sabato 16 maggio 2015

ALL'OSTAGGIO QUATTROCCHI RISPETTO, MA SENZA RETORICA.

In tutta la vicenda irachena diventata disumana per gli attentati dei kamikaze da una parte e per gli sporchi intendimenti dall'altra ci è rimasta però dentro un’esperienza vera che non si può dimenticare. E' l'intervento letto la sera del 16 novembre 2003 alla Televisione dalla signora Colletta, vedova del vicebrigadiere Giuseppe, anni 38 di    Siracusa, padre di una bambina di due anni, caduto a Nassirya. Aprì   il Vangelo e lesse un brano di Matteo “ma io vi dico amate i vostri nemici...". In tanto bailamme di frottole di una guerra iniziatasi 15 mesi fa questo sembra un vero gesto eroico, il più pulito di tutti. Un gesto che ci collega a tutto quel vocabolario retorico-untuoso, polemico-odioso di missionari o mercenari di pace (dipende dall’angolo di visuale) messo in circolazione in una escalation grottesca nell’ultimo periodo. Si è arrivati così ad una intenzionale confusione e manipolazione dei valori qualora ancora esistano. Il caso di quattro ostaggi sequestrati in Iraq con l’esecuzione sommario di Fabrizio Quattrocchi è il simbolo ultimo più eclatante. Se le parole del vocabolario di un tempo hanno ancora un senso, missionari sono coloro che in nome di una valore trascendentale (dignità delle persone, solidarietà con i poveri, gratuità del dono, abnegazione esistenziale) spendono la loro vita a favore dei bisognosi e degli oppressi, non tanto per sfruttarli ulteriormente come persone e nelle loro materie prime, ma per aiutarli ad essere se stessi ed umanizzare sempre di più valori di base e la civiltà di cui sono detentori.
Citare dei nomi è sempre odioso, comunque non si possono dimenticare tutti color che hanno camminato o camminano su quella strada: Madre Teresa dl Calcutta, i vari P. Zanotelli, Albanese, i figli del Comboni e perché no? tanti laici, medici, assistenti sociali, volontari che abbandonano le nostre palazzine dorate, vanno laggiù nelle baracche, si rendono servizievoli, senza scopi di lucro e senza nascondere il mitra sotto il giubbotto. Noi stiamo perdendo il senso e il contenuto delle parole, come verità, giustizia, pace ecc. Anche dopo la morte di Matteo Vanzan a metà maggio 2004 abbiamo assistito alle solite chiacchere dei politici e fare il pelo alle parole come: eroi, patrioti, coraggiosi, civili, lavoratori, mercenari. Sempre a seconda del partito di appartenenza: molti di noi piangono perché è morto uno dei nostri (nel caso Quattrocchi), prega e chiama in causa Dio perché altri tre dei nostri non muoiano. Perché sembra che soltanto i nostri siano bravi e buoni, abbiano moglie e sorelle, una fidanzata come Alice, una patria, una casa. Ma in 41 morti fatti saltare aria durante un banchetto di matrimonio, nello stesso periodo o poco dopo, con donne e bambini innocenti, per errore identificato dagli occidentali in un covo di terroristi, questi iracheni no, non hanno una madre, una fidanzata, una casa. Si parla di valori e di eroismo con la stesa facilità con cui si parla di Ferrari, di Maradona, del Milan. Un morto italiano sul nostro mercato mediatico vale cento volte di più di mille morti iracheni. Questo offende la verità cioè la giustizia e la dignità umana.
