lunedì 6 settembre 2021

OLIMPIADI DI TOKIO 2021: GRAZIE ALL'ITALIA MULTIETNICA

L’estate 2021 ci ha offerto due grossi eventi sportivi. Dapprima il campionato europeo di calcio (11.6-11.7) con la conquista della coppa, il secondo le olimpiadi di Tokyo (23.7-8.8) dove l’Italia ha battuto ogni suo record di medaglie, per la precisione 40. I due successi però possono avere una diversa risonanza. Nel secondo non ha vinto l’Italia anagrafica ma quella reale, composta di cittadini nati all’interno dei nostri confini e di altri che hanno scelto l’italianità. Il trionfo calcistico entra un po’ nella nostra tradizione, ma è una esperienza sia detto più superficiale, esplosioni di fuochi d’artificio, caroselli di clacson per le strade. In breve tutto si sgonfia. Il record di Tokio invece ci regala un’esperienza nuova e più profonda, meno chiassosa e più genuina, e ci pone alcune riflessioni. Anzitutto dal punto di vista finanziario. Tutti lamentiamo le cifre astronomiche con cui vengono foraggiati i calciatori, e anche questa volta nel pieno dell’estate Lukaku il belga dell’Inter è stato trasferito al Chelsea per 115 milioni. Che poi tali divi al di là della trasferta godano di un assegno annuale dai 10 milioni in su non ci interessa, basta che vinca l’Italia. I nostri olimpionici invece dopo anni di lavoro oscuro in campi e strutture sportive senza nessuna visibilità mediatica, carenti di audience, poco osannati e privilegiati, per niente viziati, ci offrono prestazioni esaltanti, con una medagli d’oro valutata 180 mila euro, d’argento 160, di bronzo 90. Certo non sono guadagni da pensionati, ma rimangono su uno standard comprensibile. Questo un primo motivo per cui il successo di Tokyo ci rende più fieri e meno spocchiosi di una coppa calcistica europea. E poi c’è qualcosa di più condivisibile. Tokyo non fu una platea calcistica, ma ci offrì 30 tipi di discipline sportive secondo l’affermazione di Federica Pellegrini che al di là della calciomania l’esercizio e le prestazioni del corpo umano sono molteplici e meravigliose. L’Italia vi ha partecipato con 386 atleti, di cui 46 nati o all’estero o stranieri nati in Italia. Senza contare gli integrati che vi stanno alle spalle: allenatori, preparatori, tecnici, famiglie, sostenitori: mosaico di uno sport, specchio di una società cambiata, più velocemente anche dei media, delle strutture, delle istituzioni. Gli straordinari successi sportivi ci dicono che l’Italia è diventata una nazione multietnica. E non si dimentichi “multiregionale. Un sardo di Oristano (St. Oppo), un sardo-lombardo (F. Tortu), un agrigentino-avellinese (A. Baldassarre), una pugliese (A. Palmisanoi), hanno demolito anni di pregiudizi, nazionalismi, odio razziale, in poche parole hanno sconfitto l’ignoranza. Questa è l’Italia che ci piace vedere, perché non si tratta di orgoglio sardo, lombardo, pugliese, campano, siciliano, ma italiano. E altrettanto ci insegnano atleti stranieri o di doppia nazionalità. M. Jobs, due ori, madre bresciana padre marine statunitense. Sara Di Maria, padre calabrese madre canadese. E il caso di F. Desolu, (oro staffetta) nato a Cremona, figlio della nigeriana Veronica da anni immigrata, addetta ai più umili lavori, la quale ha rinunciato a seguire in tv la vittoria del figlio perché”: sono badante e devo accudire ad una anziana”: episodio da romanzo Cuore del De Amicis. La riscoperta di un “noi” meno nevrotico è il felice risultato di Tokyo. Ha vinto l’Italia reale, quella dei nativi e quella degli emigrati. Sappiamo che l’Italia fisica è fin dall’antichità terreno di transito e che l’Italia politica attuale è venuta a contatto con emigrazioni di massa solo nel 1996 con i primi barconi dall’Albania. Di qui la trasformazione. Una nazione composta quasi esclusivamente da italiani per nascita si arricchisce a merito di italiani per scelta. La nostra storia ci aiuta con gli esempi del passato, tesi un pò troppo a frenare la crescita multietnica. L’ostilità viscerale fra nord e sud, il razzismo contro i meridionali, le leggi razziali del 1938 contro gli ebrei, le lacerazioni fra cattolici e laici nel dopoguerra, l’intolleranza verso i migranti, l’odio sugli spalti degli stadi ci dicono come nel nostro DNA si annida anche un pericoloso seme di rigetto verso il prossimo. Ma siamo anche una nazione che nasce dal risorgimento trovando una matrice unitaria fra tante patrie regionali diverse. Non si vuole qui inquinare il successo sportivo con il dibattito politico, ma utilizzarlo come risorsa non dovrebbe nuocere. Tokyo è anche un successo della seconda generazione dei nostri stranieri. Sappiamo che più di un milione di questi ragazzi attendono una soluzione: il diritto di cittadinanza. Tre disegni di legge sono fermi da un anno. Lo jus soli (diritto alla cittadinanza appunto per chi nasce in questo suolo, cioè l’Italia) dovrebbe tendere a semplificare il tempo di attesa, il raggiungimento del diciottesimo anno, con permanenza ininterrotta. E’ nota la burocrazia e anche il fatto che chi diventa cittadino italiano diventa pure europeo e quindi la Commissione ad hoc ha diritto di decisione. Ma temere un futuro tribalizzato e degradato della nostra ’italianità’ può sembrare fuorviante. L’incontro fra italiani per nascita e italiani per scelta ci permetterà di affrontare sfide globali come le medaglie di Tokyo dimostrano e diventare il volano di una crescita collettiva, ampiamente identitaria e culturale.

Autore: Albino Michelin 08.07.2021
albin.michel@live.com

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