martedì 24 marzo 2020

PADRE NOSTRO CHE SEI ALL'INFERNO

Anche se l’espressione sembra ironica nei confronti della preghiera insegnata da Gesù però attentamente considerata ci induce al contenuto reale del Vangelo, all’anima del suo messaggio. E’ un contributo dello studioso Paolo Scquizzato, espresso in uno dei suoi numerosi libri frutto di ricerca collegiale da parte di studiosi in materia. Indubbiamente si penserà subito che Dio non è estraneo al nostro inferno quale spettatore, osservatore, giudice delle vicende di questo mondo di guerre, tragedie, pandemie, disgrazie fisiche e morali. Qui invece si intende l’inferno insegnato dalla religione cattolica, per indicare il peccato, la colpa, la fragilità umana, il conseguente castigo nell’aldilà. Nel caso bisogna subito fare una distinzione fra il Dio dell’Antico Testamento con tutto il suo corredo di interventi ed espressioni dal Dio del Vangelo di Gesù. Nessuna contrapposizione ma certo un’evoluzione ed una adeguata ricollocazione. Però molti cattolici il salto non lo sanno fare e quindi rimangono in una serie di contraddizioni. In essi è presente un concetto di Dio legato ancora alle religioni arcaiche. Un Dio che esige dall’uomo un rapporto di sudditanza, quindi un Dio, del terrore. Se l’uomo compie il bene riceverà dall’altissimo il premio corrispondente, diversamente avrà il castigo, disgrazie a tutti i livelli, dalla peste alla paralisi fisica o interiore. Insomma una religione basata sul contratto: do ut des, io ti do, tu mi dai in uno scambio vicendevole, fra uomo-Dio e viceversa. E se un malanno ti capita è giusta sanzione, volontà di Dio. Come diceva il salmo: ”tu distruggi o Dio chiunque ti è infedele” (73,27). Si ricordi la condanna comminata a Caino dopo l’uccisione di Abele:” sii maledetto, ramingo e fuggiasco sarai sulla terra” (Gn.4,11). Un Dio che seleziona i suoi eletti dagli infedeli, che affoga nel mare gli egiziani e porta in salvo il suo popolo verso la terra promessa (Es.14,28). In tutte le religioni, compresa quella dell’Antico Testamento, si espia il proprio peccato offrendo sacrifici alla divinità offesa onde riottenere benevolenza. Persino Giovani Battista cugino di Gesù gli dà il benvenuto come “scure alla radice” (Mt.3,10), per sradicare l’uomo che non porta buoni frutti. Ma quando arriva Gesù anche se non sovverte il concetto di Dio gli da’ un volto umano, quello che gli è proprio, chiamandolo Dio è amore. Abita, vive, si identifica nel profondo del cuore dell’uomo, sia esso giusto o peccatore, sia esso un paradiso o un inferno. Ma di più: se dello spirito di Dio è pieno l’universo allora egli è in cielo, in terra, in ogni luogo, in ogni essere animato e anche all’inferno. Se qualche cosa gli fosse estranea, non è più Dio. Dio ama ogni uomo perché ogni uomo è da lui creato per sentirsi da Dio amato. Quasi a dire che non è l’uomo per Dio, ma Dio per l’uomo. E qui si potrebbe fare una carrellata di casi e di persone. All’inizio della vita pubblica Gesù si presenta a Nazareth. Isaia l’aveva preannunciato come giorno della vendetta (61,12). Invece Gesù inaugura un tempo di grazia. Tutt’altra immagine di Dio. Non più un Dio che si concede a chi lo merita, ma ad ognuno perché ogni essere umano si sente perduto se non si sente amato. In altra occasione a Gesù presentano un paralitico e gli dice: “ti sono perdonati i tuoi peccati” in quanto ogni peccato più che offesa a Dio è offesa a se’ stessi. Non gli raccomanda: “se ti penti ti guarisco”, ma lo guarisce senza condizioni, per amore. Così avviene nella liberazione dell’adultera cui ingiunge di non peccare più, cioè di non dimenticare che Dio la ama. Nell’ultima Cena Gesù non rifiuta Giuda anche se traditore, ma secondo il costume ebraico all’amico del cuore offre per primo il boccone di pane. Il gesto non è compiuto per svelare il nome del traditore, ma per rivelargli l’amore di Dio in fondo al suo peccato. E se Luca scrive che dopo quel boccone Satana entrò in Giuda, è scontato che Satana si sarà incontrato anche con Dio che là l’aveva preceduto. Bernanos scrive che tutto è grazia, e il peccato dell’uomo consiste nel non lasciarsi toccare e amare dalla grazia di Dio. Nessun uomo può sentirsi giusto perché dentro ad ognuno di noi c’è un po’ del paralitico, del pubblicano, dell’adultera, di Giuda: Dio giustifica, rende giusti e accetti così come si è patto di non chiudergli la porta per non lasciarsi amare. Un’obbiezione classica è quella che ci viene dal giudizio universale alla fine del mondo, in cui Dio dividerebbe l’umanità in due moltitudini: i giusti in paradiso fra gli angeli, i reprobi all’inferno fuoco eterno. A parte il fatto che gli interpreti ci dicono che questo brano come tutti quelli “minacciosi” sono stati aggiunti dagli estensori dopo la morte di Gesù come strumenti pedagogici esigenti per riportare sulla retta via la prima comunità che accennava a sbandamenti, il giudizio universale non avviene alla fine del mondo fra due moltitudini rivali, ma già ora fra il bene e il male dentro il cuore di ogni uomo. E che il male verrà distrutto dal fuoco purificatore dell’amore di Dio (1° Cor.3,10). Per cui resta vera l’affermazione “Dio vuole che tutti gli uomini si salvino”. Dio non può perdere e odiare per sempre le sue creature. Di qui ha pure senso la preghiera solo apparentemente strana “Padre nostro che sei all’inferno” perché questo resterebbe vuota proiezione di una falsa paura di Dio.

Autore:
Albino Michelin
03.03.2020

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