giovedì 19 novembre 2015

LETTERA APERTA AL CARDINALE TONINI

Gentile monsignore, Lei è conosciuto ed apprezzato per la Sua chiarezza espositiva, per la Sua vitalità, per il suo entusiasmo della verità.  Condivisibile il Suo impegno per la famiglia e per l'Indissolubilità del matrimonio nei dibattiti televisivi e sulla stampa, anche se la compresenza di qualche credente laico sposato o divorziato non nuocerebbe alla completezza dell'argomento. Però un po' meno disposto a condividere il tono e le argomentazioni che Le fanno da supporto. Permetta quindi qualche domanda allo scopo di dare più luce alla verità, di evitare mezze verità, e di rendere più informate molte coppie credenti, impigliate in questo tipo di difficoltà. Premetto che non sono un difensore del divorzio cattolico e tanto meno fautore del divorzio facile.  Certo a debita distanza e con un po’di spirito critico. Fra migliaia di casi, inaccettabili all'umana dignità, ne cito solo tre. Nel luglio del '99 Peppino Lapenna, parroco della chiesa di S. Angelo di Andria (Bari) caccia fuori dal torpedone della gita parrocchiale certo Alberto Tessero e la compagna perché ex sposati e conviventi. Fine giugno 2000 Domenico Di Naro, parroco della Chiesa S. Diego di Canicattì (AG) nega i funerali religiosi a Giovanna Ravenna, quarantenne deceduta per incidente stradale, madre di due figli, perché divorziata e risposata con rito civile. Il 23 aprile 2000 giorno di Pasqua, Claudio Menichetti, parroco di Benano Orvieto rifiuta la comunione ad una vedova di 68 anni perché divorziata e convivente. Rifiuto consumato in una chiesa affollata, in maniera plateale, davanti a tutti, senza clemenza. Lei Monsignore, in un'intervista al Corriere della Sera del 26 aprile e poco più tardi alla TV "Porta a Porta" dichiarò: "Don Claudio ha fatto soltanto il suo dovere. Il Matrimonio è un sacramento fondamentale della vita cristiana. E' scritto nel Vangelo e non spetta alla chiesa cambiare le regole. E' doloroso, ma io avrei fatto lo stesso". Francamente mi disturba questo linguaggio da carità pelosa e allora attraverso i documenti della chiesa facciamo pure un cammino verso Gesù Cristo. L'esortazione papale "Familiaris consortio" dell'82 ribadisce la prassi costante e universale della Chiesa di rifiutare la comunione ai divorziati. Non Le sembra, Monsignore, che vi siano state tante altre prassi distanti e universali, come la pena di morte, (vedi Catechismo nr. 66), praticamente oggi ridiscusse o smentite? Non affermo, Le chiedo.
Il codice di Diritto ecclesiastico, uscito nell'83, al nr. 915 vieta la comunione ai divorziati e a chi costantemente persevera in peccato grave manifesto. Aggiungo la lettera della Congregazione della Fede (14.9.94) che rincara la dose: divorziati risposati non possono accedere alla comunione, neppure se si sentissero autorizzati dalla propria coscienza. Indubbiamente sono documenti rispettabili e in via di principio da seguire. Però mi permetta di dirle che non potrebbero e non dovrebbero alterare le decisioni del Concilio Vaticano II (1965), espressione non tanto di una Congregazione Vaticana ma nella chiesa universale. E in quei documenti base si dice pure che "ognuno deve farsi giudicare dalla sua coscienza" (Laici IX,5) ed "ognuno è tenuto ad obbedire solo alla propria coscienza" (libertà Religiosa XV,1b). Lungi da ognuno la giustificazione al relativismo morale, però come vede la contrapposizione apparente o reale che sia? Indubbiamente Lei fa bene a ripeterci che "la Chiesa ha stabilito, la Chiesa ha deciso, la Chiesa ha definito" perché una comunità di riferimento è pure necessaria. Nessun uomo è un'isola, però non va dimenticato che la chiesa siamo anche noi, il sano, il cieco, lo storpio. Ognuno va a Dio come può, chi correndo, chi zoppicando. Voglio dire perché lei nei media non cita mai documenti del Concilio, l'importanza anche della propria coscienza in merito, ma ci rinvia sempre e solo all'Autorità della Chiesa e al Times, tipo di giornale inglese? Nell'ultima Dichiarazione ufficiale Vaticana del 6.7.200 si ritorna alle proibizioni citando Paolo (1a Cor. 11,27): "Ognuno esamini se stesso perché chiunque mangia e beve indegnamente del Corpo del Signore  mangia e beve la propria condanna.” Intanto sembra riduttivo riferire questo interdetto ai divorziati, o soltanto a loro. Come se mafiosi, furbi, bugiardi, egoisti, ecc. potessero circolare a fronte alta e santa comunione ai primi banchi della chiesa madre. Ma non Le pare che qui l'Apostolo metta anzitutto in risalto l'invito "Ognuno esamini se stesso ... "? E che cos'è tutto ciò se non dare la priorità alla propria coscienza?
                                                      Pure i divorziati hanno una coscienza
