lunedì 9 novembre 2015

CONVEGNO DELLE MISSIONI E PERSISTENZA DI CHIESE PARALLELE

Sabato 27 maggio 2000 la città di Berna fra l'Hotel Alfa, la locale Missione cattolica e la Chiesa della SS.Trinità ha visto una invasione di connazionali. Il giornale di bordo parla di 900 persone di cui 450 adulti e 250 giovani presentì ai lavori del mattino, più 150 aggiuntesi al pomeriggio per la messa conclusiva. Certo il numero è rilevante ma più che all'impressione coreografica esterna queste manifestazioni tanto valgono quanto intendono affrontare i nodi cruciali delle missioni cattoliche in Svizzera: la loro esistenza, continuità, ricollocazione, le loro componenti anagrafiche, l'apertura o la resistenza nei confronti dell'integrazione con l'ambiente locale ecc. Però indicazioni valide per il futuro pochine, anche perché in queste manifestazioni si tratta più di seminare che di raccogliere. Il titolo sul frontone portava all'incirca il motto: "Testimonianza e visibilità delle Missioni in Svizzera".  Non è da escludere un certo panico negli ultimi tempi serpeggiante per l'abolizione o decurtazione di fondi da parte delle amministrazioni ecclesiastiche svizzere nei confronti delle missioni stesse. Care amministrazioni, noi cattolici italiani ci siamo, ve lo facciamo vedere e abbiamo diritto alle nostre legittime sovvenzioni (in buona parte dalle nostre tasse del culto) per la sopravvivenza. Che i soldi siano importanti oggi anche nella evangelizzazione lo dimostra lo stesso buon Samaritano: con le sole buone intenzioni non avrebbe combinato nulla, ma ha potuto pagare l'albergo al malcapitato caduto nel fosso perché disponeva del denaro sufficiente. Non entriamo qui in merito alla legittimità o meno della Chiesa svizzera sulla decisione di ridurre i contributi alle nostre comunità. Però una prima lacuna va rilevata: al Convegno di Berna la chiesa ufficiale Svizzera è rimasta assente. Il suo incaricato per gli stranieri, N. Brunner, occupato per un matrimonio, non ha nemmeno inviato un suo delegato rappresentante. A parte il dott. Koppel, segretario d'ufficio della Migratio, non si sono visti né delegati delle varie commissioni centrali cantonali, né quelli delle Amministrazioni locali, sia pure con una o due lodevoli eccezioni. Chiara l'interpretazione: siamo ancora due chiese parallele. La nostra pastorale italiana, per gli italiani e soprattutto all'italiana viene tollerata in quanto (per gli svizzeri) destinata ad un binario morto, perché non abbiamo voluto o potuto acquisire peso morale verso le comunità elvetiche con iniziative di collaborazione reciproca. Se da una parte è da ritenersi esagerata questa forma di cannibalismo integrazionista nei confronti degli stranieri, dall'altra dobbiamo convincerci che il terreno perduto si può ricuperare solo cominciando dal basso: in Svizzera dopo 7 secoli di democrazia di base manifestazioni di pressione di massa per intimidire e piegare i vertici lasciano il tempo che trovano. Qui oggi ogni comunità italiana deve rinnovarsi ad iniziare dal "suo" piccolo ambiente e, pur mantenendo uno spazio di legittima autonomia culturale e religiosa, deve approntare determinate iniziative comuni anche con la chiesa svizzera. Per l'assenza del vescovo elvetico incaricato si è ricorsi al Cardinal Tonini, che, per quanto uomo di Dio carismatico e mediatico, non ha fatto altro che evidenziare maggiormente la distanza e il parallelismo fra le due chiese. In effetti ci si può chiedere che stesse a fare qui un prelato totalmente italiano quando nostra interlocutrice è la comunità svizzera. Un'altra lacuna la si potrebbe ravvisare nell'insistenza di un monocolore confessionale e nella totale assenza di ecumenismo. Non ci si riferisce certo qui alla mancata partecipazione di pastori protestanti, ma ma a quella delle nostre famiglie miste, in cui il partner italiano è di confessione cattolica e quello svizzero di confessione evangelica o viceversa. Sarebbe interessante conoscere dai nostri studiosi sociologi il numero e la statistica di questo