sabato 9 maggio 2015

IN PUGLIA LO SCIOPERO DELLA MESSA

Non è un titolo ad effetto ma un gesto eclatante accaduto a Bari il 6 gennaio 2003 giorno dell'Epifania. l cattolici di quella città sono stati invitati dai diversi gruppi animati dai Missionari Comboniani e dalla Pax Cristi a disertare la messa festiva e a raccogliersi invece in preghiera nell'Auditorium cittadino insieme a uomini e donne di buona volontà, membri di diverse confessioni religiose per gridare con un segno esemplare un no alla Puglia ostaggio di guerra, un no alla guerra in Iraq, un no ad ogni logica di guerra.
Primo atto di accusa al Centro di accoglienza S. Foca di Lecce, chiamato "Regina Pacis" con mura e cancellate sormontate da filo spinato, gestito dalla Curia vescovile della diocesi e finanziato dallo Stato. Sovraffollato, in pessime condizioni igienico-sanitarie, con dure limitazioni alla libertà personale, una vera e propria galera per immigrati finalizzata non all'accoglienza, ma all'espulsione. Non ha senso celebrare messa, sostengono i promotori del dissenso, quando in modo così sfrontato si viola il messaggio di Gesù:” ero straniero e mi avete accolto “ (Mt 25,35).  
E sciopero della messa inoltre perché in Puglia viene dichiarata palesemente guerra alla pace, una regione sempre più avamposto militare con il Mar Grande di Taranto parcheggio di sottomarini a propulsione nucleare, immondezzaio da brivido con 660 discariche abusive e 65 siti di smaltimento di rifiuti nucleari, una Puglia che vede i suoi figli arruolarsi nell'esercito come unico sbocco di lavoro. E sciopero della messa ancora per l'incoerenza di molti cattolici italiani che non sanno nemmeno che cosa alla domenica vanno a celebrare, si scambiano un segno di pace e con la più candida incoerenza si schierano verbalmente o tacitamente per la guerra, smaccato tradimento del Dio della Giustizia e della Pace. La messa è una celebrazione troppo seria per essere lasciata in balia a gente che si illude di sdebitarsi e conciliarsi il Padre Eterno con l'osservanza del precetto.
Un gesto questo che ha spaccato la chiesa locale pugliese dall'alto al basso. In effetti alcuni superiori della Congregazione Comboni hanno deplorato il fatto in quanto causa di disorientamento e confusione in molte persone da parte di chi invece dovrebbe garantire una formazione religiosa. Altri invece, pure al comando del potere ecclesiastico, l'hanno considerato utile provocazione di chi nelle Missioni del terzo Mondo vive in prima persona i rischi della guerra. Un gesto quindi che sollecita i credenti a cogliere il significato di questo dissenso. "Non possiamo spezzare il pane e la pace di Cristo mentre abbiamo le mani imbrattate di sangue", logo campale esposto nella celebrazione pomeridiana, improntata a rito penitenziale di digiuno dalla liturgia tradizionale. Insomma il vero peccato mortale è l'insensibilità alla guerra, molto più grave che non l'evadere il precetto festivo. Questo vogliono gridare al mondo i promotori dello sciopero sacro. Tale le spaccatura all'interno della chiesa barese e pugliese evidenzia la spaccatura visibilmente più ampia esistente all'interno della chiesa cattolica, oltre che fra le diverse confessioni e chiese di altre religioni. Nulla da meravigliarsi e tanto meno da scandalizzarsi se è vero che anche la comunità di fede cammina e si matura nel confronto. Vale la pena evidenziare tale cammino costatato da quattro mesi a questa parte, perché esso sta maturando una sempre maggiore unità di intenti, una resistenza chiara e trasparente, come sulla linea del martire luterano Bonhoeffer nei confronti del nazismo, anni 1940-45. Fino a poco tempo fa, in casa nostra, la linea vaticana era pacifista, ma non troppo. Andante, adagio. Certo sino a qualche anno addietro il Papa arrischiava di apparire agli occhi del mondo come il cappellano della Casa Bianca. Parlare di antiamericanismo vaticano, come scrive E. Galli Dalla Loggia sul Corriere della Sera, è una forzatura. Al di là delle prese di posizione di certe circostanze la dottrina cattolica sulla guerra non è mutata. La