domenica 22 aprile 2018

IL BISOGNO DI NON PENSARE

In Italia non è che manchino dei buoni pensatori e teologi aperti ai problemi della ricerca e dell’approfondimento sia sul campo dei dogmi, della bibbia, della tradizioni di chiesa, il fatto è che spesso non trovano diritto di cittadinanza e vengono tacitati dalle correnti conservatrici che non si risparmiano di ricorrere a censure discriminatorie. Fra questi teologi e filosofi di rilievo può essere annoverato Vito Mancuso, il quale non ostante la sua relativa giovane età, ha già pubblicato finora una decina di studi interessanti ed innovatori, l’ultimo dei quali si intitola, ”Il bisogno di pensare” edito nel 2017. Il Cardinal Martini (1927-2012), pure profondo pensatore, sosteneva che i cattolici non si dividono fra praticanti e non, ma fra coloro che pensano e coloro che non pensano. E’ infatti il pensare lo spartiacque fra il mondo umano da una parte e quello naturale, vegetale, animale dall’altra. Se non ci fosse l’uomo a pensarlo, quest’ultimo in certo senso non esisterebbe nemmeno. Che senso avrebbero i picchi delle dolomiti, l’azzurro del mare, il profumo di un fiore? Di qui potrebbe meravigliare, ma non più di tanto, che lo stesso Vito Mancuso sostenga pure “il bisogno di non pensare”. Tutto sta ad intendersi. Infatti a ragionarci sopra, non gli si può dare torto. In effetti non esiste nessuno che almeno qualche volta non abbia provato l’esigenza di sgomberare la mente, di fermarla, di metterla a tacere, col desiderio di trovarsi finalmente leggero, sereno,” spensierato”. E’ anzi una forma di igiene mentale. In effetti può succedere che i troppi “pensieri” siano fonte di inquietudine, e spesso di malattia. Possono essere tossici, generare veleno, rendere veleno la stessa persona. Quel continuo e insoddisfatto rimuginare, che non si dovrebbe chiamare pensiero ma “pensieri”, cioè fastidi, preoccupazioni, ansia, paure, elaborazioni mentali deformanti e ingigantite. Arrivano quando vogliono, non richiesti, non graditi, ossessioni di giorno e di notte che si insinuano nella nostra psiche e non ci lasciano più. Appartengono al cosiddetto pensiero predatore, frutto di un ego e di una volontà che ci porta a pensare unicamente al guadagnare, possedere, dominare, conquistare. Certo guadagno e conquista sono una caratteristica inevitabile della specie umana. Occorre dire però che in occidente tale mentalità di vivere e di pensare si è fatta prevalente. Un tempo si lavorava per vivere, oggi si vive per lavorare, si lavora per guadagnare e conquistare sempre di più, in una spirale inesorabile. Al psicologo C. G. Jung il capo di un popolo sudamericano diceva: ”Voi bianchi siete sempre in ansia, non si sa di che cosa, siete fissati, lo si vede dagli occhi, scontenti ed irrequieti. Invece di pensare col cuore pensate col cervello e con la testa.” A questo tipo di pensiero predatore si potrebbe aggiungere il pensiero-ideologico, quell’adesione acritica e integrale ad una ideologia, come ad un blocco mentale, sia essa ateo, politico, religioso o di altro tipo. Si diventa così succubi del pensiero altrui esibendo e ripetendo un pensiero uniforme e stereotipato. Si tratta di una prigionia della mente che si riscontra in coloro che vivono un’esperienza di fede integralista e fondamentalista. Una servitù del pensiero che non si ferma solo all’ambito religioso, ma che anche in tutte le forme di cultura, pensiero, del potere. Indubbiamente la coerenza ai principi religiosi o etici sta a salvaguardia dei propri riferimenti, ma la chiusura mentale, quel tipo di cocciutaggine altera e altezzosa non è frutto di un pensiero sano, ma avvelenato e velenoso. Qualcuno a questo punto potrebbe aggiungere che esiste anche un'altra forma di pensiero inquinato, che rischia di fare più male che bene. Ed è quello che nasce dal molto leggere libri e giornali. E’ ovvio che la libertà di stampa può rappresentare una delle forme principali di liberazione della mente. Si pensi all’assonanza fra libro-libertà libero. Non si dimentichi però che i molti libri e i molti giornali possono generare una dipendenza dal pensiero altrui. La cultura libresca non sempre rende indipendenti ma succubi della vita degli altri. Permettiamo cioè che altri guidino i nostri pensieri. Il leggere non dovrebbe significare pensare con la testa altrui, ma con la propria. In realtà la lettura dovrebbe essere un servizio al pensiero non una sua sostituzione. Il che significa che il leggere è importante, perché senza l’incontro con i grandi libri il pensiero rimane ingenuo e poco avvertito. Ma più importante del leggere è il “rileggere”, e ancora più importante del rileggere è il “riflettere” perché la vera e propria meta è il “pensiero”, elaborare un pensiero autonomo e creativo, facendolo passare come si fa attraverso una lavatrice per la biancheria sporca, cioè attraverso il silenzio interiore e personale. Se così non fosse, allora sì meglio è non pensare, combineremmo meno guai a noi stessi e agli altri.

Autore
Albino Michelin
14.04.2018

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