giovedì 21 febbraio 2019

TEILHARD DE CHARDIN: IL TEOLOGO DEL FUTURO

Carneade chi era costui? Indubbiamente nella dottrina e nella cultura cattolica non ha avuto un buon piazzamento. Dapprima eliminato, poi tollerato, infine accolto come un profeta. E anche come un pioniere per chi vuole superare il recente impasse dell’immobilismo della chiesa, a torto o a ragione ritenuto tale. Teilhard (1881-1955), francese, gesuita, eccezionale paleontologo, scienziato che studia i resti fossili di organismi vegetali e animali ricostruendone l’evoluzione, ha operato un certo ribaltamento nella teologia tradizionale. Questa è pure una scienza, ma che però cerca attraverso categorie mentali del tempo di trovare qualche definizione su Dio per renderlo più accessibile alla nostra comprensione. Ma si sa che il tempo cammina, anche Galileo della terra diceva “eppur si muove”. Praticamente tutto si evolve, categorie di pensiero comprese. Fino alla metà del secolo scorso noi abbiamo impostato la teologia e relativo catechismo su categorie del pensiero greco, Aristotele (400 a.C.), elaborato e fatto proprio da S. Tommaso d’Acquino (1200 d.C.) e adottato dalla chiesa cattolica con principi, dogmi ben definiti e blindati. Un fissismo-chiusura senza respiro. Nessun dialogo con le altre religioni, e con la scienza, pena di finire sotto il torchio dell’inquisizione e anche sul rogo. Teilhard invece parte da altri presupposti. Anziché da Dio che non si vede parte dal mondo creato su cui poggiamo i piedi e che ammiriamo con stupore. Parte dalla materia, che definisce mater-madre originale, nel poco o nel molto emanazione dello Spirito di Dio. Concetto base da cui trae una serie di considerazioni, che oggi la teologia cattolica tradizionale anche se non accettare deve ingoiare e lentamente metabolizzare. E questo non lo afferma per polemizzare con Darwin che nel 1860 parlava della evoluzione della specie frutto del caso. Quindi dialogo con la scienza, con le diverse religioni, specie con quelle orientali. E per chi oggi ha una certa conoscenza del laboratorio chiesa sono innumerevoli i teologi che in modo silenzioso, sotterraneo, aperto, pubblico diffondono il nuovo verbo, riproposto da Teilhard. Vito Mancuso non è l’unico anche se il più letto pure dalla gente comune.  Si permetta di sintetizzare qui quanto già noto:” il mondo risale a qualche miliardo di anni, proviene da un disegno iniziale di Qualcuno, (=lo Spirito di Dio), energia amorosa, che attraverso una lunga evoluzione da’ origine alla vita (4 milioni anni fa), all’uomo (3 milioni anni fa), alla coscienza umana, con i grandi passaggi: atmosfera, biosfera, noosfera, fino a che tutto si evolve al Punto Omega, chiamato, secondo un concetto anche di Paolo, il Cristo cosmico. Teilhard pone come motore di tutto lo Spirito di Dio, energia amorosa che egli non identifica in modo panteistico con Dio, ma una sua emanazione. Per lui l’uomo non è un essere materiale inserito in un’esistenza spirituale, ma un essere spirituale inserito in un’esistenza materiale. E se da una parte l’universo manifesta segni di disintegrazione, quelli dell’integrazione sono molto più accentuati e visibili. In effetti tutto si tiene con tutto, gli atomi con gli atomi, le cellule con le cellule, le molecole con le molecole, è amore universale, amore più forte della morte. Teilhard sottolinea anche l’importanza dell’amore uomo-uomo, uomo-donna, uomo-Dio. Nulla di strano che egli parli dell’ ”eterno femminino”, in quanto la donna è l’espressine più tangibile dell’amore che ci inoltra verso il punto Omega. Il bello, il vero, il buono non era all’inizio del mondo, ma lo sarà alla fine.  Questo assetto di pensiero potrebbe sembrare fantascienza, ma non lo è se lo mettiamo a confronto con l’evoluzione di tutto. Qui però sorge un’obbiezione che non va ignorata. Troppo ottimismo, e chi garantisce che l’universo e l’umanità vadano verso una sempre maggiore perfezione? Tutto invece può finire nell’apocalisse della distruzione. La letteratura di oggi non è tanto fiduciosa in merito. “Società suicida, Futuro fine dell’umanità, Dopo di noi l’età della pietra, illusione di una società senza classi” …. E tutta una serie di negatività: inquinamento, desertificazione, scontro di civiltà, intolleranza dei diversi, criminalità, traffico d’armi, forbice sempre più larga tra i pochissimi ricchi e i miliardi di poveri e di morti di fame, una società liquida senza valori, zapping su tutto e non solo sui canali televisivi ma anche sui principi etici. Quale progresso, quale evoluzione verso cieli nuovi e terre nuove, verso il punto Omega? L’obbiezione tiene, ma è monca. Intanto non si confonda l’evoluzione scientifica con quella tecnologica. Quest’ultima è l’uso della scienza e dipende dalla responsabilità dell’uomo.  Quindi si tratta di una ideologia ambivalente, anzi ambigua.  Non si confonda il progresso quantitativo con quello qualitativo. L’uomo robot con l’Umanesimo. Indubbiamente non si deve rinunciare a promuovere la ricerca scientifica e tecnica in funzione del progresso. Ciò a cui si deve rinunciare è al progresso come spiegazione totale della realtà, surrogato della religione e panacea universale. Lo sviluppo richiede una nuova sintesi in un futuro che è anche frutto della coscienza dell’uomo. E’ possibile pure che il negativo e i fallimenti possano portare l’umanità ad un ripensamento e ad una virata. Anzi questo viene considerato da Teilhard una risorsa a nostro rinsavimento, ad un ricupero dell’anima, proprio nel senso che non tutto il male viene per nuocere.  Il suo è un ottimismo ragionato, anche se al punto Omega non si arriverà vita naturale durante, ma fra qualche millennio ed oltre di anni. Comunque ciò che può incoraggiare i teologi, gli studiosi e gli appassionati di religione è il fatto che quest’uomo dopo di essere stato bandito dalle cattedre di insegnamento e censurato, esiliato in Cina e morto in Usa, dopo la sua scomparsa il suo pensiero sia stato assunto di nuovo dalla chiesa e diventato il tessuto connettivo di una costituzione fondamentale del Concilio Ecumenico del 1965.” Gaudium ed Spes” Gioia e speranza. Quella del fuoco fu la prima grande scoperta del mondo antico, il dialogo con la scienza e la teologia dell’evoluzione di Teilhard de Chardin può benissimo venir considerata la seconda scoperta del fuoco. E qui diamo ragione al Cardinal Ravasi, noto biblista contemporaneo, che lamenta la renitenza della chiesa a interpretare il mondo moderno, augurandosi che all’imposizione caparbia della verità preferisca la riflessione, la pazienza, il dialogo.