 Collegato a questo discorso vi sta una conclusione contraddittoria. Cioè i divorziati sarebbero, come tutti, obbligati ai doveri religiosi, Messa festiva in primis, però col divieto di ricevere la comunione. A suo tempo nei banchi della scuola Lei avrà insegnato che la Messa è la cena del Signore, non una privata devozioncella alla santa dei miracoli o al patrono. E' la frazione del pane distribuito a tutti i presenti, come la intendeva Gesù, e come praticato nei primi secoli, esperienza oggi persa un po' per strada. Non si può invitare a pranzo una persona e lasciarla senza mangiare. Sarebbe umiliazione di fronte a tutti, discriminazione, carognata. Ebbene, che risponderebbe Lei al mio posto, Monsignor Tonini, a tutte quelle coppie di divorziati che dichiarano la loro decisione di non frequentare più la messa, dal momento che la chiesa vieta loro il pane del Sacro banchetto? Che è un atto dì coerenza. Ma dobbiamo continuare così stante il 30- 40 % di divorziati, molti dei quali attivi e impegnati nella comunità cristiana? Non le sembrano atteggiamenti di vendetta e di rancore queste assoluzioni per tutti eccetto che per i divorziati? Sempre per restare a Paolo (I Cors. 7.13): si sa che egli di sua iniziativa (privilegio paolino) si permetteva di consigliare la separazione della coppia quando l'uno dei due non credente (oggi si direbbe laico) si rifiutava di convivere. Che rispondere a molti studiosi e interpreti della Bibbia che basandosi anche sul precedente versetto 9 dello stesso capitolo (è meglio sposarsi che bruciare) ritengono che qui si tratti non solo di separazione ma anche di una concessione alle seconde nozze cristiane?
Dalla Chiesa e dalla Bibbia arriviamo a Gesù, fondamento di tutto. Matteo ci presenta un Gesù che ammette delle eccezioni per il divorzio. Lo si consulti al capo 5,32 e al capo 19,9 "Chiunque ripudia la propria moglie (o viceversa) e ne sposa un'altra commette adulterio a meno non si tratti di 'torneai'. Cito il vocabolo originale greco perché i biblisti non sanno come tradurselo. La maggioranza degli interpreti cattolici, protestanti, ortodossi, riferiscono dì "concubinato, fornicazione, prostituzione, consanguineità, incesto". Fino ai significati simbolici come "idolatria e infedeltà". In effetti anche il profeta Osea (6, 10) quando parlava di porneia da parte del suo popolo intendeva "cessata rapporto-base morale con Dio". Oggi si potrebbe tradurre: "la scomparsa di valori morali in un matrimonio costituirebbe secondo Gesù una eccezione per le seconde nozze"? Monsignore, è una domanda bruciante. Il fatto è che mentre il Gesù di Marco, Luca, Giovanni non accenna a questa possibilità, quello di Matteo sì e attenua il radicalismo. Ammette chiaramente delle eccezioni, senza inviarci agli esami della S. Rota, impiegata in questa materia solo dal 1908.
                               L’indissolubilità è un progetto di coppia non una norma giuridica.
Lei mi dirà di parlare sottovoce, perché se la chiesa apre una porta la gente apre un portone. Ma questo è un altro discorso: la gente ha il diritto di conoscere la parola del suo Signore e non vedersela occultata. Poi sarà essa stessa a decidere per una sequela in base all'amore. Diversamente si creano degli ipocriti o dei condannati a morte. Considerando i cristiani ortodossi che ritengono sacramento solo il secondo matrimonio e considerando il fatto che oggi fra i nostri giovani il consenso matrimoniale è minato alla base da una società attraversata da logiche divorziste e provvisorie, perché non proporre alla chiesa un matrimonio cristiano in due tempi? Il primo momento concernente l'accoglienza della coppia nella comunità, se si vuole anche con marcia nuziale e confetti, poi un secondo momento (pure a distanza di anni) concernente l'impegno a convivere in modo indissolubile cioè il Sacramento? D'altronde le forme di matrimonio sono variate lungo i secoli: fino al 1200 la chiesa riteneva valido matrimonio quello stipulato secondo le usanze locali senza prete, poi ci è arrivata la definizione di sacramento con l'obbligo e alla presenza del prete solo nel 1570. Monsignor Tonini, terminate le maratone giubilari prenda un po' di respiro, riassettiamo le idee, si adoperi per organizzare un convegno mondiale di tutti gli studiosi della Bibbia e di qualsiasi estrazione religiosa con un bel tema: "La posizione di Gesù sul divorzio, ieri e oggi" in modo da approfondire le eccezioni da lui ammesse in materia.  Non si continui a mantenere separati gli studiosi per bacchettarli più facilmente riducendoli al silenzio. Si permetta un approfondimento ed un confronto universale (= cattolico) e la chiesa magistero ne prenda atto. Lei mi scuserà se un Suo scolaro di un tempo si è permesso tanto per dar voce alla moltitudine di coloro che la pensano allo stesso modo, ma non hanno il coraggio di prendersi il diritto alla parola.

Autore:
Albino Michelin
07.12.2000

Nessun commento:

Posta un commento