martedì 7 settembre 2021

PERCHÈ NELLE CHIESE PREDOMINA IL CROCEFISSO SUL GESÙ RISORTO

Si ha un bel dire e proclamare che la Pasqua è la festa più importante dei cattolici perché centro della loro fede. Poi di fatto nelle chiese campeggia il crocefisso, la croce con inchiodato il Cristo morto. Assente quasi totalmente l’immagine del Gesù risorto. La contraddizione è palese. Negli anni 70 del secolo scorso fu costruita a Lugano una chiesa meravigliosa, di imponente architettura dell’artista Rino Tami e dedicata al Cristo Risorto. Al centro dell’abside un crocefisso di ampia dimensione, quasi ad occupare tutto lo spazio e l’attenzione, e dietro nel murale dell’abside una icona un po’ enigmatica ed eterea del risorto. Per non dire poi l’invasione di croci e crocefissi in ogni angolo di strada, sui monti e lungo i sentieri, nei bar, nei luoghi pubblici, nelle scuole, nei tribunali. Persino nei dibattiti televisivi. Basti rammentare una trasmissione Rai del 26.10.15, degenerata in bolgia con cori da stadio in cui il duo Gilletti-D’Urso si schieravano a difesa del simulacro con la Santachè a dare del pedofilo a Maometto perché su Gesù crocefisso si limitava al rispetto, ma senza fanatismo. Oggi si inizia anche a vedere chiese in cui si espone sì la croce, ma senza crocefisso in prima evidenza e sarebbe ritornare ad un cristianesimo che pone i valori prioritari ciascuno al proprio posto, ma i cattolici tradizionalisti tacciano la novità di modernismo in senso spregiativo e protestante. Come dire che il virus antiprotestante per i cattolici è sempre in agguato. E pensare che la croce nella sua origine induista e precristiana significava svasta-svastica, cioè “salve, salute a tutti” perché con le braccia aperte alle quattro dimensioni, punti cardinali, intendeva abbracciare il mondo. Un breve excursus storico ci dice che nei primi periodi del Cristianesimo non si onorava la croce: Gesù aveva diversi appellativi, pantocrate, glorioso, buon pastore e simili, ma non crocefisso, anche perché i credenti si attenevano alle prescrizioni dell’Esodo (20,4-5) di non farsi immagini delle divinità. E soprattutto perché per loro Gesù era il vivente, morto una volta per tutte. (1° Pietro c.3,18). E la sua risurrezione già era avvenuta sulla croce, quando Dio Padre lo accolse e divenne per noi il vincitore della morte. A partire dal 1100 Gesù veniva rappresentato vivo sulla croce con tunica bianca da risorto ed una corona regale gemmata sul capo. Dal 1200 con Jacopone da Todi si fece strada e fino ai nostri giorni una involuzione. La devozione al crocefisso divenne identificazione con lui da una parte e auto colpevolizzazione personale dall’altra. Identificazione fra la sofferenza di Gesù e la nostra vita piena di tribolazioni, per cui diventava più spontaneo il pensare al Cisto morto che non al risorto, un po’ lontano dalle nostre tragedie comuni. Tale identificazione però veniva abbinata al bisogno di espiazione. Cioè siamo noi i colpevoli di averlo messo in croce,” sono stato io l’ingrato Gesù mio perdon pietà”. Quindi penitenza, digiuno, mortificazioni per ottenere misericordia e paradiso. Il tutto anche sostenuto da una letteratura del tempo specie da” l’imitazione di Cristo” di Tommaso da Kempis. Di qui pure la denominazione sacrificio della croce” dato alla messa. Mentre per Gesù essa significava-la condivisone del pane, per i cattolici del medioevo fino ad oggi è diventata la riappacificazione di Dio con l’umanità tramite la morte di Gesù in croce, come Dio fosse un Moloch sanguinario che si placa per mezzo di sacrifici umani. Questo concetto è rimasto anche nella riforma recente del messale romano, un maquillage di qualche mutata espressione, ma che ha lasciato intatto l’impianto di messa sacrificio della croce, l’esaltazione del crocefisso. Anche questo un motivo di fondo della supremazia del Cristo morto su quello risorto. Certo lungo la storia il crocifisso ha incentivato l’arte. Si pensi a quello di Cimabue del 1277, alla Pietà del Michelangelo, capolavoro senza tempo, alle opere di Mantegna 1433 e di Velasquez 1631 cariche di valore emotivo, a Marc Chagall (+1985) dall’identità ebraica di Gesù. Innumerevoli poi le chiese dedicate al santo crocefisso. E ben 32 sarebbero i chiodi venerati nel mondo come autentici. Ma troppo spesso l’arte ci pone davanti a Cristi languenti, macerati, abbrutiti dal dolore, raccapriccianti come nel film di Mel Gibson. E diffuse sono pure le cosiddette Via Crucis viventi in molti paesi dell’occidente, da quella di Oberammergau in Germania, a Mendrisio in Svizzera Ticino. Anche il sottoscritto per 20 anni l’ha organizzato ogni venerdì santo ad Affoltern nello zurighese con enorme concorso di popolo, oltre il migliaio di partecipanti, dando ad essa però un contenuto culturale e motivazioni sociali.” Come può un uomo uccidere un altro uomo”, cantava nel tragitto il brano Auschwitz dei Nomadi. Ma i cattolici di sempre preferivano testi lacrimosi e penitenziali. A dimostrazione anche qui della carenza del Gesù risorto, del Vivente, datore di ogni energia spirituale all’universo e all’ essere umano, garante dell’unità fra immanenza e trascendenza, dell’aldiquà e l’aldilà, fra questa vita e il post mortem. Un cristianesimo depauperato e piegato sotto il peso del peccato se pensiamo fra l’altro al primo saluto di benvenuto alla vita che si dà ad un bambino portato al battesimo:” Rinunci a Satana?” inserito in una messa che per nove volte porta la gente a battersi il petto peccatrice. Se non si passa dall’episodio pur tragico di Gesù morto al Gesù risorto, avremo sempre una religione basata sul dolorismo, anziché sulla gioia del Vangelo e del suo lieto annuncio

Autore: Albino Michelin 16.07.2021
albin.michel@live.com

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