lunedì 11 maggio 2020

CORONA VIRUS: INDULGENZA PLENARIA DI UN PAPA SOLITARIO


Surreale il passo incerto di Papa Francesco sotto la pioggia la sera del 27 marzo in una piazza S. Pietro deserta e spettrale. Impartisce la benedizione urbi et orbi (alla citta e al mondo) concedendo nel contempo l’indulgenza plenaria ai malati, agli operatori sanitari, ai familiari, agli angosciati per il timore del contagio, praticamente a tutti. Dal momento che dei cattolici potrebbero essere interessati vale la pena dare una spiegazione in merito. Indulgenza plenaria significa amnistia, condono di tutti i peccati esistenti nell’anima dell’interessato che la riceve, previo ovviamente il pentimento del cuore. E una assoluzione che la Chiesa già mette in atto in alcune circostanze dell’anno, natale, pasqua, perdono d’Assisi (2 agosto), commemorazione dei defunti (2 novembre) e in particolari circostanze come l’anno santo, o località come santuari. Sappiamo che la questione delle indulgenze ha costituito un conflitto esistenziale nella chiesa al Tempo di Leone X del 1517, come mercato per la costruzione della basilica di S. Pietro, un business che ha indotto Lutero ad una riforma con l’inizio della confessione protestante. Indulgenza vorrebbe significare remissione dei peccati, secondo la colpa e secondo la pena, per cui se il perdonato decedesse in quel momento si salverebbe l’anima senza passare attraverso il purgatorio. Un esempio: io levo un chiodo (chiamiamolo colpa) dal muro ma ci resta però un foro (chiamiamolo pena). Ecco, l’indulgenza toglierebbe il chiodo e anche il foro, come fa un artigiano quando vi applica lo stucco. Tutto riparato, tutto torna pulito. Ma Il giorno seguente a questo gesto del papa, ovviamente espressione del suo cuore pieno di compassione e di misericordia per la povera umanità, come avrebbe fatto Gesù, subito segue l’intervento del dicastero Penitenzieria apostolica, rifacendosi ai numeri 1471-78 del Catechismo redatto da Wojtyla-Ratzinger 11.10-1992. Praticamente la persona che ne usufruisce deve appena possibile confessare i propri peccati al sacerdote. Cosa che a più di qualcuno potrebbe sembrare incomprensibile: come se un genitore perdonasse al figlio uno sbaglio e gli ingiungesse di ripetere un rito di scuse alla prima occasione. Senza offendere la teologia potremmo dire che anche nella chiesa delle normative spesso esistono come reminiscenza storica, non più eticamente fondanti. E qui logica vuole collegarci il tema confessione. La chiesa lo riferisce all’espressione di Gesù rivolta agli apostoli e ai discepoli riuniti nel cenacolo dopo la risurrezione. ” A chi rimetterete i peccati saranno rimessi…” (Gv.20,22). In essa non è detto:” a chi vi dichiarerà i peccati siete deputati a rimetterli”. Gesù fa riferimento alla sua prassi in cui diceva ad ogni persona: „Ti sono rimessi i tuoi peccati” (Mt.9,2) senza invitarla prima o dopo ad una autoaccusa orale. La confessione in forma ancora attuale di tribunale, giudice- reo, è recente e risale solo al concilio di Trento 1664. Per Dio è indispensabile il pentimento del cuore. In quanto poi al cosiddetto potere delle chiavi, potere di perdonare concesso agli apostoli, e quindi preti loro successori, non va sorvolato il fatto che tale compito Gesù l’ha affidato anche ai discepoli rappresentanti della comunità e presenti nel cenacolo. In effetti in altro passo Gesù dice:” Dove due o tre persone sono riunite nel mio nome là ci sono io.”(Mt.18,18-20). E storicamente si sa che solo dal 1200 con i concili Lateranensi l’assoluzione venne riservata al prete, mentre prima la poteva impartire anche un laico. Come è prassi attuale nella chiesa cristiano- protestante quando gruppi di fedeli si raccolgono in riflessione di coscienza e poi viene loro impartita l’assoluzione da un pastore o da un laico battezzato.  Questo non è un discorso peregrino e di fuga per la tangente ma ritenuto da molti interpreti di Bibbia cattolici. Vi sono poi modalità secondarie come quella del luogo, cioè del confessionale, specie di tempietto ligneo, costruito per le donne con tanto di grata, a indicare separazione dal sesso inferiore e pericoloso, anche se fortunatamente questa sacra struttura tende a sparire. Resta il dubbio se ci si può confessare al telefono, al che il Dicastero della Penitenzieria vi risponde negativamente perché non vi è presenza fisica. E qui vi si aggiunge l’altra domanda se vale la confessione per Skype in cui vi è una presenza online molto più marcata, ma qui nessuno sa che cosa rispondere. Un dubbio comunque, forse non troppo maligno si insinua nella testa di molti, che cioè della confessione i preti ne sentono l’esigenza, diversamente hanno l’impressione di perdere il potere. Qui non si vuole certo abolire la confessione, quanto promuoverla ad una forma di conversazione religiosa e perché no? di terapia spirituale. Il perdono poi lo si può inserire in tante momenti di celebrazione comunitaria oppure nelle formule penitenziali di cui la messa è anche troppo carica dal “Signore pietà all’Agnello di Dio”.  Se non vi è un ripensamento in materia si continuerà con le discusse confessioni per i bambini in occasione della prima comunione o con le routine dei fedeli che si confessano ripetendo a ritmo ciclico la lista dei soliti peccati. E nel caso anche le indulgenze papali anziché una risorsa di vita spirituale se ne andrebbero con il vento e l’acqua di Piazza S. Pietro.  

Autore:
Albino Michelin
20.03.2020

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