Autore:
Albino Michelin
21.02.2019

mercoledì 20 febbraio 2019

SULLA RISURREZIONE DI GESÙ: TRA FEDE E DILEMMI

Si sa che il Cristianesimo si fonda non soltanto sulla figura storica di Gesù, ma in modo particolare sulla sua Risurrezione da morte. In effetti Paolo scrive ai Corinti che se Gesù non fosse risorto vana sarebbe la nostra fede, nemmeno noi risorgeremo e viceversa se noi non risorgeremo neanche Gesù sarebbe risorto. E qui possono saltar fuori diversi dilemmi: in effetti non si tratta di un ritorno alla vita di prima, né di una rianimazione di un cadavere, né di una scomparsa di astronauta verso l’atmosfera come si racconta di certi personaggi leggendari antichi sul tipo di Elia, Romolo, Alessandro Magno. Qui il discorso si fa più stringente.  Non si tratta di una contraddizione, ma certo di un mistero che ad alcuni può riuscire irritante.  Si sa che anche fra i credenti esiste un certo decalage: la maggioranza non ha difficoltà ad accettare l’esistenza di un Dio, più complicato ammettere la chiesa, mentre solo il 20% non rifiuta la Risurrezione di Gesù. Una certa esperienza poté farla pure il sottoscritto recentemente in una tavolata di amici ai quali pose la domanda che cosa pensassero della tomba vuota alla morte di Gesù e dove fosse andato a finire il suo corpo.  Una persona rispose di credere a quello che le hanno sempre insegnato, una seconda trattarsi di un simbolismo, tre di metafora- mito, tre di una leggenda sacra. Anzitutto va premesso che nessuno poté vedere di persona e costatare il passaggio dalla morte alla vita di Gesù. Di storico abbiamo solo la morte, la fuga e la scomparsa dei discepoli, il loro ritorno dopo qualche tempo degli stessi. Paolo, Pietro e 500 l’avevano visto vivente perché Dio l’aveva risorto. Non ha qui importanza se si trattasse di una visione fisica o interiore, il fatto si è che si sentirono talmente trasformati da essere pronti di dare per lui la vita. Di qui si evince che già all’inizio Gesù viene annunciato in quanto risorto e non è risorto perché annunciato Questa potremmo dire è la costante della Risurrezione, ulteriori descrizioni e racconti potrebbero appartenere al genere letterario, cioè alle variabili. Altro dilemma sarebbe sul quando avvenne questo prodigio. Studiosi e interpreti attuali basandosi sul Vangelo di Giovanni sostengono che la Risurrezione avvenne nel momento della morte in croce. In effetti Gesù invocò il Padre” Dio mio perché mi hai abbandonato” Subito dopo emise lo spirito. In quel momento Dio accolse Gesù come il Risorto. Dio non ha salvato suo Figlio dalla morte, ma nella morte l’ha chiamato alla vita eterna.  Si parla del terzo giorno, che però va inteso non come tempo cronologico, ma tempo esistenziale, sempre sul simbolismo del numero tre, cioè completezza. Gesù fu risuscitato una volta terminata e completata la sua missione. Il tutto collegato con una espressione di Gesù stesso che aveva promesso” quando sarò sollevato da terra attirerò tutto a me” (Giov.12,32). Che la chiesa primitiva abbia stabilito la Pasqua tre giorni dopo non disturba, come avviene in certi gruppi umani che festeggiano un giubileo rimandando l’evento di qualche giorno. Altro dilemma: se Gesù sia salito al cielo con il suo corpo fisico. Bisogna spiegarsi, si e no. Il catechismo insegnava che Dio è puro spirito. Quindi arrivasse in cielo un ospite con un corpo fisico sarebbe invasione indebita. Così gli uomini che a migliaia andassero in cielo ti farebbero un’ammucchiata indescrivibile. Quando si parla di cielo si faccia attenzione che non si intende uno spazio, ma un modo di essere. Se Dio è puro spirito, se è energia spirituale e amorosa a lui Gesù è arrivato con un corpo spirituale, come con un corpo spirituale ci arrivano tutti i salvati. Certo noi siamo il nostro corpo. Soltanto che esiste una certa distinzione fra il mio corpo e la coscienza che io ho di esso. Il mio corpo nasce, cresce, invecchia, si fa le rughe, muore. Il mio io invece resta sempre lo stesso. Non c’è continuità fra il mio corpo e il mio io. La nostra coscienza non si identifica con il nostro corpo, ma la supera. Anche Bergson sosteneva che essa ha bisogno del corpo per esprimersi, ma non ha bisogno del corpo per esistere. La nostra coscienza con il nostro spirito fa parte dell’energia universale, dell’energia di Dio. Gesù è stato assunto da Dio non con il suo corpo materiale, con le sue ossa, molecole, tessuti, ma con il suo spirito rivestito di corpo glorioso. La risurrezione non è un fatto materiale, ma reale perché lo spirito dell’universo cui noi partecipiamo è reale, anche se non soppesabile. Persino in fisica esistono realtà per niente o poco materiali che noi cerchiamo di quantificare. Ad esempio la fisica tenta di descrivere la natura della luce, al tempo stesso onde e corpuscoli, e come tale imponderabile inimmaginabile, traducendola in formule. Cosi noi si traduce in formule accessibili come “corpo spirituale”, realtà che non riusciamo a capire   intellettualmente. Risurrezione e sopravvivenza di Gesù che non è simile alla nostra per esempio di un Michelangelo che della Cappella Sistina porta il nome e ci parla oggi attraverso le sue opere. Si tratta della persona di Gesù vivente, permanente, non menomata, anzi maturata. Altro dilemma è il sepolcro vuoto. Paolo il primo a documentare la vita di Gesù non parla mai di sepolcro vuoto. Quindi può essere un’aggiunta letteraria tardiva e registrata nei vangeli, metafora.  Paolo si limita a dire che Gesù si è manifestato ai suoi rivestito di un corpo celeste. Di qui è lecito dedurre che il corpo di lui rimase nel sepolcro e che la sua fede non si fonda sul sepolcro vuoto. Questo può essere ambiguo e dare luogo a interpretazioni come impostura dei discepoli, sottrazione di cadavere, scambio di persona, morte apparente. Qualcuno potrebbe obbiettare che anche prima di Gesù esistevano risurrezioni dai morti. Sì ed erano parecchie, come quella in Egitto di Osiride che ucciso dal fratello viene risuscitato dalla moglie Iside. Non si può però parlare di plagiato stante contenuti e finalità diverse. Potrebbero però essere indizio di un bisogno di ogni uomo di sopravvivenza, da Gesù con la sua Risurrezione già raggiunta. 

