mercoledì 11 dicembre 2019

COLONIZZAZIONE NON È EVANGELIZZAZIONE


È un’espressione tipica di Papa Bergoglio quando il 6 ottobre 19 disse:” quante volte il dono di Dio è stato imposto, quante volte c’è stata colonizzazione anziché evangelizzazione”. Certamente è una riflessione sul metodo piuttosto che sulla sostanza. Però non bisogna sottovalutare il messaggio. Se pensiamo all’America del 1500 dobbiamo subito anticipare che la religione non è arrivata sulle tre caravelle di Cristoforo Colombo. Vi è una presenza di Dio in tutte le popolazioni e relative culture anche in quelle precolombiane e preconizzate perché da sempre l’uomo, secondo un antico adagio è “capax Dei”, capace di Dio. Come dicevano già S. Giustino (160 d. c.): ”la rivelazione di Dio ha sparso i suoi semi in tutto l’universo” dall’inizio del mondo sia nella saggezza indiana come nella civiltà dei maya e degli aztechi. Dio è tanto grande da aver permesso ad ogni gruppo umano una visione di versa di lui. E’ talmente infinito che nessun gruppo umano può vantare il privilegio di esaurirne la percezione. E’ comunque fuori discussione che in passato la diffusione del Cristianesimo sia avvenuta mediante i colonizzatori che adottarono diversi metodi: sradicare totalmente i riti dei residenti o assimilarli, o sostituirli o piuttosto di niente accettare la contaminazione reciproca attraverso l’inculturazione. Caso abbastanza noto quello della religione romana, che i cristiani definivano pagana perché praticata da coloro che vivevano nei pagi, cioè nelle campagne. Dove i romani aveva posto le loro divinità a protezione del territorio, ad esempio Dana nelle selve e nelle acque, oppure Cerere a salvaguardia delle biade, i cristiani spazzavano via sostituendole con Maria Vergine delle acque e S. Isidoro patrono del raccolto. Ugualmente successe con il pantheon che riuniva tutti gli dei romani: la chiesa per impulso del re francese Luigi il Pio (835 d.C.) ripulì il monumento introducendo la festa di tutti i santi del primo novembre .E siccome fra i celti irlandesi scozzesi del nord si celebrava la festa detta pagana di Halloween (in inglese tutti i santi) in cui le popolazioni festeggiavano il ritorno per un giorno alla vita dei propri morti, la chiesa operò anche colà la sua sostituzione aggiungendo il 2 novembre quale giorno dedicato alla commemorazione dei defunti. Per inciso la sostituzione non ebbe molto effetto se oggi noi costatiamo che Halloween fa capolino da tutte le parti insieme con la celebrazione cattolica per la grande gioia dei bambini che si travestono con maschere spesso macabre per disturbare la gente, mentre gli adulti preferiscono esporre alle finestre zucche a teschio illuminato da un cero. Si trattò di sostituzioni indolori. Ma con gli attivi dal 1400 in poi specie ad opera di spagnoli, portoghesi, olandesi ed altri si ebbero delle vere colonizzazioni ed imposizioni della religione propria dei conquistatori. Persino l’obbligo del battesimo, con lo slogan: o battesimo o morte. Da parte degli indigeni talora vi furono delle resistenze perché estraneo a loro il linguaggio dei dogmi cattolici. Significativa la traduzione del Padre nostro in cui si dovette rivedere la formula” venga il tuo regno”. Incomprensibile per i locali la parola regno, non entrava nella loro tradizione. Si dovette tradurre con:” Signore, risuoni il tuo tamburo dentro la foresta.” Grammaticalmente uno strafalcione, ma senso perfettamente esatto perché rispondente alla cultura Indios. Colonizzatore o missionario non può portare in quegli ambienti vergini tout court la propria teologia romana senza tener conto delle sfumature locali. Nel caso su citato si tratta di contaminazione o combinazione interculturale. E quando nel 1635 a Guadalupe nel Messico apparve la Madonna non si presentò con l’abbigliamento europeo o del suo paese natale Nazareth ma con quello di una morenita, meticcia, grande mantello colorato, per di più incinta. E nella sua narrazione al veggente Diego parlando di Dio usò il linguaggio locale chiamandolo Tialoc, tipico degli Aztechi. Anche in questo caso un automatico adeguamento, anche se forzato, del Cristianesimo alle tradizioni locali. In altre situazioni invece la cultura del luogo venne osteggiata da parte dei colonizzatori causando pure delle guerre e martirio a diversi missionari spesso considerati fiancheggiatori degli occupanti. Per cui oggi è auspicabile tendere alla evangelizzazione nel senso su accennato di “interculturazione”, cioè incorporare alcuni elementi propri dei destinatari, senza per questo dimenticare il messaggio essenziale del Cristianesimo. Se si vuole ad esempio evangelizzare il Benin, paese africano di 11 milioni di abitanti, bisognerebbe tener conto della loro religione vudu, dalle origini ancestrali quanto l’umanità. Al di là di ciò che noi chiamiamo superstizioni potrebbero darci il senso di Dio come spirito universale che anima ogni cosa, il rapporto con la comunità dei defunti. Non hanno solo gli stregoni, l’uccisione della gallina, la reincarnazione. D’altronde a pensarci bene, quale differenza nella sostanza fra i nostri santi, i nostri sacrifici per ottenere la benevolenza del cielo, il nostro purgatorio? Pare che in fondo nell’inconscio collettivo ci troviamo tutti sulle stesse realtà con nomi e piccoli dettagli diversi. Lo stesso dicasi dei paesi orientali, tipo India. Giusto evangelizzare, ma opportuno sarebbe anche essere dagli induisti evangelizzati. Perché un po’ di spiritualità, di meditazione, di silenzio interiore noi così pragmatici sul fare, sul produrre, sul guadagnare, così stressati dalla tecnologia qualcosa avremmo pure da imparare. Senza dimenticare che oggi la preoccupazione principale nel nostro mondo planetario l’evangelizzazione consisterebbe nel portare promozione umana e dignità a tutti coloro che dai colonizzatori con la conversione al Cristianesimo hanno subito schiavitù, confische e miseria.

Autore
Albino Michelin
23.10.2019

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