interpretazione teologiche e bibliche per ricevere dare un contributo di esperienza. Si parla e si osanna del prete ”Sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedecco”(Antico Testamento, Salmo 110,4) e lo si canta e suona con banda e coro il giorno della prima messa. Invece nella zona di Zurigo a 75 anni, non sei più prete in eterno, anche se per ipotesi dovessi campare fino a 100 anni, finito ad tempus, depositato in garage finché morte non t’incolga. Questa prassi discriminatoria non esiste nemmeno nelle congregazioni religiose. Dove per esempio in quella di appartenenza del sottoscritto (Scalabrini), tutti sono invitati con voto attivo e passivo alle elezioni della Direzione, alle riunioni di settore, corsi di cultura e aggiornamento. Concediamo e siamo pure d’accordo che quando un sacerdote va in pensione non dovrebbe più interferire nella pastorale e nel lavoro del suo successore. Ma qui siamo in altro campo, anche se esistono eccezioni di pensionati che restano nella stessa parrocchia come collaboratori, pur senza responsabilità giuridica. Per dilucidazione mi si consenta un caso personale: allorché il sottoscritto si pensionò e dopo due anni la Missione celebrò il 50° di fondazione nella quale lavorò per 28 anni fu invitato a partecipare, ma declinò l’invito. Ovvio con dispiacere e delusione della gente. Però se al momento delle dimissioni gli si ingiunse di non interferire, non c’è motivo dell’invito. Può essere considerato una manovra per dare pompa al festone e ostentare “fraternità sacerdotale”. Coerenza cercasi, coerenza esigesi: è doveroso che il “popolo di Dio” lo sappia. A questo discorso andrebbe collegato, anche se indirettamente, quello delle sostituzioni. Vi sono missioni in cui per celebrare una messa si ingaggia un prete a distanza di 200 km. quando a 100 metri abita un missionario pensionato, il quale a sua volta viene invitato a celebrare una messa ad altri 200 km di distanza, il tutto perché pende la proibizione(?) di dire la messa nella sua parrocchia precedente. Ovvio con spreco di denaro, civiltà dello spreco direbbe Papa Francesco, tanto paga pantalone, cioè il popolo di Dio che versa le sue tasse di culto in fiducia, ma che se lo sapesse comincerebbe a farsi qualche pensierino. Queste osservazioni non sono un grido di allarme, nessun vittimismo, nessun SOS, ma una doverosa denuncia, sinonimo di annuncio per un superamento della discriminazione su citata ed eventuale utilizzo di preti pensionati ancora disponibili, molti dei quali in grado di prestarsi gratuitamente.

Autore:
Albino Michelin
10-12-2017

Nessun commento:

Posta un commento