mercoledì 9 febbraio 2022

GRAZIE JOSEF MARIA, VESCOVO DI COIRA-ZURIGO

Sembra quasi un automatismo collettivo, una legge di natura che quando arriva un vescovo a celebrare una messa domenicale la chiesa si stipi di fedeli, molti in piedi e non pochi a sostare sul sagrato. Nelle normali domeniche poi si ritorna alla carestia quasi totale. Veramente non si sa se trattarsi di fenomeno religioso o di curiosità verso i vip e le star di circostanza. Lo si è costatato recentemente in una missione di lingua italiana dello zurighese, allorché all’aperitivo conclusivo si accese una moderata discussione sul come si deve chiamare un Vescovo, se eminenza, eccellenza, reverendissima illustrissima, ed altro. Arrivato l’animato dilemma all’ospite egli rispose: “mi chiamo Josef Maria, Vescovo”. Veramente non è una novità da queste parti se pensiamo che già 20 anni or sono un suo predecessore ebbe a dichiarare che in Svizzera non si usa eccellenza vescovo, ma un normale appellativo. Di qui una domanda che sembra peregrina: “ma questa è usanza svizzera o sarebbe un linguaggio abituale nella comunità cristiana dovunque ci si trovi?” Cioè un papa, un cardinale, un vescovo un prete è un dignitario oppure un testimone della fede, fratello tra fratelli? La risposta è quella classica data agli apostoli da Gesù, ma rimasta da secoli sotto il tappetto” Non siate come i grandi del mondo interessati a comandare, ma come il figlio dell’uomo che è venuto non per essere servito, ma per servire” (Mt.20,28). Uno spirito mondano si è infiltrato in questo purissimo messaggio di Gesù allorché l’imperatore Costantino nel logorio dell’impero romano fece omaggio della città di Roma a Papa Silvestro verso il 335 d. c. Ne scrive anche Dante (Inf.19,115):” Ah Costantin di quanto mal fu matre non la tua conversion, ma quella dote che da te prese il primo ricco patre” Ovvio, per dote si intende la donazione, ricco patre Silvestro. Storico o meno l’omaggio, qui ebbe l’inizio fetale lo stato pontificio e l’inquinamento del Cristianesimo con il potere, i privilegi, le dignità, le carriere, la mondanità. Fino alla definitiva dichiarazione di Teodosio imperatore nel suo editto del 27.2.380 “cunctos populos” (Obblighiamo tutti i popoli a diventare cristiani) con cui fondava la chiesa, di qui chiamata” cattolica”. Certo inserita in quella precedente e di essa continuazione, ma con un assolutismo deviante, iniziando così un dogmatismo ed una persecuzione dei cristiani contro i pagani, gli eretici, i diversi che non intendevano convertirsi. Di qui anche autoreferenzialità ed assunzione di privilegi e onorificenze molto lontane dal pensiero di Gesù. E da allora col tempo il papa si fregiò del titolo Sua Santità, arrivando a definire con Gregorio VII (Dictatus nr.9 del 1075) che solo al papa ogni principe deve baciare i piedi. Per Gesù tutti i credenti sono santi, lo dice anche Paolo (Ef.1,1)). Per l’attuale chiesa i santi sono in cielo, per il Vangelo sono qui sulla terra, dove tutti siamo fratelli. Ben lo comprese Bergoglio che rinunciò a Sua Santità e si fece chiamare Francesco. Qualcuno dirà che si tratterebbe di una egemonia ipocrita in quanto si darebbe l’impressione di una riforma cosmesi di chiesa, a patto che tutto resti inalterato negli aspetti di fondo. Ma su questo è di dovere sospendere il giudizio. A ruota segue l’altro appellativo “Eminenza”, attribuito alla seconda categoria dei dignitari ecclesiastici, i cardinali. Il vocabolo, introdotto da Urbano VIII 1630 significa persona eminente, che si staglia sopra il comune genere umano. Spesso vi si aggiunge anche l’elogio accrescitivo di eminenza illustrissima, reverendissima. Al tempo del Cardinale francese Richelieu (+1642) si introdusse pure il contro gergo “eminenza grigia”, consigliere segreto e potente di alti personaggi. In terza fila abbiamo” Eccellenza”, titolo di rango riservato ai vescovi, ma attribuito pure a personalità laiche del cerimoniale diplomatico come ambasciatori ed altre. Il titolo di eccellenza in campo civile sarebbe stato abolito una prima volta nel 1860 al tempo di Garibaldi. Ed una seconda definitivamente in Italia il 28 giugno 1945. Quasi una mazzata. Abolire un titolo agli italiani è come esporli nudi, togliere il piedistallo sotto il loro monumento. Al di là delle semplificazioni civili il titolo di eccellenza continua a persistere in tutta la chiesa a meno di una rinuncia personale del singolo insignito. Appellativo non molto gradito al poeta toscano G. Giusti (1850) che scrisse:” Vostra eccellenza che mi sta in cagnesco”. Seguono titoli di minor prestigio, ma di una certa risonanza. Come Monsignore (dalla Francia Monseigneur) mio signore, in antico riservato per antonomasia al fratello del re. E quindi a chiudere arriva il “don”, dal latino Dominus, signore, dal significato di cortesia attribuito ai sacerdoti in servizio. Da noi un mito della paesanita’. Oltre alle onorificenze vi è anche tutto un tipo di abbigliamento spesso da passerella e sfilata di moda, che più che rapporto col sacro induce alla curiosità e alla distrazione per esibizionismo. Con tutti quei zucchetti di vari colori, rocchetti, mantellette rosse, bianche, paonazze, bottoni color rubino, fiocchi purpurei si può domandare a quando un’adeguata semplificazione. Negli ospedali è così rasserenante vedere il corpo sanitario col semplice camice bianco. Ovvio anche nelle sacre celebrazioni si richiede dignità, ma non oltre. Anche l’abbigliamento è un linguaggio. Alcuni preti giovani oggi indossano per le strade la talare nera, lunga, a tutto tondo sostenendo che il simbolo sacro porta a Dio. Può darsi anche il contrario, sacro è solo il comportamento. Come allora chiamare oggi un prelato di chiesa? Già detto. Per questo: “grazie Josef Maria, vescovo di Coira-Zurigo”.

 Autore: Albino Michelin 10.11.2021 

albin.michel@live.com

Nessun commento:

Posta un commento