Autore:
Albino Michelin
19.02.2019

martedì 19 febbraio 2019

PAPA FRANCESCO SULL'ABORTO: REAZIONE DELLE DONNE

Mica tanto soft è stata l'espressione di Papa Francesco quando ad inizio ottobre 2018 in occasione di un’assemblea di pellegrini ebbe a dire: “Chi compie l'aborto è come un sicario che prende il coltello e ammazza un innocente". Indubbiamente sul tenore anche se non sul contenuto dell'intervento vi fu una indubbia reazione in modo particolare da parte delle donne. In effetti spazientita è stata la risposta di Dacia Maraini, nella quale scrive di stimare Bergoglio, ma il tenore delle parole l'ha stupita e addolorata. Le chiede perché ha usato termini così duri quando nessuna donna compie l'aborto a cuor leggero anzi si trova sempre di fronte ad una scelta tragica. E gli ripete l'alternativa di consigliare la prevenzione, scelta che la chiesa ha sempre combattuto. E' anche un rimprovero perché sul corpo delle donne, sulla maternità,   gravidanza,  sessualità debba sempre decidere il maschio, sia esso marito,  prete, vescovo,  papa.  Per non restare nel vago ho tentato di personalizzare il caso chiedendo ad alcune signore tramite mail la loro opinione con quattro domande:" come giudica l'intervento del   papa nella sua espressione, come considerano l'aborto le donne di oggi, prevenire la gravidanza attraverso i contraccettivi,        la castità coniugale secondo il precetto della chiesa per evitare figli." Cito le risposte secondo una certa logica. C. M:"lo sono una di quelle che ha compiuto l'aborto. Non mi interessano le parole del papa, ma purtroppo io l'ho sentito come un omicidio. Però prima di parlare bisogna conoscere il dramma in cui può trovarsi una persona. Avevo già due figli e mi è stato diagnosticato il terzo malformato. Feto senza un orecchio e senza un piede. Smarrita mi sono chiesta come avrei potuto vedermi nel futuro, come i miei figli avrebbero accettato questo essere, il mio rifiuto di ammucchiarlo in un cottolengo. Sono passata da diversi psichiatri, che si permettevano di liquidarmi quasi minorata psichica, ho contattato dei dottori e ho notato che la loro obbiezione di coscienza non deriva da una fede religiosa, ma dal tornaconto, cioè dalla paura che il feto non nasca morto e quindi andrebbero incontro a delle grane, oppure per motivi finanziari perché l'aborto in clinica sarebbe gratuito mentre nella prassi privata è a pagamento. Sono entrata nell'ospedale, e ho desolatamente visto una gran quantità di ragazze e giovani donne in attesa dell'aborto come se fossimo in un supermercato. Purtroppo ho deciso. Fortunatamente poi con il mio peso sulla coscienza ho potuto parlato anche con un sacerdote, il quale mi ha consigliato di andare pure alla comunione come prima. lo dopo questo gesto non mi sento una donna coraggiosa, neanche una donna sconfitta, ma una donna provata dalla vita, e mi sono impegnata in futuro a dedicarmi anche ai più bisognosi e al prossimo. ." A proposito del linguaggio tenuto dal papa nell'occasione, le parole vanno anche contestualizzate. Papa Francesco non si trova oggi tanto a suo agio. Da una parte gente che lo esalta per le sue aperture, dall'altra gente che lo mette alla forca. Basti pensare agli articoli di A. Socci nella stampa della destra politica quando scrive (26.9.15):" Tu papa stai umiliando la chiesa, sei una star di Hollywood che hai portato la chiesa in un pantano ideologico." Il tutto in risposta ad una affermazione di Bergoglio che aveva detto (19-9-13) :la chiesa non è tortura ma misericordia anche per i divorziati, gli omosessuali, le donne vittime dell'aborto, per l'assoluzione delle quali aveva abolito quel pellegrinaggio nei sacri palazzi in cerca del vescovo o del suo delegato per l'assoluzione, concedendo ad ogni prete l'incarico di impartirla .Altra risposta concernente la contraccezione, quella di C. R: "Nei primi otto anni di matrimonio ho avuto tre gravidanze. Tuttavia mio malgrado dopo un confronto specialistico spirituale e serio ho scelto di assumere una terapia contraccettiva orale perché essendo stata costretta a subire tre tagli cesarei non avrei potuto assolutamente accettare i rischi di un quarto intervento. Comunque su un principio resto ferma: che la vita umana è inviolabile dall'inizio dalla fine. lo non darò mai a mia figlia il preservativo perché faccia quello che vuole, ma accetterò il rischio di educarla ad una affettività autentica, con la consapevolezza delle difficoltà che comporta." Sui dettagli poi alcune opinioni si distanziano. D. V.:" L'aborto nei primi due mesi non è un omicidio". Altre risposte preferiscono la poesia della vita e volare alto. K. B.: "Penso che l'universo ha dato a noi uomini e donne un grande potere, quello di donare la vita e quello di toglierla. Essere consapevoli e responsabili non è solo un diritto, ma anche un dovere. Da troppo tempo ci siamo deresponsabilizzati e per tornare a sentire il meraviglioso canto del nostro cuore sarà necessario un lungo cammino di purificazione". Se infine la castità coniugale possa essere un metodo per controllare la gravidanza, qui si va a un estremo all'altro. D. V.:" La castità non esiste." E ancora la K. B:" Trovo che l'energia dell'amore sia un dono divino e solo chi è riuscito veramente a sublimare l'energia dell'amore dovrebbe votarsi alla castità. Se no arriviamo ai tristissimi risultati di cui sempre i giornali ci informano." Altro contributo di A. A:" Purtroppo sono divorziata da pochi mesi. L'amore è bello se fatto con amore e con rispetto, se no è un'esperienza ormonale che si esaurisce in tre minuti. Dico ai miei figli di 13 e 11 anni che i loro corpi e i loro sentimenti sono preziosi e perciò devono rispettarli e non buttarli per essere alla moda e accettati dagli altri". L'intervento papale sull'aborto può aiutare la gente a ragionare. Ma siccome anche le parole sono pietre, dopo questo piccolo incidente di percorso papa Francesco lasci cantare gli uccelli del malaugurio e prosegua la sua strada, con il suo linguaggio chiaro ma pieno di ottimismo nel vangelo del Signore.

Autore:
Albino Michelin
12.02.2019

lunedì 18 febbraio 2019

LA BIBBIA E LE SUE INTERPRETAZIONI: LA COSTANTE E LE VARIABILI

Nella liturgia della messa cattolica si comincia a riformare. In Effetti Papa Francesco disse che non corrisponde al testo originale una formula del Padre Nostro e una del Gloria e precisamente” non ci indurre in tentazione” e “pace in terra agli uomini di buona volontà” da sostituire con “non abbandonarci alla tentazione” e “pace agli uomini amati dal Signore.” La maggioranza le considera quisquiglie e non ci bada, ma una certa aliquota fa addirittura il diavolo a quattro, e si gioca la fede. Si domanda se si doveva aspettare due mila anni per riformare i testi originali e mandare all’aria quello che per secoli si è creduto. Non è possibile, la Bibbia è parola di Dio, è ispirata da Dio, è scritta da Dio, ha Dio per autore, va presa e applicata alla lettera, prescrizioni igieniche e rituali comprese. Una cosa alla volta. Anzitutto la Bibbia è un libro umano perché Dio non sostituisce l’uomo. L’uomo, lo scrittore ispirato parla sì in nome di Dio, ma prima di tutto in nome proprio. I granelli d ‘oro che la bibbia contiene sono mescolati con diversa quantità di argilla. L’ispirazione di Dio non modifica le attitudini, lo stato fisico (qualche scrittore sacro era malato anche di epilessia con conseguente difficoltà di interpretazione), l’assetto culturale, il carattere. Per la cronaca va detto che la Conferenza episcopale italiana il 15 novembre 2018 ha preso atto e divulgato questa informazione papale. Pare vi abbiano impegnato 16 anni di studio. Se da una parte sembrano veramente troppi però una domanda si impone: e se non vi fosse stato questo pronunciamento, e avessimo continuato con le precedenti formule avremmo recitato una verità o un errore? Ovviamente un errore. Perché la verità non dipende dalla decisione dell’autorità, ma dalle conclusioni degli studiosi, che vi erano già arrivati da anni, anche se dovevano tenersi la bocca cucita. La verità dipende dalla realtà e da chi riesce a scoprirla. Nello specifico in questione la verità dipende dal magistero teologico, cioè degli studiosi e degli interpreti. Dal papa può dipendere il magistero di governo, come dai credenti tipo madre Teresa dipende il magistero carismatico. Un papa non può autorelazionarsi tutto e accorparsi tutti i magisteri.  E qui si ricollega il nostro argomento del titolo. Indubbiamente un breve excursus storico non nuoce. Gesù ha parlato in aramaico, dialetto del suo tempo, l’originale dei primi vangeli è andato perduto e abbiamo come base il testo greco. Esso fu tradotto in latino da S. Girolamo verso il 400 d.C. I vangeli come a noi tramandati furono codificati nel concilio di Nicea 325 d.C. indetto non dai vescovi ma dall’imperatore Costantino, il quale non si è convertito alla Chiesa, piuttosto in parte è vero il contrario. Non si nega che lo Spirito del Signore abbia supportato i vescovi riuniti, però è storico che la parola di Dio è stata fissata da uomini sotto l’egida dell’impero romano. Nel 1229 il Concilio di Tolosa proibì di leggere la Bibbia. Nel 1450 con l’invenzione della stampa la bibbia fu tradotta nelle lingue nazionali specie sotto la spinta di Lutero, nel 1780 comparve la prima bibbia in italiano. Non solo la storia ma anche l’interpretazione della Bibbia è in evoluzione, come quella dei dogmi, come anche la legge di natura. Al tempo del cannibalismo legge di natura era divorare fisicamente i propri simili, in tempi seguenti legge di natura era defraudarli, in tempi recenti (1948) come legge di natura sono emersi i diritti dell’uomo. Chi fermerà l’evoluzione e quale piega prenderà? Questo dipende dall’uomo, premessa ovviamente l’assistenza di Dio. Alcuni messaggi nella Bibbia restano perenni, altri sono frutto del tempo, delle usanze, dei costumi. Soprattutto è molto importante distinguere il Gesù della storia dal Gesù della fede, ciò che è genere letterario, ciò che è simbolismo, come pure chiedersi chi l’ha scritto, chi sono i destinatari, quali sono i motivi del documento in questione, se qualche brano è stato aggiunto dalle prime comunità. Recentemente mi sono incontrato con un prete il quale mi diceva che lui non crede al miracolo delle nozze di Cana, cioè che Gesù abbia trasformata diverse botti di acqua in vino. Al che mi permisi di aggiungere: Io stesso non credo che Gesù si sia trasformato in cantiniere, che abbia fatto prodigi da circo, però non direi mai nella predica che questa è una fiaba, che non ci credo, non direi mai che il prodigio non è avvenuto, ma affermerei che ci credo, non tanto in senso letterario, ma simbolico. E il simbolico arriva al vissuto in profondità molto di più che non il racconto materiale. Cioè dovunque Gesù passa non lascia mai le cose come prima. Ma trasforma l’acqua in vino, cioè la tristezza, la miseria, la sofferenza della gente in gioia di vivere, in coraggio, in progetto di vita nuova. Questo è il vero miracolo, non il sensazionale vino spumeggiante per soddisfare la curiosità della gente. Ma questo è il paradosso di oggi, che bisogna continuare a raccontare bugie. In effetti esistono molti preti che quando chiamano un sostituto a predicare gli ingiungono di non uscire dalle righe per non confondere il nostro “buon” popolo. Ti impongono un letteralismo spaventoso, così sta scritto, così va detto.  Anche il nuovo Catechismo del 1993 precisa che i vescovi devono insegnare, i parroci ripetere, i fedeli credere, i docenti proporre. Rare le comunità in cui si appresta per la gente un cammino culturale nei confronti della Bibbia.  Certo nessuno più riuscirà a fermare l’evoluzione nell’interpretazione di questo libro, però la tentazione è sempre dietro l’angolo. Questo articolo pare un po’ generico, ma costituisce la base per affrontare in futuro a beneficio dei lettori argomenti dettagliati della Bibbia, dei dogmi, della fede per vedere quali sono le costanti e quali le variabili. In tutti i casi non si tratta di indurre in confusione, ma di aiutare alla chiarezza perché non ci si venga a dire che la bibbia è un libro di favole devote.

