giovedì 11 febbraio 2016

DIVORZIATI, LA CHIESA USA MISERICORDIA CON VOI?

C'è un brano del Vangelo di Matteo carico di tanta umanità in cui Gesù di fronte alla moltitudine stanca e affamata esclama: "Ho compassione di questa gente perché mi sembrano pecore senza pastore e potrebbero mancare lungo la via". Non era la solita compassione pietosa e di circostanza, tant'è vero che è stata espressa con il prodigio della moltiplicazione dei pani. Subito una constatazione: la gente oggi non ha fame solo di pane, ma anche e soprattutto nel mondo occidentale di comprensione, di consolazione, d'accoglienza. Senz'altro, per il fatto che il nostro tempo conosce tanta conflittualità, concorrenzialità, emarginazione. Una domanda che spesso la gente pone al prete di oggi in modo stringente è: "ma la Chiesa cattolica ha un po' di misericordia verso i divorziati?". