giovedì 26 novembre 2020

IL COMUNE DESTINO DOPO LA MORTE: SALVEZZA O PERDIZIONE?

Sono frequenti di fronte ad eventi per la maggior parte luttuosi espressioni come destino, fatalità, mala sorte, si vede che era la sua ora, era scritto, il caso ha voluto...Destino, sintesi di simili modi di dire indica un susseguirsi di eventi considerato predeterminato, superiore alla volontà dell’uomo, frutto di una legge oscura, concetto legato alle antiche religioni, e anche oggi nella maggior parte della mentalità laica. Per i greci il destino era un capriccio dominatore dei mortali e degli stessi dei. Destino il dio degli dei che tutto predeterminava nei suoi immutabili decreti. L’universo concepito come un tutto destinato alla sua parabola ascendente e discendente. Per gli stoici legge fatale che nessun dio poteva modificare. Virgilio (70-19 a.C.) nell’Eneide raccomanda:” abbandona la speranza di piegare i decreti degli dei con le preghiere in quanto tutto è stabilito dalla natura delle cose”. Concetto che Agostino d’Ippona più tardi (400 d. C.) correggerà sostituendolo con Provvidenza. Ma non ostante ciò pregiudizi, dubbio, sfiducia rimangono. Qui vale la pena di riferirsi a Paolo di Tarso, contemporaneo di Gesù e alla lettera agli Efesini, il cui autore è un suo discepolo. Al Capo 1(3-5) si legge:” Benedetto Dio che ci ha prescelto prima della creazione del mondo per essere santi…. predestinandoci ad essere figli adottivi”. Da notare che egli pure convertitosi alla religione di Gesù non si definisce mai cristiano, ma ebreo giudeo e santo, nulla a che fare con quelli messi sugli altari dalla chiesa nel tempo, ma in quanto prescelto da Dio come noi e l’umanità del passato e del futuro. Fondamentale per Paolo è che egli non parla mai di una predestinazione alla condanna ma in prospettiva esclusivamente positiva. Egli ha un suo concetto di peccato che non è il singolo atto di trasgressione, bensì una condizione previa e costante prima di ogni trasgressione. Una alienazione permanente ed una opzione esistenziale, anteriore e premessa di ogni trasgressione. La morale per Paolo si sintetizza in una parola,” agape” amore, che in greco significa amore gratuito pure verso le persone non piacevoli. Dio ci precede gratuitamente anche a prescindere dal nostro pentimento. Nulla ci potrà separare dall’amore di Dio (Rom.8 39) a meno che non si tratti di una decisione di rifiuto totale da parte dell’uomo. Al tempo di Paolo fioriva una comunità a Qumran sulle rive del Mar Morto, chiamata degli Esseni per i quali il mondo era diviso in due, i figli della luce (ovviamente inclusi loro) e i figli delle tenebre (tutti gli altri), una setta. I primi cristiani eliminarono i loro manoscritti perché in Dio siamo tutti figli della luce. Gli esseni erano esclusivisti e Paolo li ignora. Mai Paolo parla della libertà dell’uomo per asserire che Dio condanna. Estremizzando va detto che Dio è l’unico ateo in quanto non crede nell’esistenza di un altro Dio onnipotente al di fuori o contro di lui, quello che noi chiamiamo diavolo, dio del male, e nemmeno quindi può esistere il suo regno, chiamato inferno. Che se ci fosse sarebbe vuoto come ebbe ad asserire il biblista Card. Martini (2012). Quando Paolo scrive che tutto Israele sarà salvato (Rom.11,25-26) significa che anche tutti gli uomini non appartenenti ad Israele lo saranno. In effetti in altra parte egli si completa:” Tutti risusciteremo in Cristo” (1.Cor, 15.22), non solo i cristiani, ma l’intera umanità. E qui senza fallo qualcuno obbietterà che Matteo al capitolo 25 (31-46) parla di un giudizio universale in cui Dio metterà le pecore alla destra, le capre alla sinistra, cioè i buoni e i cattivi. I prima andranno alla beatitudine, i secondi alla maledizione eterna. Allora qui non si dimentichi che tutte le espressioni minacciose della bibbia, genere letterario apocalittico, sono state aggiunte postume come letteratura pedagogica, cioè nell’intento che la paura frena di più di quanto sospinge l’amore. Ma il giudizio universale avviene ogni momento e per tutti al momento della morte, quando il singolo si rispecchia in Dio, e se indegno passerà temporaneamente attraverso una purificazione. Lo asserisce lo stesso Paolo:” si salverà come attraverso il fuoco” (1.Cor.3) E chi sostiene che non sarebbe Dio a condannare alla perdizione ma l’uomo con la sua abusata libertà da Dio rispettata si potrebbe rispondere che non può reggere a confronto la libertà condizionata, miope e nana di cui noi sulla terra usufruiamo con la lungimiranza eterna e planetaria di Dio. Se così fosse, meglio che Dio non ci avesse permesso di venire al mondo per condannarci alla morte. Quale padre si compiacerebbe di vedere un figlio in una eterna malora e per di più godere del suo disegno per i secoli dei secoli realizzato? Chiaro che nessuno di noi ha la sfera di cristallo e affrontare argomenti del genere esige alle spalle studiosi qualificati per evitare piose e devote considerazioni e quindi si consultino competenti, come Romano Penna. Ma al di là dei teologi o dei maghi troppa è la sete di infinito in ogni creatura, di amare ed essere amato, perché tutto finisca nel nulla e nella perdizione.

Autore: Albino Michelin      20.10.2020
albin.michel@live.com

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