Autore:
Albino Michelin
10.02.2019

sabato 16 febbraio 2019

IN PRINCIPIO ERA L'AMORE VERSO SE STESSI

Può essere un’espressione ambigua e pericolosa se non esaminata attentamente, ma potrebbe anche essere fondamentale se recepita al di fuori e al di là di ogni contesto interessato. Che l’asserto non faccia una piega lo dimostra anche il fatto che Gesù abbia affermato “ama il prossimo tuo come te stesso” e che quindi la misura per amare gli altri parta da sé stessi. Oggi si sente molto parlare della cura di sé stessi, qui però tralasciamo quella di stile e dell’immagine, e ci soffermiamo sulla cura spirituale di sé stessi, discorso non tanto utopico e peregrino. Va premesso che prendersi cura di sé non è una causa minore per coloro che vogliono servire cause più grandi. Avere cura di sé stessi è una condizione e allo stesso tempo una dimensione inerente all’impegno per le grandi cause. Ognuno è per sé stesso il suo primo prossimo bisognoso. Come darsi agli altri se non si prende cura di sé stessi? Correva una leggenda-mito presso gli antichi romani, che racconta come un certo Cura, camminando vicino ad un fiume prese del fango dal fondo e modellò la figura di un essere umano. Giove passò di lì e acconsentì al desiderio di Cura di infondere lo spirito in ciò che aveva fatto. A dimostrazione che l’uomo è un essere di argilla ripieno di spirito, e uno spirito calato nell’argilla. Motivo già presente nel mito della creazione dei sumeri 2000 a.C. e nella Bibbia 600 circa a.C. a prova che le intuizioni profonde dell’uomo si identificano anche se lontane nello spazio e nel tempo. E ‘chiaro che lo spirito che ci anima, ci unifica, ci relazione e ci muove non proviene dall’esteriore della materia che ci costituisce. Il cuore della materia (mater=madre) è ciò che sta nel fondo di quella materia-energia e può anche essere chiamato Dio. E noi dobbiamo prenderci cura di noi stessi partendo da queste radici. Avere cura di se stessi è mettersi nei propri panni, il che è facile a dirsi, ma nel nostro tempo assai difficile e realizzare, date le complicanze a vivere dentro, a contatto del nostro io più profondo.  Si chiama amore spirituale o cura spirituale di se’ stessi: spirituale equivale a profondo, non si vede, non si pesa. Non siamo solo atomi, cellule, molecole, tessuti. Non si vive solo di pane, vitamine, proteine, grassi, nemmeno di scienze e di conoscenze, e nemmeno di ciò che spesso viene inteso come pratiche di spiritualità. La spiritualità è una qualità umana profonda slegata da qualsiasi religione che potremmo anche semplicemente chiamare saggezza della vita. E consiste nell’osservare, sentire, operare, vivere secondo ciò che è più intimo e vero del nostro essere. La spiritualità si traduce in una fede profonda in se stessi, nel prossimo, nella madre terra, nella misteriosa energia matrice di tutte le forze. Una componente essenziale della cura verso se stessi è anche l’attenzione. Sono due componenti reciproche. Occupazioni, messaggi, vortici di emozioni che ci reclamano da tutte le parti purtroppo ci impediscono di vivere attenti, presenti e coscienti di ciò che vediamo, sentiamo e facciamo. Questo ci ricollega a ciò che nella tradizione cristiana veniva e viene chiamato con il termine “contemplazione”, in pratica pure sinonimo di meditazione silenziosa, come quella della tradizione orientale, buddista e induista. Lo stesso termine “meditazione” se ci atteniamo all’origine della parola significa stare al centro (media-stazione), vivere a partire dal centro. A viaggiare oggi in treno stipato di turisti sembra di stare in un cargo di alieni extraterrestri tanto tutti sono “s-concentrati” e assenti nei loro cellulari e watsapp.Il rumore ci inonda dall’ esterno, ci asfissia finisce per minare la nostra salute fisica, psichica, spirituale.  Le nostre case sono diventate inabitabili per il rumore del traffico, la competitività smisurata, lo tsunami dell’informazione, l’incessante chiasso della tv. Curiamoci e difendiamoci dal rumore, dallo stress mentale, emozionale che ci impedisce di respirare con calma, liberiamo il nostro ego dalle pesantezze interiori e dai rancori. A completare, non inutile sarebbe la cura teologica di se stessi. Aumentano sempre di più coloro che vogliono curare la propria teologia, cioè il proprio bagaglio culturale religioso, molti si sentono a disagio con un catechismo e una predicazione religiosa ripetitiva, un Cristianesimo come unica religione rivelata con un fardello di dogmi, miracoli, peccato, perdono, cielo, purgatorio, inferno.  Il bisogno come di disintossicarsi. Ci manca un linguaggio coerente con l’evoluta visione del mondo. Viviamo in un’epoca profondamente diversa non solo da quella antica, ma anche da quella cosiddetto moderna. Non si sente più valida o sufficiente la teologia di sempre e nemmeno quella del Concilio Vaticano II, così timidamente aperto al moderno. Ma soprattutto non si dimentichi il divino che è in noi. Oggi si chiama neuroteologia la scienza che studia le attività del cervello durante le esperienze religiose, dalla preghiera alla meditazione.  Grazie alle normali tecniche di neuroimmagine, come la Tac o la risonanza magnetica, si è visto che pensando a Dio si attivano a livello cerebrale sia nei credenti come nei non credenti le aree frontali (deputate all’attenzione e alla concentrazione) e il sistema limbico, associato alle emozioni. In un certo senso è come se il cervello fosse predisposto naturalmente alle esperienze mistiche e alla preghiera, al di là delle singole credenze.  In pratica vi sarebbero fra il miliardo di neuroni alcuni che restano inattivi, chiamati punto Dio, quasi disponibili ad una comunicazione superiore. Non si vuole qui entrare in un regno pseudoscientifico o di magia o addirittura di prova della soprannatura ma il tutto fa intuire la grandezza della spiritualità umana.  L’importante è conoscersi e quindi incominciare dall’amare se stessi.

Autore:
Albino Michelin
04.02.2019

martedì 12 febbraio 2019

P. PIO PRIMO FRA I SANTI: GESÙ ALL'OTTAVO POSTO

Mercoledì 19 settembre 2018 in una trasmissione televisiva l'attuale nostro presidente del Consiglio pure in coincidenza con il 5O.mo anniversario della morte di P. Pio da Pietrelcina estrae dalla giacca una immaginetta del santo e la esibisce alle telecamere e ai telespettatori dichiarando di essergli fedele devoto perché "uomo di preghiera e vicino alla gente". Nella graduatoria delle devozioni popolari il frate Forgione e papa Wojtyla precedono nostro Signore che si trova in panchina verso la decima posizione, sintomo di una alterazione delle priorità che dovrebbe allarmare gerarchie cattoliche e clero tutto. Le statue del frate sono disseminate in tutto il paese più del crocefisso, nei covi dei mafiosi troneggia o viene esposta la sua immagine insieme con quella di S. Michele, l'arcangelo dall'atteggiamento bellicoso di buttafuori dal paradiso terrestre dei nostri progenitori Adamo ed Eva. In questa figura andrebbe distinto e studiato l'uomo delle stimmate, il suo carattere personale ricevuto da madre natura, i suoi talenti miracolistici, il suo messaggio a favore dei sofferenti e contro la sofferenza, la sua strumentalizzazione postuma da parte del popolo. Come si vede difficile una chiarifica in tanta stratificata complessità. In quanto alle stimmate conosciamo le contrapposte interpretazioni, alcuni lo considerano un mistificatore, affetto da disturbo istrionico, di trance dissociative, di origine isterica. Tanto che il suo confratello P. Gemelli nel 1920 consigliava di ricoverarlo in un ospedale psichiatrico. Comunque resta un mistero se siano manifestazioni di uno stato morboso, oppure procurate artificialmente mediante la tintura di iodio di cui si faceva largo uso in convento. Psichiatri e teologi rimangono ancora distanti nell'interpretazione, ma non sono queste diatribe che ci dovrebbero interessare. Il suo carattere? Per esperienza molti fedeli anziani lo ricordano ancora come un frate severo dai modi bruschi, poco paziente con i penitenti, specie con quelli non rigorosamente democristiani, o che fossero attraversati da qualche dubbio sulla fede. P. Pio sembrava ignorare che anche Gesù fu assalito da dubbi e mica di poco conto. Al riguardo una certa sorpresa suscitò la decisione di papa Francesco nel 2016 in occasione del giubileo della misericordia, cioè di portare le sue spoglie da S. Giovanni Rotondo a Roma. Gesto che si può ascrivere alla pressione di alcuni informatori o un tributo personale alla religiosità popolare, di cui il Concilio 1965 aveva messo in guardia, ma riportata in auge da papa Wojtyla sotto il cui pontificato madonne disperate piangevano lacrime di sangue, per alcuni ritenute fenomeno da baraccone, scomparse poi con quel papa stesso. Si sa che le devozioni popolari garantiscono un maggior afflusso di gente alla chiesa tanto che nella prima guerra mondiale i sacerdoti esclamavano: “non esistono gli atei, le chiese sono piene". I miracoli di P. Pio? Giudicare un santo dai miracoli è pure entrare in un terreno scivoloso, perché questi potrebbero venire compiuti anche in altre religioni non cristiane, e originati dalle   più diverse motivazioni. L'esempio ci viene da S. Francesco, di cui P. Pio è confratello, anche se separati da otto secoli, un santo fra i più eccezionali della storia che non fa mai miracoli ma che offre un modello di vita e ha praticato la misericordia verso tutte le creature, anche verso gli animali, lupo compreso. Allora quale potrebbe essere la specificità di P. Pio? Va detto subito: la sua sensibilità verso la sofferenza umana, soprattutto fisica oltre che morale. Di qui la sua grande opera di assistenza voluta nella fondazione delle case di cura e di ospedali come quello di S. Giovanni Rotondo. Ora la gente ha motivo di riporre la speranza delle guarigioni in questi, nelle medicine, nella professionalità sanitaria. La quale se viene esercitata con competenza e coscienza può compiere dei veri miracoli, talvolta più che non attenderseli dalle reliquie dei santi, dagli oli sacri, e dai gesti del clero. Conviene lasciare in pace i santi rendendoli disponibili all'occorrenza per "miracoli" autentici a favore dell'intera umanità. Che poi questo S. Giovanni Rotondo sia ad un certo punto sbandato anche un po' verso una struttura sanitaria chiacchierata, di scorrettezze speculative e poco francescane, è anche vero, ma allora si tratta di una irresponsabilità dei successori, non prevista nelle intenzioni del fondatore. Esibire l'immaginetta in pubblico, e nei talk show, nelle piazze richiede un po' di pudore perché se è vero che bisogna dare testimonianza della propria fede è altrettanto vero che va evitato l'esibizionismo per scopi altri, e questo lo si deduce dalla coerenza del comportamento, evitando baratti e sfruttamenti della buona fede e della sofferenza delle persone. I santi vanno tirati fuori quando siamo disposti a cambiare noi stessi, e la vita delle persone come fece Gesù con Zaccheo e la Samaritana senza abbandonarsi alla devozione morbosa delle loro spoglie mortali. I nostri politici si accontentano di sbandierare amuleti sacri, ma quali rancorosi giullari non provano nessuna compassione verso i disgraziati dell'ultima ora, ostentano muscoli verso i deboli, privano i bambini non appartenenti alla razza bianca del piatto alla stessa mensa scolastica dei loro figli. I devoti parlamentari si leggano il Vangelo e scopriranno che anche la famiglia di Nazareth si rifugiò in Egitto per scampare dalle persecuzioni del potere del loro tempo.  Ciò recepito estraggano pure il santino di P. Pio dal taschino della loro giacchetta e lo esibiscano al popolo italiano.

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Albino Michelin
28.01.2019

lunedì 11 febbraio 2019

I DIVERSAMENTE CREDENTI

E’ fuori discussione che ogni persona, nell’ipotesi abbia la fede, la vive attraverso la cultura del suo tempo o del suo ambiente. Se ad esempio uno fin da bambino venisse educato in un territorio dove l’entità soprannaturale di riferimento fosse P. Pio da Pietrelcina ovvio che gli renda ogni omaggio e ossequio. Così dicasi di un abitante del Tibet che sarà devoto di Confucio e di un africano che adorerà il grande Spirito degli antenati.  Con ciò non si vorrebbe affermare che la religione è un prodotto sociale, ma che indubbiamente la società ne costituisce la radice, lo sviluppo, il condizionamento.  Tale fede potrebbe nel prosieguo del tempo e in riferimento a diversi confronti subire o acquisire all’interno della coscienza una evoluzione, un ripensamento, un rifiuto, ma questo lavoro interiore non è di tutti e dipende da una serie di circostanze. Ciò premesso va anche detto che noi stiamo vivendo in un tempo e in un mondo dove tutto viene messo in discussione e relativizzato. Per cui c’è più spazio anche per la ricerca personale.  E rimanendo nel nostro occidente noi ci accorgiamo di una nuova terminologia chiamata” i diversamente credenti”. E si vada adagio con il definirli tout court atei, agnostici, miscredenti, perché vi potrebbero rispondere:” io non sono ateo, sono un credente ma diversamente credente”. E qui bisogna fare il punto perché non sempre si tratta di una scusa, ma di un’affermazione veritiera. Diversamente credente non sarebbe colui che litiga con il proprio prete e gira da un altro. O colui che per antipatia verso la propria parrocchia va a messa in un santuario o a Medjugorje, o colui che irritato dal confessore con le manica stretta se ne va da quello con la manica larga, o colui che pianta baracca e burattini e passa ai testimone di Geova e viceversa, o aderisce ad altri movimenti. In questo caso senza offesa diciamo non si tratta di diversamente credenti, ma di clienti che cambiano bottega. I diversamente credenti possono essere di altra esperienza e da prendersi quindi più in considerazione.  A proposito va citata qui una mail della signora E. da Varese:” All’inizio quando mi sono staccata dalla chiesa mi sentivo persa, ero delusa. Il percorso di spiritualità che sto facendo mi sta aiutando tanto ad analizzarmi interiormente, sono diventata più riflessiva e mi comporto senza sentirmi giudicata, credo fortemente nell’energia positiva e negativa, nella reincarnazione. In pratica cerco di fare le cose in base alla mia coscienza, se posso aiuto le persone anche con opere di volontariato, penso valga di più un’opera di bene che non una messa. In sostanza non mi piace quello che ha modificato l’uomo. Un Dio e un Gesù non si comporterebbero così, vivendo nel lusso e sentenziando regole assurde”.  Espressioni frequenti e comuni pure a molti cattolici che nel cattolicesimo di oggi non si ritrovano più. Certo anche qui l’occasione per uscirne e defilarsi potrebbe collegarsi a qualche piccolo o grosso conflitto con l’istituzione precedente, che però invece di condurre al nulla o verso l’indifferenza, ti porta a qualcosa di più profondo, che, al di là del dettaglio reincarnazione, si chiama la radice e l’essenziale dell’io, si chiama spiritualità. In questa situazione la chiesa con i suoi dogmi non viene messa sotto processo o combattuta, ma considerata come un opzional, o come sopra citato, relativizzata. Per aiutarci un po’ad approfondire il tema possiamo anche ricordare Van Gogh che scrive al fratello:” per me il Dio degli uomini di chiesa è morto e sepolto.  Ma per questo non sono un ateo perché percepisco nel mio amare esservi qualcosa di misterioso, chiamato Dio, Natura umana, o altra cosa e mi rendo conto che è vivo e reale”.  E Einstein: “meravigliarsi ed emozionarsi di fronte al mistero, della straordinaria bellezza accessibile a noi anche solo nelle sue forme più elementari, questa è la vera attitudine religiosa”. E Leopardi, un ateo assetato di Dio che nella sua poesia “Infinito” esclama:” e dolce mi è naufragare in questo mare”. Luisa Muraro, scrittrice e filosofa contemporanea nel suo libro “Il Dio delle donne” afferma con una certa circonlocuzione: “c’è in questo mondo una realtà che non è realmente solo di questo mondo. C’è oggi una forma di spiritualità che nasce dalla esperienza della fragilità umana, libera di indagare l’esistenza di Dio o il suo contrario. Dio smette di essere un talismano contro il male o le disgrazie di questo mondo, ma resta come dimensione reale al di là dello sperimentale e dell’opinabile, anche se non sappiamo dargli un nome”. Integrante a queste riflessioni andrebbe aggiunta un’opinione di S. da Treviso:” I miei percorsi personali mi hanno portato alla convinzione che Dio è ognuno di noi o meglio la nostra essenza, che ognuno di noi conosce bene nel proprio Sé tutti i valori che le   varie dottrine tendono ad insegnarci-. E su queste bisognerebbe lavorare nel senso che ogni individuo ne divenga consapevole”. I non credenti si trovano in una posizione talvolta migliore per accogliere lo spirito di Dio che soffia dove vuole e che difficilmente entra dove vi sono incrostazioni rigide di una religione abitudinaria.  Il diversamente credente non ha nulla a che vedere con il pessimismo ed il catastrofismo ma lo possiamo trovare impegnato in prima linea nella difesa dei diritti umani a salvaguardia del creato, volutamente al servizio degli impoveriti, recependo l’ottimismo della creazione. Non per niente le Comunità di Base hanno intitolato il loro convegno di Rimini del 2017 “Beati gli atei perché incontreranno Dio”. Al di là di un certo paradosso si potrebbe affermare che gli atei non esistono, o molto rari, ma i diversamente credenti sì. E forse varrebbe la pena ascoltare anche le esperienze dei loro vari percorsi nei molteplici movimenti spirituali di oggi, ancorché non siano muniti del timbro postale della chiesa, o delle religioni istituzionali.

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Albino Michelin
23.01.2019

sabato 9 febbraio 2019

GIOVANE CATTOLICA DONNA PERCHÉ VOGLIO DIVENTARE PRETE

Ricevo questa mail che viene trascritta rispettandone essenzialmente il contenuto - “Sono Gino Driussi di Lugano, ho lavorato per 34 anni nella Radio Svizzera Italiana, informazione religiosa, Le scrivo perché ho letto con molto interesse le sue riflessioni -Messa e predica con cronometro- pubblicata nel Corriere degli Italiani il 26 settembre u.s. Affezionato a questo giornale fin dagli anni 60 perché lì ho iniziato a scrivere i miei articoli, quando abitavo a Vevey come studente. Il mio interesse per le Sue impressioni estremamente positive riguardo alle donne che celebrano e predicano nelle chiese protestanti.  La penso esattamente come Lei. Ho letto anche molte esperienze nelle chiese anglicane, dove hanno la fortuna di avere bravissime donne vescovi. Coltivo grandissima passione per l’ecumenismo da quando ero ragazzo. Ho ricoperto incarichi a livello di chiesa cattolica svizzera e ricopro ancora nella chiesa di Lugano dove ho iniziato attività quando mi sono trasferito nel Ticino nel 1977 Convinto assertore del ministero femminile, avevo molte speranze quando più volte papa Francesco  aveva  detto che il -si è sempre fatto così  non è una scusa per non cambiare -.Tuttavia sono stato raggelato quando questi ha affermato che papa Wojtyla con la pubblicazione della lettera apostolica -Ordinatio sacrdotalis-  chiuse definitivamente la questione. Concetto ribadito anche recentemente dalla Congregazione della dottrina per la fede. Speriamo che almeno qualcosa si muova per quanto riguarda il diaconato femminile. Non so se tutto questo può darle uno spunto per un suo prossimo pezzo sul Corriere d.I. Uno spunto corroborato da un libro pubblicato da una mia carissima amica della svizzera tedesca. Esiste anche in Italiano e si intitola -Giovane cattolica donna perché voglio diventare prete. Le chiederei se ritenesse opportuno una adeguata propaganda. Un contributo per l’accesso   al ministero femminile, come sul celibato dei preti nella chiesa latina che andrebbe abolito quanto prima. La ringrazio per la cortese attenzione (Lugano, Gino Driussi, 6.10. 18)
L’autrice del libro si chiama Jacqueline Straub, di origine tedesca, nata nel 1990, ma vive in Svizzera dopo aver studiato teologia in diverse università, conclusa con una master a Lucerna. E’ attualmente relatrice nei media svizzeri. Il sacerdozio femminile appartiene allo zoccolo duro della chiesa. Vi sono indubbiamente delle istanze sempre più frequenti, anche se le loro fautrici non sono molto note, come la teologa Green, la Irene Grassmann, priora del convento benedettino di Fahr nello zurighese (animatrice del progetto di una chiesa con le donne). E poi non dimentichiamo che quando si tratta di cambiamenti paradigmatici e strutturali le cose non mutano da una giorno all’altro. In effetti bisogna superare forti resistenze. Come quella da parte di donne attuali contrarie a questo ruolo in quanto poi temono di divenire una forma gerarchica piramidale a servizio e sostegno di quella maschile. Bisogna risalire ai primi secoli, subito dopo Gesù e Paolo, in cui si è radicata l’idea che le donne non contano perché non sono immagine di Dio e trovano la loro perfezione solo attraverso l’uomo. Un processo di defemminilizzazione che trova la sua realizzazione nella verginità o nella vedovanza. Oppure qualche secolo dopo con la concezione che il maschio rappresenta Dio, la donna diventa suddita del maschio. E se una donna risaltava per particolari qualità intellettuali e civili finiva al rogo come strega. Nel 1985 con la Pacem in terris Giovanni XXIII aveva aperto buone prospettive per le donne, ma nel 1976 Palo VI corregge il tiro sostenendo che la chiesa non si sente autorizzata all’ordinazione sacerdotale femminile, per arrivare anche ad un recente sinodo dove 350 vescovi e preti decidono quello che devono volere le donne. Insomma un’altalena: il cristianesimo parla solo lingua maschile, i maschi hanno il coltello per il manico. E poi anche il continuo ricorso ai dogmi diventa un’inflazione, un’enfatizzazione eccessiva. Per secoli era verità di fede che il sole girasse attorno alla terra, poi abbiamo visto con Galileo come è andata a finire. Ma come si è identificato quale dogma un fatto scientifico poi superato, così si potrebbe oggi ripetere a definire dogmi un fatto sociale, (no alla donna prete), un fatto biologico, ecc. e più tardi vederlo superato dalle scoperte della scienza. Si bada poco al fatto che l’evoluzione non è solo della materia, ma può essere anche dei dogmi, delle verità date per scontate. E’ in questo contesto che si iscrive la teologia della Jacqueline Straub. Il libro è un racconto autobiografico, e non va dimenticato che grande è il potenziale delle storie di vita dei materiali autobiografici. Da piccola odia andare alla messa e pensa che il suo parroco sia una persona inquietante. Poi lentamente scopre un mondo con Dio. A quindici anni durante un campo estivo sente la chiamata a farsi prete. Non si arrende alle prima difficoltà. Convinta che la fede in Dio è più importante del divieto di discutere.  Da 20 a 26 anni come detto studia teologia, a 21 anni rende pubblica la sua vocazione e ne parla attraverso i media. Il suo messaggio: parità uomini e donne nella chiesa. Pubblica anche un libro in tedesco:” Gesù e le donne scomparse”. Deve passare molta acqua sotto i ponti del Tevere prima che possa diventare realtà nella chiesa. Il suo obbiettivo: buona battaglia non è facile, sempre stata battaglia persa. Mentre le parole della gerarchia romana suonano ampollose:” la donna è coraggiosa, intelligente, geniale…” in pratica non è mai comparsa nessuna reale concessione sul piano delle responsabilità e del potere. Sistematicamente escluse dalla dirigenza della chiesa. Se il clero le elogia perché le teologhe sarebbero le fragole sulla torta, esse invece vi rispondono contropelo che ne sono il lievito. Il suo libro è reperibile presso l’editrice Gabrielli, una di recente fondazione (1980), situata fra le verdi colline della Valpolicella Veronese. Tramite internet in essa si trova ampia scelta   di libri con indirizzo storico in cui viene ricuperata in modo critico la memoria storica. Libri di indirizzo sociale, nord e sud del mondo con riferimenti ai vari stili di vita. Libri di indirizzo pedagogico con i grandi maestri tipo Carrell, Peguy, don Milani. Libri di indirizzo religioso, biblico, teologico, secondo lo spirito di Theilard de Chardin. Un’editrice moderna, ma di grande respiro culturale. E soprattutto il libro “Giovane cattolica donna perché voglio diventare prete”.

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Albino Michelin
17-01-2019 

giovedì 7 febbraio 2019

MESSA E PREDICA COL CRONOMETRO

Sabato 15 settembre il Papa in visita alla Sicilia per la memoria di P. Puglisi, ucciso 25 anni or sono dalla mafia, si fermò a Piazza Armerina, dove durante il rito religioso fece un’osservazione che a molti di noi sembrerà un po’ strana e che comunque si presta ad alcuni approfondimenti. Egli disse:” se un cristiano non va a messa perché la predica dura 40 minuti io dico che la messa deve durare 40 minuti e la predica non più di 8 minuti.” Appena eletto papa Bergoglio dichiarò che a tutti è consentito di esprimere le proprie opinioni in campo religioso anche se non sempre fossero in sintonia con quanto da lui stesso affermato. Premesso che questo suo non è un intervento di carattere magisteriale ma di opportunità, l’argomento andrebbe approfondito. Ovvio che alla messa il prete non deve esibirsi in lanci oratori, magari con tanto di latinorum come altri tempi, non deve puntare il dito contro comportamenti personali e noti all’ambiente, non fare il tonitruante, non vagare a braccio, ma presentare un messaggio senza stranezze e senza umiliare nessuno. Ed è qui il punto centrale che Bergoglio stesso nel prosieguo del suo dire sottolinea.  Con ironia già circolavano nel Veneto proverbi “predica corta, salami lunghi” o in Lombardia ”5 minuti muovono il cuore, 10 minuti muovono il sedere”. Al di là di ciò possiamo affermare, ciò che conta non è tanto la lunghezza della messa o della predica quanto l’esperienza religiosa e il messaggio globale che si fa passare o meno. Un primo aspetto importante è dato dal pubblico che frequenta la messa, il quale potrebbe essere suddiviso in tre categorie. Una prima composta dai “devoti blindati” i quali non amano novità di dottrine   anche in riferimento al tempo mutato, accettano solo discorsi ripetitivi, un po’ per fedeltà al passato, un po’ per pigrizia mentale: star seduti, perciò detti anche cristiani sedentari. Ricordo di un fatto avvenuto il primo dell’anno di tempo fa, quando al mattino il parroco disse che il tempo passa e tutti dobbiamo morire. E prosegui: chi di voi vuole andare in paradiso? Tutti eccetto uno alzarono la mano, Chi di voi vuole andare all’inferno? Nessuno alzò la mano, e nemmeno l’astenuto di prima. Al che il prete gli rivolse; “ma lei buon uomo dove vorrebbe andare? “Rispose: “da nessuna parte, io vorrei sempre stare qui.” . Che messe organizzare, che dire, che fare con questi cristiani da sofà o magari fondamentalisti che ti processano? C’è poi una seconda categoria che potrebbero assistere alla stessa messa. I cristiani “disponibili”: cioè amano ascoltare prediche stile conversativo che mettano a confronto anche il vangelo con le realtà del mondo attuale. E con questi si dovrebbe usare altro linguaggio. C’è poi una terza categoria minoritaria certo, ma che esiste, quella dei credenti “in ricerca”, che si annoierebbero a morte a sentire sempre parlare di devozioni, mentre la loro passione sarebbe quella di sentirsi aprire le finestre, nuovo ossigeno e un vangelo, come dice Gesù:” sono venuto a portare il fuoco sulla terra e desidero si accenda”, cioè Il cambiamento dei cuori. Allorché un prete si trova di fronte ad una cinquantina di persone con nessuna o con diverse attese che deve dire? Certo una messa monotona di 25 minuti, ripetitiva come un disco, con un prete per nulla accogliente, che finisce la predica con amen o sia lodato Gesù Cristo ci porta indietro ad un tempo ormai scomparso. Altro problema è il moralismo e la colpevolizzazione: sentirsi puniti. Ovvio che andare alla messa e sentirsi sempre e solo peccatori, senza nessun incoraggiamento all’autostima è deprimente. E’ nota a molti quella predica tenuta da un adepto di Radio Maria dopo il terremoto di Amatrice 2016 che si peritò di sentenziare che Dio ha fatto sentire la sua mano pesante e i suoi castighi contro le coppie di fatto, Questo non è vangelo, è spaccio di droga religiosa. Quel prete fu accantonato, quando invece tutta Radio Maria andrebbe ripulita dal suo sadismo nei confronti dei presunti peccatori. Che la predica duri 8 minuti o mezz’ora, il caso su citato è un laboratorio chiesa fuori dal vangelo. E qui un altro problema vi si aggiunge. E’ proprio stabilito da Dio che a fare la predica durane la messa debba essere il prete? La parola di Dio è appannaggio solo dei ministri sacri e non dei laici, dei maschi e non delle donne? Vi sono credenti disponibili, sufficientemente colti nella parola di Dio, nella vita veri testimoni del Vangelo sia celibi che sposati. Questi non potrebbero previa adeguata preparazione e mandato delle competenti autorità risvegliare le nostre messe e le nostre prediche? Qualche volta io stesso frequento nella chiese protestanti, anche se prete cattolico, la loro sacra cena (la loro messa). Spesso ad animarla sono delle donne, pastoresse ,o assistenti pastorali, o teologhe. Ti sollevano l’anima per la loro profondità, per le intuizioni sui problemi di oggi, per la loro capacità relazionale-affettiva, e sempre traendo linfa dal vangelo del giorno. Un soffio femminile accanto al consueto autoritarismo maschile non nuocerebbe. Vi è stato un tempo, subito dopo il Concilio 1965 in cui si facevano anche delle messe e delle prediche dialogate con la comunità. Indubbiamente avevano dei limiti perché si poteva finire in dibattiti più che in contributi, ancorché alcuni esempi esistano ancora specie nel sud America e con indubbi vantaggi. Ma al di là delle prediche dialogate, indubbiamente necessaria sarebbe la preparazione della predica del prete con la comunità la settimana precedente. Questo contribuirebbe ad un vangelo aderente alla realtà. Se no molti preti nella predica volano sulle nuvole, fuori della storia, o alla mela di Adamo. Il problema serio è che la nostra gente al di là della predichetta domenicale non riceve nessuna cultura religiosa riferentesi al vangelo, di cui rimane digiuna e si arresta sempre alla precettistica della chiesa. Raro che nella parrocchie esista un gruppo culturale che si riunisca a ritmo costante per approfondirei i veri imput della bibbia oggi. Deficienza che ti può creare più confusione che chiarezza e che diventa causa di inutili discussioni sui preti: quello là è noioso, quell’altro è fuori di testa. Se da una parte è opportuno evitare certe contorsioni letterarie ed esegetiche stile universitario, dall’ altra non dovrebbe mai mancare una spiegazione storica, teologica ed evangelica sull’argomento, evitando di spaziare in lungo e in largo senza dir niente e finendo con la solita esortazione di fare i buoni e i bravi cristiani frequentando la messa ogni domenica. Amen e sia lodato Gesù Cristo. Schiavi dell’equazione: brava persona quella che frequenta la messa (anche se nella vita un indifferente), atea quella che non frequenta (anche se onesta ed altruista). Indubbiamente senza applicare il tempo effettivo come nel basket (40 minuti di messa inclusi gli 8 minuti di predica), il consiglio di Papa Francesco non va sottovalutato, ma nemmeno assolutizzato per non fare dei pochi cristiani sempre meno messaioli dei formalisti, privi dell’adeguata cultura se non quella del grande fratello.

