mercoledì 19 febbraio 2020

COMUNIONE DEI CATTOLICI E CANNIBALISMO

In una recente conversazione una persona attiva e praticante nella comunità cristiana ebbe a dire che lei la comunione nella messa non va a riceverla perché sente una naturale ripulsa a quella espressione di Gesù:” chi non mangia la mia carne e non beve il mio sangue non avrà la vita eterna” (Giov.6,53). Le sa di cannibalismo, le viene un blocco psicologico che non riesce a superare. L’obbiezione merita una riflessione. Sappiamo che il cannibalismo era e resta usanza orribile per la civiltà moderna, ma era una prassi della struttura sociale e religiosa delle civiltà primitive. Alle origini si chiamava antropofagia (dal greco mangiare un essere umano o sue parti), dal 1500 circa venne sostituita da un’altra espressione cannibalismo appunto proveniente dai Caraibi, America Centrale, perché era diffusa l’idea che quella gente si cibasse della carne dei propri simili, di qui cariba (ardito), poi caniba, quindi cannibale. A parte il fatto che in periodi di carestia si ricorresse a questa soluzione estrema però l’usanza per quanto rara poteva includere anche significati psicologici, culturali, persino religiosi. Di questo assai ricca è la mitologia-Ad esempio Kronos-Saturno divorò i suoi figli per paura di venire spodestato, Atreo invitò il fratello Tieste offrendogli come cena-menù i suoi figli, il Conte Ugolino lui pure divorò i suoi figli, come narra Dante nella sua divina Commedia. In alcune zone della Nigeria viene praticato ancor oggi, seppure come rimasuglio. Le motivazioni sono o erano diverse. Alcune di carattere biologico come appare dagli Aztechi delle Ande, altre per assorbire l’energia vitale degli umani e prolungare la propria esistenza. Più frequente però era la motivazione psicologica. Si mangiava la carne degli avversari e dei capi tribù del clan rivale vinti per appropriarsi delle loro virtù e della loro forza. Altri motivi potevano essere quelli della purificazione, cioè per venire assolti dalle proprie colpe, o quelli della protezione divina: come nei banchetti sacri di carne umana, specie di bambini, per impetrare benefici delle divinità di turno. O motivi di identificazione: per assumerne lo spirito, la forza, l’audacia dei defunti. Il cannibalismo è esistito e oggi è in via di estinzione come residuato di tempi preistorici. E qui logica vuole fare la connessione: allorché Gesù ha invitato a mangiare il suo corpo e a bere il suo sangue si riferiva ad un linguaggio mitologico, metaforico, spirituale o di identificazione? E qui va fatta un’ulteriore connessione con il pane e il vino scelto da Gesù nell’ultima Cena, quella che poi lungo i secoli verrà chiamata messa, santa cena, banchetto di liturgia eucaristica, a seconda dei tempi e dei diversi luoghi. Molti cattolici rimangono prigionieri della parola e del letteralismo e disquisiscono sulla natura del pane, che quello di Gesù era azzimo, cioè non fermentato in memoria degli antichi ebrei che fuggendo in fretta dall’Egitto notte tempo non avevano avuto la possibilità di lievitare il pane. Altri si perdono a discutere se si può celebrare la cena-messa con bastoncini alla francese. Se il vino deva essere bianco, rosso, santo. Se si possa usare il barolo, il merlot, il Montepulciano. Si disserta sulle ragnatele dell’arco di Tito dimenticando il significato della messa. Che in embrione è sulla linea come di un nostro incontro conviviale di amici in cui si mangia pane, formaggio e un buon bicchiere di vino: cioè convivialità, amicizia. Per cui se Gesù avesse celebrato la cena nel Tibet avrebbe scelto il riso al posto del pane, in Indonesia noce di cocco, in Africa la manioca, e in un paese dove il cibo pane fosse sconosciuto avrebbe usato il pesce. Gesù ha scelto il nutrimento vitale in quanto simbolo di fraternità e di condivisione. Ma resta ancora in sospeso il cannibalismo. Gesù quando disse nella cena: “prendete e mangiate, questo è il mio corpo offerto in amore per voi, prendete e bevete questo è il mio sangue versato per voi” (Lc.22,19) intendeva che egli si sostituiva al pane e al vino diventati il suo corpo fisicamente e materialmente? Non ci si può qui soffermare sulle distinzioni filosofiche che hanno perfino diviso le religioni. I cattolici ritengono la transustanziazione (la sostanza del pane si trasforma nella sostanza del corpo di Gesù), i protestanti con Lutero ritengono la consustanziazione (le due sostanze convivono), Calvino parla di presenza simbolica, gli ortodossi di presenza reale, però non materiale, non fisica. Roba da rompicapo, troppo filosofare non rende altro che confusione, altro che mistero. Riteniamo che mangiare il pane della comunione significa una identificazione con Gesù, con il suo messaggio, con la sua energia, con il suo corpo mistico-sociale che è l’umanità tutta. E ce n’abbiamo d’avanzo. L’aveva ben capito Paolo quando nella prima comunità in cui si celebrava la cena chiamata frazione del pane costatava che alcuni si rimpinguavano e altri restavano a digiuno. Li rimproverava perché compivano una grossa ingiustizia verso i poveri anziché un omaggio alla divinità. Gesù si è fatto pane cioè disponibilità affinché ognuno nella comunione si faccia unione comune e disponibilità verso i fratelli, gli amici, i diversi, gli estranei, i nemici, i lontani. Dà una sensazione strana delle volte costatare ad esempio come una famiglia dai componenti di diversa religione vada alla messa e solo al cattolico sia concessa la comunione, mentre agli altri venga interdetta perché non condividono la stessa fede nella transustanziazione. Incomprensibile anche ciò che accade spesso nella prima comunione di un bambino: la madre cattolica, il padre protestante o viceversa? Due ricevono l’eucarestia e l’altro no. Come è possibile che ciò che Dio ha unito (la famiglia), Gesù e la Comunione debbano dividere? Quando la istituzione chiesa cattolica risolverà questi interdetti? La persona che all’inizio ha posto l’obbiezione non deve temere il cannibalismo e non deve prendere il linguaggio di Gesù nella sua accezione biologico-fisica, ma nella sua trasposizione spirituale. Sulla stessa esperienza con cui gli innamorati si dicono, oppure i genitori abbracciano un figlio con un:” ti voglio tanto bene che ti mangio”. La comunione è una identificazione a triangolo: “Io- Dio- uomo”. Con ogni uomo, cittadino del mondo.

Autore:
Albino Michelin
09.01.2020

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