lunedì 9 novembre 2015

PRETE UOMO DI DIO O UOMO FRA GLI UOMINI?

Il convegno annuale diocesano del 10 aprile 2000 dal tema ”Piano pastorale zurighese” con invito a tutti i sacerdoti, operatrici e operatori parrocchiali svizzeri e stranieri, condotto dal vescovo P.Henrici, ha avuto anche alcuni spunti di rilievo che giova non perdere, e concerne una nuova figura di prete e di animatore parrocchiale.
Finora il prete si rendeva inossidabile ed intoccabile per la sua appartenenza ad una categoria, sacrale, separata, superiore al mondo dei semplici mortali, identificata con la divinità. In effetti il caso, non così raro, di quel giovane prete che in un torneo parrocchiale di calcio fischiò rigore fasullo provocando una rissa gigante la dice chiara. Il religioso si peritò di saltare dentro nella mischia diventata una polveriera gridando: ”silenzio, quando fischio io fischia Dio”. Muove ad ilarità certo, ma questo è un esempio emblematico del rapporto finora esistito ed in alcune parti ancora esistente fra prete-società un po’ a tutti i livelli: culturale, scolastico, economico, partitico, politico. Nel Veneto si dice: ”don fasso tutto mi” (faccio tutto io). Una signora, disgraziatamente dovutasi separare dal marito, con due figli a carico, scrive: ”durante l’omelia in chiesa un prete che da una settimana soltanto aveva preso messa predicò che nelle famiglie dove papà e mamma si lasciano vuol dire che in quella casa è entrato il diavolo e che i genitori non possono voler bene ai loro bambini. Mia figlia di 11 anni piangendo mi disse che ciò non poteva essere vero. In quel momento ovviamente non ho avuto il coraggio di dire qualcosa a quel prete che si definiva apostolo di Gesù, ho stretto a me la bambina aspettando che la messa finisse”. Questa specie di delirio di onnipotenza, presente anche in molti giovani preti di oggi viene affrontato in un punto della nostra assemblea zurighese con espressioni taglienti ed inequivocabili: ”la professione sacerdotale esige uomini capaci di rapporti umani. Il loro mandato non significa potere, il loro ruolo non è quello del comandante di truppe. Oltre alla spiritualità devono possedere capacità comunicativa e sociale, accompagnare, consigliare, coinvolgere, coinvolgersi, lasciarsi interpellare e mettere in discussione. Se spenti e incapaci di rapporti umani, non ha senso la loro amministrazione di sacramenti. ”Prima che uomo di Dio il prete non deve dimenticarsi di essere uomo fra gli uomini”. Nell’assemblea è stata prospettata anche una variante molto interessante, cioè la figura del prete ad tempus. Come oggi nella nostra società esiste una grande flessibilità occupazionale, una alternanza professionale, impegno serio ma a scadenza, così potrebbe essere per il prete. Ciò lo renderebbe sereno e capace di rapporti scevri da ogni isterismo di potere. Conosco un prete che per 20 anni esercitò il ministero sacerdotale, poi lasciò e ora fa il tassista, nei ritagli di tempo e a volontariato aiuta nella parrocchia. Ma la gente nota la l’interiore realizzazione e ne rimane positivamente contagiata. Subito i cattolici della “sana dottrina” obbietteranno: falso, la chiesa insegna che il prete è sacerdote in eterno. Sì, ma erroneamente applicato. In effetti Paolo scrive nella lettera agli Ebrei: ”Tu sei sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedecco” (5,5). Però l’espressione è riferita a Gesù Cristo, non a don Giuseppe, a don Antonio, a don Calogero. Un altro aspetto dell’assemblea è se sia stringente l’identificazione del prete con il predicatore, se non altro nella forma. Certo il punto centrale del messaggio cristiano è il vangelo, non il predicatore-prete. Il diletto e furore oratorio del passato con termini roboanti, altisonanti e retorici può oscurare la forza interiore della parola di Dio anziché renderla efficace ed accessibile. Invece spazio ai laici nella riappropriazione della parola di Dio e adeguate liturgie da loro animate possono creare convinzione più profonde e trainanti. In pratica la figura del conduttore televisivo così seducente nella nostra civiltà mediatica dovrebbe trasferirsi pure a livello di liturgie sacre, anche se ognuno con i suoi appropriati contenuti. Quando si parla di laici ovviamente ci si riferisci a persone, celibi o sposate, certo in possesso dei ferri del mestiere, cioè laureati o preparati in teologia, affiancati poi da un sacerdote eventualmente per la celebrazione della messa. In questa collocazione qualche prete ci sta male perché si sente ruota di scorta e pezzo di ricambio. Ma il prete deve convincersi che non ha il magico carisma di coprire tutti gli spazi, non è un tuttologo con la ricetta pronta a tutte le bisogne. L’assemblea in questione ”Piano pastorale zurighese” rende attenti al fatto che è da preferirsi la celebrazione della parola di Dio ben condotta da una laico e senza la messa piuttosto che una messa celebrata da un sacerdote per mestiere e routine, con una lagna che concilia sonnolenza ed ogni fantasia terrena.  Anche sul ruolo del prete bisogna tentare altre strade, diversamente si resta soli e fuori strada.

Autore:
Albino Michelin
01.06.2000

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