sabato 26 agosto 2023

LA MAFIA È NEL CUORE DELL'UOMO

Sono sempre stato appassionato nel conoscere i nostri paesi di origine. Nel senso che come missionario se si può conoscere la loro l’origine si è più avvantaggiati sul loro mondo, i loro, usi costumi. E in questo senso sono grato ai miei superiori Scalabrini che mi hanno concesso il tacito consenso di fare questa esperienza nei primi 20 giorni del mese di agosto 1976 all’agosto del 2018, per ben 42 anni. Avendo preferito quelli di origine mafiosa, ho scelto di ritornare sempre nello stesso ambiente allo scopo di costatarne l’eventuale cambiamento.

La valle del Marro-Piana della Locride
Ad ogni paese o del vicinato inviavo precedentemente al sindaco questionario concernente: abitanti dal paese, dipendenti comunali, stranieri, residenti, attività produttive, pastorizia, artigianato, giovani, scuola, precariato, scuole superiori, impiego femminile, anziani ricovero o in famiglia, l’esistenza di fabbriche, varie. Qualcuno rispondeva ed era già abbastanza. Chi aveva ci mostrava una scritta:” noi viviamo in uno splendido paese, ma in un paese di morti. -” Per contrappore c’è chi sosteneva che due emigrati provenienti dal nord avevano cambiato il paese. Mi sono trovato bene all’Hotel Mommo, dove i proprietari mi avevano informato sugli usi e costumi dalla Calabria. La Valle del Marro (o Marrone), nella piana di Gioia Tauro, un territorio confiscato dalla Mafia e passato come associazione don Ciotti, appunto nel territorio di Polistena. Un gruppo di giovani e ragazze pionieristici che non credono al potere mafioso e hanno costruito una cooperativa di vendita di prodotti agricoli. E sono attività da sempre aperte le iscrizioni fra i 18 e i 28 anni al volontariato civile de Valle del Marro. Campi di promozione di impegno, e di varie attività. Soprattutto d’estate è abbastanza rilevante il numero dei ragazzi che danno il loro contributo in Calabria, ma la Calabria conta quasi 2000 km quadrati, un po’ più dei 12 del territorio di Polistena. Un lavoro immenso. A qualche chilometro c’è Oppido Mamertina dove ogni anno ci celebra la Maddonna dell’Annunciata con boss che fanno l’inchino profondo all’immagine davanti alla casa del latitante, poi la processione procede, clero consenziente. Ebbi occasione di conoscere il territorio, ma male me ne incolse. In un appezzamento di terreno ho visitato una chiesetta, era quella del boss Vincenzo Pellegrino. La sua foto necrologia campeggiava costantemente nella valle. Ho saputo che era stato giustiziato in moto al momento di ritorno dall’Australia e suo figlio carmelitano gli aveva fatto il funerale. Appena entrato nella chiesetta stavo ammirando i vari santi S. Michele e P. Pio quando due signore nero vestite mi ingiunsero di lasciare giù la macchina fotografica se no l’avrei passata brutta. Ho capito che non si scherza, che ogni mafia ha i suoi santi, pronti a sparare con la lupara in mano.

