sabato 16 febbraio 2019

IN PRINCIPIO ERA L'AMORE VERSO SE STESSI

Può essere un’espressione ambigua e pericolosa se non esaminata attentamente, ma potrebbe anche essere fondamentale se recepita al di fuori e al di là di ogni contesto interessato. Che l’asserto non faccia una piega lo dimostra anche il fatto che Gesù abbia affermato “ama il prossimo tuo come te stesso” e che quindi la misura per amare gli altri parta da sé stessi. Oggi si sente molto parlare della cura di sé stessi, qui però tralasciamo quella di stile e dell’immagine, e ci soffermiamo sulla cura spirituale di sé stessi, discorso non tanto utopico e peregrino. Va premesso che prendersi cura di sé non è una causa minore per coloro che vogliono servire cause più grandi. Avere cura di sé stessi è una condizione e allo stesso tempo una dimensione inerente all’impegno per le grandi cause. Ognuno è per sé stesso il suo primo prossimo bisognoso. Come darsi agli altri se non si prende cura di sé stessi? Correva una leggenda-mito presso gli antichi romani, che racconta come un certo Cura, camminando vicino ad un fiume prese del fango dal fondo e modellò la figura di un essere umano. Giove passò di lì e acconsentì al desiderio di Cura di infondere lo spirito in ciò che aveva fatto. A dimostrazione che l’uomo è un essere di argilla ripieno di spirito, e uno spirito calato nell’argilla. Motivo già presente nel mito della creazione dei sumeri 2000 a.C. e nella Bibbia 600 circa a.C. a prova che le intuizioni profonde dell’uomo si identificano anche se lontane nello spazio e nel tempo. E ‘chiaro che lo spirito che ci anima, ci unifica, ci relazione e ci muove non proviene dall’esteriore della materia che ci costituisce. Il cuore della materia (mater=madre) è ciò che sta nel fondo di quella materia-energia e può anche essere chiamato Dio. E noi dobbiamo prenderci cura di noi stessi partendo da queste radici. Avere cura di se stessi è mettersi nei propri panni, il che è facile a dirsi, ma nel nostro tempo assai difficile e realizzare, date le complicanze a vivere dentro, a contatto del nostro io più profondo.  Si chiama amore spirituale o cura spirituale di se’ stessi: spirituale equivale a profondo, non si vede, non si pesa. Non siamo solo atomi, cellule, molecole, tessuti. Non si vive solo di pane, vitamine, proteine, grassi, nemmeno di scienze e di conoscenze, e nemmeno di ciò che spesso viene inteso come pratiche di spiritualità. La spiritualità è una qualità umana profonda slegata da qualsiasi religione che potremmo anche semplicemente chiamare saggezza della vita. E consiste nell’osservare, sentire, operare, vivere secondo ciò che è più intimo e vero del nostro essere. La spiritualità si traduce in una fede profonda in se stessi, nel prossimo, nella madre terra, nella misteriosa energia matrice di tutte le forze. Una componente essenziale della cura verso se stessi è anche l’attenzione. Sono due componenti reciproche. Occupazioni, messaggi, vortici di emozioni che ci reclamano da tutte le parti purtroppo ci impediscono di vivere attenti, presenti e coscienti di ciò che vediamo, sentiamo e facciamo. Questo ci ricollega a ciò che nella tradizione cristiana veniva e viene chiamato con il termine “contemplazione”, in pratica pure sinonimo di meditazione silenziosa, come quella della tradizione orientale, buddista e induista. Lo stesso termine “meditazione” se ci atteniamo all’origine della parola significa stare al centro (media-stazione), vivere a partire dal centro. A viaggiare oggi in treno stipato di turisti sembra di stare in un cargo di alieni extraterrestri tanto tutti sono “s-concentrati” e assenti nei loro cellulari e watsapp.Il rumore ci inonda dall’ esterno, ci asfissia finisce per minare la nostra salute fisica, psichica, spirituale.  Le nostre case sono diventate inabitabili per il rumore del traffico, la competitività smisurata, lo tsunami dell’informazione, l’incessante chiasso della tv. Curiamoci e difendiamoci dal rumore, dallo stress mentale, emozionale che ci impedisce di respirare con calma, liberiamo il nostro ego dalle pesantezze interiori e dai rancori. A completare, non inutile sarebbe la cura teologica di se stessi. Aumentano sempre di più coloro che vogliono curare la propria teologia, cioè il proprio bagaglio culturale religioso, molti si sentono a disagio con un catechismo e una predicazione religiosa ripetitiva, un Cristianesimo come unica religione rivelata con un fardello di dogmi, miracoli, peccato, perdono, cielo, purgatorio, inferno.  Il bisogno come di disintossicarsi. Ci manca un linguaggio coerente con l’evoluta visione del mondo. Viviamo in un’epoca profondamente diversa non solo da quella antica, ma anche da quella cosiddetto moderna. Non si sente più valida o sufficiente la teologia di sempre e nemmeno quella del Concilio Vaticano II, così timidamente aperto al moderno. Ma soprattutto non si dimentichi il divino che è in noi. Oggi si chiama neuroteologia la scienza che studia le attività del cervello durante le esperienze religiose, dalla preghiera alla meditazione.  Grazie alle normali tecniche di neuroimmagine, come la Tac o la risonanza magnetica, si è visto che pensando a Dio si attivano a livello cerebrale sia nei credenti come nei non credenti le aree frontali (deputate all’attenzione e alla concentrazione) e il sistema limbico, associato alle emozioni. In un certo senso è come se il cervello fosse predisposto naturalmente alle esperienze mistiche e alla preghiera, al di là delle singole credenze.  In pratica vi sarebbero fra il miliardo di neuroni alcuni che restano inattivi, chiamati punto Dio, quasi disponibili ad una comunicazione superiore. Non si vuole qui entrare in un regno pseudoscientifico o di magia o addirittura di prova della soprannatura ma il tutto fa intuire la grandezza della spiritualità umana.  L’importante è conoscersi e quindi incominciare dall’amare se stessi.

Autore:
Albino Michelin
04.02.2019

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