lunedì 9 febbraio 2015

IL BURQA DELLE ISLAMICHE OFFENDE IL DIRITTO DELLE DONNE

Una donna del Bangladesh tempo fa è entrata con il burqa in un supermercato italiano e precisamente a Pieve di Soligo in provincia di Treviso. Panico fra i clienti specie fra le donne. Proteste con il direttore, richiesta che l’indumento integrale fosse strappato dalla sconosciuta e si potesse vederla in faccia. Il direttore evita la caciara, si va a finire dal sindaco e dai carabinieri.

Ovvio che il discorso ci porta all’abbigliamento delle islamiche, sull’impatto che esso produce da noi. Per non fare loro torto è opportuno distinguere e analizzare. Alcune portano il hijad, foulard che copre capelli, fronte, nuca, orecchie, vestito lungo e largo in modo da proteggere le forme del corpo, lasciando scoperto solo il viso. Altre il chador(Iran), velo in testa e mantello lungo il corpo. Altre il niqab (Arabia saudita), tutte coperte con una fessura soltanto all’altezza degli occhi. Altre il burqa(Afghanistan) fantasmi neri, interamente coperte, con una griglia all’altezza degli occhi. Le varie fogge dipendono dall’area geografica e dall’interpretazione religiosa del Corano.Non però in tutta la galassia islamica, perché in molti stati tipo Marocco la donna è completamente emancipata sia nell’abbigliamento come nel costume sociale. Il che ci fa pensare che a lungo termine questa sarà l’omologazione dell’islamismo femminile.Trattandosi di donne non si pensi che sia stoffa da quattro soldi. Il settore della moda islamica è un mercato in continua espansione, 224 miliardi di dollari nel 2012. Ci fanno anche i concorsi di bellezza, con miss e incoronazione delle reginette dell’anno, ovvio non in due pezzi ma nel loro casto abbigliamento.


Siccome il nascondere il proprio volto puo’complicare i rapporti sociali, diversi Stati hanno imposto le loro legislazioni. Dal 2010 la Francia vieta niqab e burqa in luoghi pubblici: il velo che nasconde il volto viola i diritti altrui di vivere in uno spazio in cui lo stare insieme è agevolato. Multa di 150 euro e l’obbligo di frequentare corsi di rieducazione civica. Stesso divieto anche in Belgio. Pure nel Canton Ticino, che non coinvolge tutta la Svizzera, soltanto che lì si continua a pontificare per le modalita’ d’intervento. In Italia non è reato, ancorché sia vietato il “domino”, abito che copre tutto il viso in modo che nessuno possa sapere chi si nasconde dietro. Un divieto circoscritto più al Carnevale che in permanenza.
La Corte europea dei Diritti Umani già nel 2011 definì che vietare burqa e nibaq non lede i diritti religiosi ma quelli civili e quindi legittimò ad esempio il divieto della Francia o di altri Stati che lo vogliano sancire. Il volto gioca un ruolo importante nella interazioni sociali, assicura il rispetto dei minimi requisiti del vivere insieme. Chi ad esempio puo’ riconoscere un documento di una donna che si mimetizza dentro un burqa? Ma al di là del fatto sociale e delle relazioni vi sta un problema religioso, culturale e psicologico. Perché la donna si veste cosi? Perché lo esige il maschio. Non è un’affermazione populista e scontata. E la donna velata accetta la sottomissione di buon grado. Con il velo-burqa la donna non è della donna, è dell’uomo, dell’uomo soltanto. Prima del padre, poi del marito, poi del fratello maggiore   e avanti così.


Le rivoluzioni veramente vittoriose nel 68 furono due: quella femminile e quella giovanile. In occidente le donne hanno lottato per dirsi” io sono mia”. Ma “il burka e io sono mia” sono due contrari inconciliabili. Se la donna è bella nessuno deve saperlo, la sua bellezza è proprietà del marito. Controllo sul corpo significa anche controllo sulla sessualità: pure qui decide la famiglia a scegliere il marito. La sessualità come libertà non è una esigenza del diritto, ma della natura. Però il burqa impone alla donna di accettare il dominio da parte del maschio. In effetti essa puo’ mostrarsi solo in casa e solo al marito. Se altri la vedono il marito è svergognato. Il burqa va vietato non solo perché trasgredisce una legge che impone la visibilità civile, ma anche per aiutare la donna a capire che essa viola un suo proprio diritto: la libertà dalla schiavitù del maschio.


E’ noto che tale schiavitù era in vigore anche presso la Bibbia del popolo Ebreo. Paolo pure lui rispecchia questa mentalita’del primo cristianesimo allorché afferma: “la donna deve coprirsi il capo perché essa è gloria dell’uomo. Infatti l’uomo non fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo.” (1° Cor.,5-10).Certo questa argomentazione dipende dai costumi ai quali Paolo stesso è abituato ed essa rende relative le sue conclusioni. Ma ha lasciato delle conseguenze: in effetti le nostre donne fino a qualche decennio fa non potevano entrare in chiesa senza velo e l’abbigliamento delle suore, abbastanza vicino al chador, ha lasciato il segno. Certo oggi le cose sono cambiate, però non lasciamoci ingannare. In effetti la prostituzione, il femminicidio in aumento, la violenza verso le donne dimostrano che anche senza indossare il burqa la donna nella civiltà telematica non è di se stessa, è ancora proprietà del maschio.

Questo dell’abbigliamento delle islamiche è un cammino che avrà successo se verra’ fatto da tutte le donne insieme, occidentali, arabe, musulmane. Certo non con la derisione, lo sberleffo o gli sbreghi in testa ma con la convivenza e la coeducazione. Che ha dato un aiuto a quella donna del Bangladesch in quel paese del trevigiano sono tutte quelle nostre donne del supermercato che hanno reagito reclamando perché da quel volto rubato si sono sentite offese nel loro diritto alla piena femminilità.


Autore:
Albino Michelin

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