 Dobbiamo essere obbiettivi: i nostri militari in Iraq non vanno tutti omologati, posti sullo stesso altare della Patria, né messi alla rinfusa nello stesso sacco. Diverse sono state le motivazioni del loro arruolamento volontario. Alcuni vanno ammirati (è il caso del Coletti su citato), altri vanno trattati con rispetto in quanto emigrati, perché qui disoccupati e là gratificati di 5-10 milioni di vecchie lire al mese, altri meritano la nostra solidarietà in quanto uomini. Qui ci si permetta di annoverare il Quattrocchi. Il migliore testimone in questo, campo, forse l'unico, fu Pat Tillmann, campione americano che lasciò il football con un mensile di 400 milioni di lire per andare volontario in Afghanistan a stipendio irrisorio, dove fu ucciso il 22.4.04. Non offendiamo nessun amor di Patria se citiamo due documentari, esclusi e quindi censurati in Italia, mandati in onda dalla TV romanda sotto il titolo "Guerrieri affittasi" e dalla Tv ticinese dal titolo "Poveri eroi". In essi fanno impressione certe immagini, Fabrizio in piena azione in Iraq come guardia di sicurezza, registrate pochi giorni prima del suo sequestro e della sua esecuzione. Paolo Simeone, che lo aveva ingaggiato come militare assoldato per conto di una compagnia americana, alla domanda se si considerasse mercenario rispose:” sembra una parolaccia ma rispecchia ciò che siamo, persone che svolgono attività militari a pagamento. Oggi L’Iraq è il posto giusto e il momento giusto per fare soldi”. In effetti anche Quattrocchi percepiva uno stipendio che si aggira sui mille dollari al giorno, 40-50 milioni di lire al mese. Inoltre non va dimenticato che Fabrizio fu catturato mentre portava con sé armi, quindi in una situazione illegale di fronte al codice di guerra. Il fatto di lanciare a voce alta un messaggio di dignità prima dell’esecuzione:” vi faccio vedere come muore un italiano” è senz’altro commovente, come le figure epiche del nostro Risorgimento, ricorda i Fratelli Bandiera. Ma parlare di un missionario di pace sembra francamente sopra le righe. Voleva costruirsi una casa, sposarsi in bellezza, non perdere tempo, bruciare tappe. Tutto giusto, si badi bene, tutto umano, ma niente affatto eccezionale.
Fabrizio, Matteo e gli amici dal cielo converranno senza offesa: più eroici di loro sono stati e sono forse molti nostri emigrati italiani che hanno dovuto lasciare la Patria verso una terra straniera non tanto per vivere da nababbi, ma per sopravvivere, e morire nelle miniere di Marcinelle, dentro le dighe del Vallese, sotto   le impalcature   dell’edilizia, sepolti dalle gru nei cantieri. Questi sono i veri martiri, gli autentici eroi, che quando ritornano in Patria dentro le loro bare non sono avvolti nel tricolore, nessuno li degna di un sbrego di ringraziamento. E le penose polemiche se anche al Quattrocchi si dovessero funerali di Stato come ai militari e carabinieri di Nassirya, supportate perfino dal Cardinale di Genova Bertone, dispostissimo a concedere la cattedrale (decisione comprensibile se la parrocchiale di Fabrizio era troppo piccola) hanno diviso i cattolici italiani come a suo tempo il discorso del Cardinale Ruini ai funerali dei nostri caduti in Iraq. Il Cardinale Bertone sulla stessa lunghezza d'onda il 29 maggio predicò condannando l’efferato eccidio contro il nostro ostaggio. Discorso di parte, in quanto eccidi molto più efferati furono compiuti dai torturatori Usa che uccisero i loro prigionieri dopo lunghi tormenti durati mesi, anziché con un colpo istantaneo alla nuca. Discorso improprio perché, come sopra accennato, si pongono sullo stesso piano i morti per un ideale, quelli per esigenze di vita, per il gusto del rischio, per l’ingordigia del denaro. Discorso manipolato, perché si arriva al solito stratagemma di sfruttare in Iraq ogni tipo di morte per legittimare una guerra ingiusta. C’è da sperare che Dio si faccia vivo con Allah e viceversa (bipartisan) e intervengano insieme non solo per salvare gli italiani ma per portare un po’ di giustizia, prima sull’uso delle parole e poi dei fatti.

Autore:
Albino Michelin
04.06.2004

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