La valle di Plati e di S. Luca.
Si passa dal valico della Zillastro, dove ha avuto luogo la guerra americana contro i paracadutisti della Nembo nell’ultima conflitto del 8 settembre 1943 e si scende verso lo Ionio. Attenti ai lupi. Scendendo lungo la strada impervia si nota che la faida può aver commesso qualche attentato od un’imboscata. Scendendo verso il cimitero si notano alcuni nomi che hanno un rapporto con la ndrangheta. Un Ferdinando con il cognome scarabocchiato: l’onestà il suo ideale, il lavoro la sua vita, la famiglia il suo affetto. Si accenna ad un Romeo Giuseppe: il destino ha voluto spegnere il suo istinto di vita. Una delle famiglie capibastone è certamente la famiglia Varvaro, di origine veneta dal 1300, forse. A hanno anche una squadra di calcio, con vari giocatori Zuppari, Catanzariti, Rizzo, Pelle, e l’allenatore il parroco don Tonino Strangio. Il comune era già stato più volte commissariato. Al Mons. Gliozzi quando mi permisi di domandare com’era la frequenza domenicale mi apostrofò dicendomi che in quel paese vanno tutti a messa. Aveva 94 anni, e forse non si era accorto che nel sottosuolo del paese vi era una rete di malavitosi in attività. Ora hanno due parroci da Torino, ma in quelle zone non c’è prete che tenga, per il momento è che la malattia pare troppo endemica.
Passando all’altro paese limitrofo, si tratta della faida più sanguinosa dalla Calabria e forse la più feroce in assoluto: S. luca. Mafia dall’antico germanico significa lotta parentale. Ai piedi del Montalto la cima più alta dell’Aspromonte, attraversato dal fiume, Bonamico, un gioiello di paese incorniciato fra gli anfratti della montagna, ma che paco affetto ha con l’amore di famiglia. Il fatto più saliente compare nel 1991 anche se ab immemorabili covava nel tempo. La vicenda risale al 10 febbraio quando un gruppo degli Strangio e Nitta si mette a fare palle di neve che aveva come risposta ricevuto una “cardiata “di legnate. Si inasprisce la contesa. Nel 2005 si sposta a Torino, dove venne uccisa la moglie di Strangio-Nitta’, obbiettivo principale donna vendetta. Infine il 25.6.2007 romanzo di crimine, uccise 6 persone a Duisburg (Germania) davanti al ristorante da Bruno. La chiamarono legittima difesa. Quel cimitero di S. Luca, ma rinnovato e ricostrutto, era tutto un rifiorire per i funerali all’estremo saluto delle famiglie nemiche. Io ci sono andato per una preghiera perché uomo sono e nulla di ciò che è umano mi è estraneo. S. Luca è conosciuto per il quartiere generale della ‘ndrangheta che ogni anno si riuniva per decidere la vita e la morte dei capibastone. Per altro in quei paraggi e stato ucciso anche Francesco Fortugno vicepresidente del consiglio regionale. La regione era un antico convento dei monaci di S. Basilio che in passato attraverso vicissitudini di clero, imperatori. Vescovi erano arrivati sino al giorno d’oggi. Il vescovo Oliva ha proibito di esporre le foto di eventi, ma tanto più non fa effetto, stante la marea o di pellegrini e devoti che impedirebbero il lasciapassare. Ovvio ancora vige triplice alleanza chiesa-politica-stato che governa la Calabria-ed anche un po’ oltre. Lo stessa criterio è stato tenuto con il Vescovo Bregantini, un prete-vescovo operaio che andava a raccogliere erbe medicinali e bergamotti con i pastori. E stato da Wojtyla spedito a Campobasso dove si amministrano cresime o poco più, ma dove non sono urgenti problemi sociali. O la chiesa è paurosa, o prudente, o connivente, ma essa pure e chiamata a risolvere questo che sta diventato un problema mondiale

