lunedì 23 maggio 2022

ALTRO È VISITARE GLI INFERMI, ALTRO ESSERE INFERMI

 Tutti sappiamo che cosa diversa è leggere una cronaca e vedere un film di guerra o invece essere impegnati in azioni di guerra e trovarsi in prima linea al fronte. Lo stesso è successo al sottoscritto che, modestia a parte si permette di fare la cronaca della sua esperienza traumatica per nulla poetica e romantica, se romanticismo in esperienze del genere potesse esistere. La mia professione di prete mi ha portato a visitare centinaia di ammalati, ma mai a provare sulla mia pelle il rischio di questa vita. Il 7 febbraio 2022 caddi a terra vittima di un dolore atroce al ginocchio e alla coscia sinistra. Rimasi otto ore sul pavimento senza la capacità di spostarmi verso un luogo riparato. Due persone poterono aiutare a rialzarmi. Dato che non riuscivo a poggiare il piede al suolo optai subito per un ricovero al pronto soccorso. Si trattava di una infezione al ginocchio e alla coscia sinistra da parte del batterio stafynokokkus aureo, molto aggressivo, non contagioso come il covid, ma dolorosissimo e spesso letale. In breve tempo mi fecero girare 4 ospedali del Canton Zurigo perché nessuna equipe medica si azzardava a fare la diagnosi certa e arrischiare un’operazione che voleva dire restare sotto i ferri. Iniziarono giorni e notti di, inappetenza, pressione e confusione mentale, calo del peso corporeo in due settimane -15 k. Ero confrontato con la morte.
Inoltre mi era stato fatto capire che la possibilità di sopravvivenza erano esigue anche perché non si capiva come e da dove fosse sbucato questo batterio. Per me era un faccia in faccia ineludibile con la morte. La prima notte ebbi a conversare con una francescana laica la quale mi citava le ultime frasi dei Promessi Sposi “Che Dio non permette mai nessuna disgrazia, se non per trarne un bene maggiore”. Il giorno seguente un infermiere mi assicurava che nella nuova vita avrei trovato un amico che non mi avrebbe mai abbandonato: Gesù. Più convincente questa asserzione perché espressa da persona sincera e credibile. Ma qualche giorno dopo la mazzata allorché prima dell’anestesia pregai la dottoressa di farmi un segno di croce sulla fronte mentre io avrei pronunciato la supplica al Signore di accompagnarmi, mi apostrofò chiedendomi se io credevo di più alla scienza o alla fede - Persone del genere irriverenti in un ospedale? Più che sfinito ero finito. Qualche tempo dopo mi arrivò anche il delirio. Mi informò un dottore: in sogno mi trovavo al cimitero di Moriago (Treviso) paese emigrato da S. Gallo negli anni 60 e gridavo:” seppellitemi presto” seguito da un collasso fisico, quindi un altro grido:” Signore sono delle tue mani”. La liberazione e il mistero dell’inconscio. Ma quanto complessa deve essere la nostra umanità? E qualche giorno dopo mi arriva tutto un altro risvolto. La parrucchiera che mi dice di essere cattolica, non praticante, divorziata, due bambini, superato due tumori, non ha paura della morte, anzi le è amica, come tirare una tenda e si apre un altro orizzonte. Insomma un bersaglio di fuochi concentrici ed opposti. Non abbiamo tutti la stessa sensibilità, la fede non ci rende asettici, non dobbiamo vergognarci della nostra umanità, lo diceva anche Caterina Spaak in seguito alle sue tre emorragie cerebrali …… La fede nell’aldilà è frutto di una elaborazione continua, la fede non ci rende uguali. Per questo molti, anche uomini di fede, desiderano la morte improvvisa, ictus, infarto, ricorda il cardinal Martini e io stesso nel mio piccolo l’ho desiderata. Comunque lo stafylokokkus è stato debellato, la riabilitazione con drenaggio alla coscia seguì senza problemi e il sottoscritto fu consegnato all’umano consorzio. Però da questa esperienza alcune riflessioni. Non credo che Gesù Cristo abbia sofferto più di tutti gli uomini, non ostante la celebrazione di tanta arte pittorica, letteraria, filmica e tante lacrime di identificazione da parte dei fedeli e candele di peccatori La sua sofferenza fisica è durata dalle 20 circa del giovedì prepasquale al venerdì ore 15, sulle 18 ore. Per il resto anche la sua è stata una vita tribolata più o meno come la nostra. Non vogliamo e sarebbe dissacrante metterlo a confronto con i dolori lancinanti e prolungati che hanno colpito tanti schiavi, tanti esseri umani, tanti condannati alla tortura e anche oggi tanti ucraini e profughi del mare. Che Gesù l’abbia fatto con amore è altro discorso, ma non che abbia sofferto più degli altri. Giusto nella via crucis chiamarlo l’uomo dei dolori a patto di accompagnarlo con tutti gli altri fratelli nel dolore. Come può un uomo uccidere un suo fratello? Cantano i Nomadi in Auschwitz. Ed ancora: augurare una esperienza di premorte come quella del sottoscritto a milioni di persone, senza farsi eroi? Direi di no, è sadismo. Però il contatto con la sofferenza non sarebbe inutile. Si capisce che la vita non è una gimkana, la morte perde il suo tetro tabu, un po’ di dimestichezza non farebbe male. Anche la morte ha bisogno della sua ginnastica. Altro aspetto: visitare gli infermi ed essere infermi. Sono esperienze totalmente diverse. Fondamentale per un cristiano e per qualsiasi uomo “andare a trovare” un infermo ma non sono esperienze identiche. Andare a trovare è un po’ sentirsi superiore, gratificato, essere visitato è come sentirsi consegnato. Trovare è esperienza attiva, l`essere visitato esperienza passiva. Però entrambe sono due attività umane basate sulla compassione, che significa patire insieme Ora mi porto dentro tre pensieri: tutto è grazia (P. Claudel), chi non ha sofferto non ha vissuto pienamente (Manzoni), la salute non è tutto, ma per chi non ce l’ha tutto è niente (Schopenhauer).                      

Autore: Albino Michelin 30.03.2022
albin.michel@live.com

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