Autore:
Albino Michelin
10-01-2019

martedì 5 febbraio 2019

ERMANNO OLMI CINEASTA PER NIENTE BANALE

 Ermanno Olmi, regista, documentarista, poeta fra i più apprezzati del nostro tempo è deceduto all’età di 86 anni ad Asiago(Vicenza) dove risiedeva da 50 anni, il 6 maggio 2018. Il motivo per cui è doveroso anche se in ritardo tributargli una plebiscitaria memoria nasce dal fatto che molti di noi sono rimbecilliti a furia di  assistere alla TV banalità come quella del 30 settembre u. s. Il popolo italiano impazzisce per programmi vuoti e deprimenti in cui il conduttore celebra fritte e rifritte le avventure e molestie sessuali fra registi, attrici, attori minorenni. Per rispetto verso di loro non citiamo i nomi. Vorrebbero ridurci ad un popolo di sottosviluppati e vanesi. Doveroso quindi contrapporre a tanta vacuità Ermanno Olmi, regista e uomo dello spettacolo, della TV, dello schermo, del documentarismo dai contenuti intelligenti, e culturali, con al centro la dignità dell’uomo. Personalmente ho conosciuto il regista a Basilea quando il 12.10 del 1969 lo invitai, quale missionario animatore dei giovani del club culturale italo-svizzero, al Cinema Capitol dove proiettammo il suo film “Il Posto” con un pubblico dibattito in una gremita platea di connazionali. Ebbi anche recentemente la possibilità d’incontrarlo in quel di Asiago, via dei Giardini, un nome un simbolo, dove la sua profonda competenza e interiorità aveva il messaggio di una magia. Olmi di origine bergamasca, figlio di un ferroviere deceduto nella seconda guerra mondiale, nonni contadini che gli avevano dato la possibilità di conoscere sia il mondo operario che quello rurale.  Per lui la terra e la natura era il grembo generoso da cui traeva equilibrio, armonia saggezza. Da ragazzo fece il garzone per potersi sovvenzionare la scuola di recitazione. La sua produzione 19 film e un numero imprecisato di documentari. Qualcuno fra i più significativi in ordine cronologico, 1953” La diga sul ghiacciaio”, opportunità di girare un documentario nei cantieri di montagna nei quali si costruivano enorme dighe lo portò a fare cinema attraverso una partecipazione e diretta osservazione della realtà. 1961 “Il posto.” Premio Ocic di Venezia. Agli inizi del boom economico i giovani cercano e trovano lavoro.  Un film che racconta le idealità, le speranze di un mondo giovanile pulito. Storia di due giovani alle prese con il loro primo impiego: in una festa aziendale la protagonista Loredana Detto, che poi diventerà sua moglie e gli darà tre figli, Elisabetta, Fabio, Andrea, incontratasi col fidanzatino con ironia gentile, alla Olmi, gli affibbia:” ma va’ che sei ancora un piscia in letto”.  1969 “I recuperanti”, dove narra la vicenda di un reduce del 45 che sull’altipiano ritrova la fidanzata, ma non un lavoro per cui l’unico mestiere è rientrare nelle viscere della terra e recuperare residuati bellici. E finalmente nel 1978 il capolavoro “L’ albero degli zoccoli”, limpida evocazione di un mondo contadino ora tramontato. Immersione nel microcosmo della cascina lombarda fine 800. Pellicola poetica e struggente. Attori non professionisti, bambini, donne, anziani di Martinengo, Palma d’oro a Cannes 1988. “La Leggenda del santo bevitore”, Leone al festival di Venezia, tratta di un alcoolizzato, ex muratore che vive a Parigi e muore felice in grazia con Dio e con gli uomini.  2009 “Terra Madre” l’attaccamento dei contadini alla terra è un atto d’amore. Un messaggio al sistema economico attuale che inquina l’ambiente e sfrutta il sudore dei contadini per guadagnare. 2011 “Il villaggio di cartone” narra di un anziano prete che assiste impotente all’incendio della sua chiesa con la sparizione dei simboli religiosi e del crocefisso. Egli passa allora a trasformarla in un centro di accoglienza immigrati. Via i simulacri e dentro gli uomini. Ambientato in Puglia espone le ferite del sud, vittima dello sfruttamento dei braccianti da parte del caporalato. Realtà che anticipa la situazione attuale. Film prodotto in collaborazione con il biblista GF. Ravasi e il teologo V. Mancuso.  2014 “Torneranno i prati” cioè a fiorire dove i bambini potranno far volare gli aquiloni, Ripropone le vicende legate alla prima guerra mondiale, in cui Asiago fu uno degli epicentri, film girato di notte al freddo, fra le trincee ricostruite sui campi di battaglia, con un monito contro la guerra. 2015 cortometraggio “Il pianeta che ci ospita”. Il debito che gli esseri umani hanno nei confronti della natura: nutrire il pianeta. Un richiamo ai popoli ricchi a garantire cibo, acqua, dignità ad ogni essere umano.  Girato dal Monte Bianco a Lampedusa è un omaggio ai migranti, un inno alla carità in chiave laica e cristiana.  2017 l’ultimo film” Vedete sono uno di voi”. Narra del Card. Martini, un compagno di vita che trova il suo senso più profondo nel suo valore catalizzatore della storia. Due professioni, o vocazioni o strade diverse unite dallo stesso anelito verso la condizione umana. A questo punto non si può sorvolare sul suo “Essere credente”.  Certo la sua fede si radicava nella civiltà contadina, ma mano a mano che questa tramontava tale fede si approfondiva sempre di più verso l’essenziale. Quando ventottenne rivela di essere credente e che va a messa tutte le domeniche si guadagna rapidamente la scarsa considerazione dei colleghi. Si definisce cattolico non conformista, più tardi si definirà aspirante cristiano al di fuori di ogni ideologia. E gli tornava in mente l’immagine della nonna che egli adolescente contrastava per la sua fede acritica e senza domande ma che gli rispondeva:” adesso basta, lasciami credere come ho sempre creduto”. Ma a ben considerare Olmi non era né cattolico, né cristiano, ma molto più in là, era uno spiritualista. Una spiritualità che attraversava tutta la sua esperienza umana.  Tanto che nel 2013 si sentì in dovere di scrivere “Lettera ad una chiesa che ha dimenticato Gesù.” Ora in riedizione. Rammarico per una chiesa dell’ufficialità sempre più lontana dagli uomini che esalta la liturgia dei riti e dimentica la liturgia della vita, i poveri. Olmi non è mai sceso a compromessi col cinema commerciale, perché il successo e il clamore delle folle allontanano dalla verità delle cose. Oggi in un periodo storico in cui i mezzi di comunicazione, specie TV e internet strapazzano il popolo italiano drogandolo di vuoti interessi, erotizzando tutti, attori, registi, soubrette, impresari, conduttori, spettatori, grandi e piccini, la figura di questo regista E. Olmi rappresenta in controtendenza il testimone di una italianità più intelligente e meno qualunquista.

Autore:
Albino Michelin
04.01.2019