domenica 8 novembre 2015

A PROPOSITO DI EX PRETI…INTOLLERANZA E SOLIDARIETÀ.

È pressoché incredibile che ancor oggi possano essere scritte pagine come quella di don Angelo Lini su chi ha pensato di lasciare il ministero sacerdotale (Rinascita del 18.3.1998). Non giudico la persona che quella pagina ha scritto, sia ben chiaro. Mi sento però in diritto di giudicare, e con estremo vigore, il contenuto del suo scritto che, affetto, com'è, da un giurisdizionalismo parossistico, è quanto di meno evangelico si possa immaginare (ed è il meno che si possa dire). Non vorrei certo comparire davanti al Padre Eterno con un tale prete nella funzione di 'giudice a latere'. Ma penso proprio che neppure Dio abbia preso in considerazione una tale eventualità.
Mi chiedo piuttosto che tipo di misericordia sarebbe amministrata in confessionale da questo prete o, per meglio dire, quale misericordia egli userebbe, se mai ve ne fosse bisogno, con un ex (che tale propriamente non è mai) qualora se lo trovasse davanti alla grata. Con la logica espressa in quello scritto egli si fa paladino di un puntiglioso integralismo. Ma è una logica miope e rigoristicamente giansenistica. Non voglio dilungarmi troppo, né rispondere punto per punto a ciò che quello scritto afferma. Mi limiterò ad accennare a quello che in esso è esaltato come il periodo di preparazione al sacerdozio in seminario. Basterebbe che don Angelo Lini frugasse in qualche biblioteca e andasse a leggere quello che anche preti pur fedelissimi al loro ministero hanno scritto su quelle che furono le loro esperienze in seminario.
Ciò non vuole essere una condanna in blocco, ma qualche riserva è pur ben lecito farla, circa la metodologia seminaristica di qualche decennio fa. Senza dire poi che lo scrivente non accenna neppure minimamente a quella che può essere l'evoluzione della psicologia umana, almeno come dato importante nella valutazione della persona (anche se ciò non può avere la valenza di attenuante assoluta): l'animo umano non si blocca a 18. 24 o 30 anni. Lo scrivente inoltre fa riferimento a Matteo (16, 18-20). Al di là della dibattuta esegesi attorno a questi versetti, se mai Cristo da’ agli Apostoli e ai loro successori il potere di sciogliere e di legare, non dà certo quello di legare le mani al Padre Eterno, o anche di assolutizzare ciò che nel corso dei tempi può essere oggetto di mutamenti, in quanto non iscritto nella legge di natura o nel deposito della fede rivelata. Adagio Biagio, è il caso di dire (anche qui: non si prendano a pretesto queste parole, quasi che con esse si volesse distruggere 'ab imis fundamentis' l'autorità della chiesa gerarchica). Lo scritto di don Lini ricorre all'esempio di chi entra in un campo da gioco, di chi guida un'automobile. Il giocatore però, se vuole può sì uscire dalla squadra, ma se ne ha il titolo, a determinate condizioni può anche sempre rientrare! E se a uno è stata tolta la patente, a determinate condizioni può anche rivenirne in possesso! Ma al prete che ha lasciato il ministero non si perdona neppure uno iota, quando pure non lo si additi al pubblico ludibrio. Per lui non si dà alcun ritorno. A che pro?
No, io amo pensare a quanto mi è stato più volte raccontato: Paolo VI (non da cardinale ma da papa) in incognito faceva sovente visita ad un ex (e dagliela con questo ex). Ma anche se ciò fosse benigna cronaca, amo riandare con il pensiero a quanto umano, e intelligentemente comprensivo, fosse quel pontefice. La realtà è che nessuno è cosi severo con i preti, che in coscienza hanno lasciato il ministero, come certi preti, come certi vescovi, e via dicendo (anche se costoro sono poi pronti a chiudere occhi ed orecchi verso coloro che, pur vivendo indegnamente, mantengono il proposito di non rompere le file per evitare lo scandalo. C'è poi una sorta di esterno ostracismo da parte della gerarchia ufficiale nei riguardi dei confratelli che hanno mollato. Un esempio? Si legga l'ultimo decreto sui laici. A tutti, dico a tutti i battezzati è lasciato uno spazio di attività apostolica, meno che al prete che più non fa il prete (neanche la liturgia della parola). E perché? Questa agghiacciante intolleranza questa sorda inflessibilità, questa disumana segregazione, come possono conciliarsi con la carità cristiana? Ma c'è soprattutto un dato teologico che dalla gerarchia è volutamente lasciato cadere in ombra. Che l'ordinazione imprima nell'anima un carattere indelebile è un dato teologico, non un oroscopo. Bravi son pertanto quei preti che, obbedendo alla loro coscienza, chiedono umilmente e senz'altro dolorosamente la dispensa. Bravi quei preti che accettano anche la segregazione come un doloroso ed inevitabile tributo all'autorità. Ma, di grazia, dispensa o non dispensa che ne direbbero coloro che così li maltrattano, se, per ripicca a questo ostracismo, gli ex si mettessero a celebrare messa, ad amministrare i sacramenti, ecc.? Che differenza farebbe, ad esempio, una messa celebrata da un ex e quella celebrata da don Angelo Lini? Ci ha mai riflettuto costui? Con stima.

(Aurelio Reboldi)
a cura di
Albino Michelin
27.05.1998

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