guerra viene accettata e talvolta dichiarata "giusta" a certe condizioni: che si tratti di difesa e non di offesa, che i vantaggi siano proporzionati agli svantaggi, che vengano ridotti i danni soprattutto per le popolazioni civili. Dunque la dottrina cattolica non è mai stata per il pacifismo assoluto. E anche nella guerra in Iraq  il Vaticano consiglia necessario il consenso dell'Onu, identica posizioni di alcuni stati europei. Cosa che se dal punto di vista politico non fa una grinza, dal punto di vista evangelico però lascia aperto un conflitto di coscienza: "i valori della vita sono soggetti alla democrazia e al numero dei votanti o vanno difesi tout court?" Gesù rimasto solo a tener botta gli ideali del suo Vangelo. Ci si permetta di puntualizzare brevemente alcuni passaggi di maturazione della nostra e delle altre chiese.
14 novembre 2002, giornata storica nel Parlamento italiano: la visita del Papa, l'uomo più lodato a parole e il meno ascoltato nei fatti. Fuori discussione che l'aver ricucito buoni rapporti umani fra Chiesa e Stato dopo secoli di scomuniche ed anticlericalismo è un ottimo risultato. Però molti cattolici e memo si sarebbero aspettati da quella visita una condanna della guerra irachena alle porte, non solo invitando in forma alata alla pace, ma chiamando per nome ì fautori dell'incombente conflitto armato. Il Papa ha sempre ribadito la norma del rispetto alla vita contro l'aborto e ha invitato a più riprese all'obbiezìone di coscienza i medici cattolici affinché non si prestino a questo tipo dì interventi. Orbene quel 14 novembre ci sì aspettava che Wojtyla, non in nome di una vita fetale soltanto ma in nome di milioni di vite adulte a rischio dì morte invitasse parlamentari cattolici all'obbiezione di coscienza. No a questa guerra! Sicuramente l'applausometro non avrebbe per 26 volte superato i limiti massimi del decibel e i baciamano di circostanza si sarebbero raffreddati. Dunque è mancato il segnale forte e preciso, e questo è anche uno dei motivi che hanno contribuito allo sciopero della messa in Puglia. Dal 18 al 21 novembre 2002 cinquantesima assemblea della Conferenza Vescovi italiani. Grande prolusione   del presidente Cardinal Ruini dove la guerra contro l'Iraq anche se paventata non viene nominata. Giorni più tardi (24.11.02) esce una nota dottrinale a firma della Congregazione della Fede su "Impegno e comportamento dei cattolici nella vita politica. ” Nessun compromesso: rispetto della persona umana e dei suoi diritti. Obbligo di opporsi ad ogni legge che attenti alla centralità della persona umana. Non si partecipi a campagne d'opinione contro questo principio, come aborto ed eutanasia. Il tema della pace viene accennato solo per prendere le distanze dall'impegno pacifista dei no global. I grandi problemi dell'umanità di oggi, Iraq compreso, non vengono nemmeno sfiorati. Mercoledì 11 dicembre 2002 il Papa nella catechesi settimanale deplora che "Dio si ritiri nel suo silenzio disgustato dai peccati degli uomini”.  Non viene fatta citazione né sulla guerra preventiva, né sull'Iraq, né sugli Usa. Molti chiedono al Capo del Cattolicesimo di esporsi più chiaramente. Realtà che si matura il lunedì 13 gennaio seguente dove per la prima volta viene dal Pontefice espresso un "no" deciso a questa guerra. Dunque anche la nostra chiesa ha nelle ultime settimane camminato, probabilmente pure spinta dalla grande manifestazione nelle piazze del mondo del 15 febbraio.
Una sensibilità che ha indotto l'arcivescovo anglicano d'Inghilterra, capo di 70 milioni di fedeli cristiani e quello cattolico a pubblicare un documento congiunto sull’immoralità di eventuale attacco all'Iraq. Dunque la nostra chiesa al suo interno e le varie chiese, considerando la pericolosità delle divisioni di sagrestia quando sono in pericolo i destini di miliardi di persone, stanno trovando una unità di intenti. Lo sciopero della messa in Puglia forse ha visto bene, ha guardato lontano. Nel suo piccolo è un grande gesto profetico.

Autore:
Albino Michelin
28.02.2003

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