tipo di focolari nelle nostre missioni. E anche qui lo stesso risultato: all'interno delle nostre stesse famiglie esistono due chiese parallele e non comunicanti. Una terza lacuna concerne il mondo specifico delle nostre missioni. Si sa “ab immemorabili” che la maggioranza dei membri della chiesa è composta da donne, però sulla bigoncia ad impugnare microfoni ci sono ancora troppi maschi. A Berna due sole eccezioni per confermare la regola: l'intervento di una religiosa e quello della dottoressa A. Rudeberg che fece la proposta di un volontariato più qualificato e professionale, ma che nel bel mezzo del suo dire venne sollecitata a farla breve. È scontato inoltre che la maggioranza dei membri della chiesa sono laici. A titolo di curiosità quella cattolica ne conta (pare) un miliardo o poco più, mentre i religiosi, papa compreso, ammontano al 1.370.000. La stessa proporzione si può trasferire nelle comunità locali. Però la chiesa "docente" continua ad essere quasi sempre e solo quella clericale, quella laicale resta troppo e solo discente. Così a Berna abbiamo ascoltato una bella relazione del dott. G. Mileti di Neuchatel sulla pastorale giovanile interculturale, sulla necessità di investire mezzi e persone in questo settore. Però la solita costatazione di due chiese, parallele: quella del clero celibe guidata da maschi, e quella del popolo seguita dai bambini, dai vecchi, dagli sposati e soprattutto dalle donne. Un'ultima lacuna: la mancanza di giovani. E qui non si scopre la luna.  160-220 giovani sui sedici anni presenti alla giornata congressuale. La realtà è che a 16 anni non si è giovani, ma adolescenti, in un periodo ancora di semitutela della famiglia, della scuola, della chiesa. Ma giovani al di sopra dei 20 anni, o coppie di fidanzati, ecc. di questa fascia di età, svincolati da ogni tutela sociale: trovarne uno era come pescare l'ago nel pagliaio. Significa che dopo 18 anni all'incirca noi delle missioni e delle parrocchie perdiamo tutti e non riusciamo più ad avere con loro sintonia alcuna e tanto meno lunghezza d'onda. La loro chiesa è il dancing, la loro liturgia è la musica metallica. E noi continuiamo con le nostre messe rituali, ripetitive, asettiche a monologhi. Si legga a proposito un interessante articolo apparso su "Rinascita" del 15.6.200 a firma di don Stefano Balie. Abbiamo purtroppo anche in questo settore due chiese parallele: quella dei pensionati e quella dei giovani in età minorile, non comunicanti e incomunicabili. Il Convegno infine non ha tralasciato fra le righe di rammentare le cosiddette "Unità pastorali", cioè l'aggregazione territoriale di varie missioni, che pure conservando la loro autonomia, faciliti scambi e collaborazione. Questo è senz’altro positivo, ma va però evitato un pericolo, quello di una semplice lottizzazione geografica, anziché strumento di riqualificazione pastorale, culturale e religiosa con la messa in comune e la valorizzazione dei carismi migliori a servizio di tutti. Ed è cosi che, sembra, le varie missioni centrali come Ginevra, Losanna, Berna, Bienne, Basilea, Zurigo, San Gallo dovrebbero diventare centri propulsori e dinamici, laboratori di riciclaggio e aggiornamento per le zone limitrofe, specie di università popolari dove vengono esposti e dibattuti gli argomenti di attualità e prospettate eventuali risposte alle urgenze di oggi.  Nessuno vuole mettere il naso in casa altrui, ma bisogna fare I conti con il turismo pastorale, cioè con gente che in occasione di battesimi, matrimoni, ecc. si trasferisce da una missione ad un'altra e fa giustamente le sue osservazioni e i suoi confronti. Ma nemmeno di questo il Convegno di Berna del 27 maggio, forte dei suoi 900 militanti, ha preso atto. Va comunque elogiato il coraggio di chi si assume l'organizzazione di tali manifestazioni nella speranza non faccia difetto il coraggio di constatare le eventuali lacune e la volontà di approntare appropriate terapie.

Autore:
Albino Michelin
22.06.2000

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