La valle di Partanna (TR)
La valle di Partanna va dalla costa occidentale fra Palermo e Sciacca, fra Castelvetrano e Montelepre con tutta la valle del Belice, e la costa Mazara del vallo fino a Terrasini. Intanto diamo l’elenco di tutti quelli deceduti per Cosa Nostra nel territorio a aventi stretta connessione con essa.
Stefanino Nastasi ucciso nel cimitero deputato alla regione Sicilia il 7.12.83 in competizione con Vincenzo Culiccha.
Vito Atria già debitore insolvente 18.11.85.
Filippo Ingoglia il figlio Piero marzo 88.
Ucciso Accardo.
Vendetta di Accardo dal killer Francesco Ippolito.
Francesco Ippolito 27.7.88.
Antonino Ingoglia 22.2.89.
Stefano Accardo 17.7.89.
Giuseppe Sitassi 12.4.90.
Nicola Atria fratello di Atria Rita massacrato al caffè Montevago il 24, 6,91.    
Rita Atria suicidatasi dopo la morte di Borsellino (26.7.91)
Notte tempo il giorno del Morti la madre di Rita frantuma lapide e foto figlia perché ha parlato. (2,11, 91)
Ovvio qui rilevare la memoria di questa ragazza che chiamata donna con le gonnelle ha saputo con il suo messaggio gridare “la mafia è dentro di noi, la mafia e dentro di voi” ha saputo lottare contro il malcostume della nostra società. Una settimana dopo l’assassinio di Borsellino, Atria muore suicida gettandosi dal balcone dell’omonimo caseggiato di Roma dove è costretta a vivere per sfuggire alla vedetta mafiosa. Al magistrato la ragazza ha raccontato trame e miserie del paese. Lo ha fatto dopo di aver visto il padre temuto uomo di fiducia dai padrini del paese, e del fratello Nicola picciotto della nuova generazione che cercava di vendicarlo. È stata la giovane cognata della stessa Rita, Piera Aiello a rompere il cerchio dell’omertà infrangendo le regole. Aveva rotto con la madre, Giovanna Cannova, donna di una Sicilia arcaica, di violente passioni e vecchia che né comprende né condivide la ribellione delle due giovani. Rita era nata nel 1975, a dieci anni ha visto suo padre, pastore della malavita cui non mancava la furbizia, morto a pallettoni. Ma da quelle parti si dice che se ci manca l’intelligenza che vede lontano sei fottuto. Morto il Padre, la madre non poteva non riversare tutta la sua collera contra la figlia, che già da adolescente la chiamata testarda perché non si arrendeva mai. Rita voleva vendicare Padre e più tardi suo Fratello dopo che l’aveva visto incrostato di sangue sul tavolo di marmo dell’obitorio. La speranza e di non arrendersi mai. Ha voluto iscriversi alla scuola alberghiera Sciacca, lontano 35 km anche se sua madre la conduceva con una lunga macchina, mamma santissima, non voleva essere come i suoi coetanei a spacciare la droga e finire nella malavita. Aveva conosciuto Borsellino e era rimasta entusiasta, voleva collaborare. Non aveva paura di morire, ma di non essere amata da nessuno. Sua madre non doveva venire al funerale. Nel momento di scoraggiamento sognava che alla sua morte avrebbero suonato l’ave Maria di Schubert e mano pietosa avrebbe posto una rosa bianca sulla sua bara. Il 21 novembre Borsellino l’accompagnò a Roma, le consegnò un appartamentino, e sempre era in contatto con lei per le registrazioni del caso. Una preziosa collaboratrice. Ma ecco che il 19 luglio 92 Borsellino venne assassinato in Via d’Amelio a Palermo. Rita fu disperata, gli era morto il padre. E il 26 luglio,5 giorni dopo, si gettò nel vuoto in via Vittorio Veneto, si sfracello al suolo. Il giorno dei funerali ebbi l’occasione di parteciparvi anch’io, era il trentun luglio del 92. Uno scandalo, piuttosto un tumulto. La gente selezionata, sequestrata la chiesa, a fianco del cimitero con prete pieno di livore, don Angelo Russo di 104 anni (?), per il quale nessuno era morta di mafia ma tutti nel proprio letto, che va a pontificare contro il suicidio di questa ragazza, che togliersi la vita e un grave peccato, tutto secondo lo spirito del tempo. Finche’ 12 ragazze giunte da Palermo, dette donne del digiuno, non avessero interrotto in suo apostrofo con un corale con “Rita ha parlato Rita, non ha peccato”. Insomma un trionfo finito in caciara. Una domanda: non ha detto Gesù che non c’è amore più grande di chi dà la vita per il prossimo? Rita per quanto confusa mentalmente ha data la vita per il prossimo. Ma la madre forse per non dimenticare che la vendetta è femmina, il giorno dei morti il 2 novembre 92 nottetempo e andata in incognito, ha divelto la lapide e la foto della rea di alto tradimento, sua figlia. Sulla sua tomba e stata riposta una foto: La verità vive Ci lascia come testamento: “Prima di combattere la mafia devi farti un autoesame di coscienza. Poi dopo di aver sconfitto la mafia dentro di te puoi combattere la mafia che c’è negli altri”.

Autore: Albino Michelin 18.07.2023
albin.michel@live.com

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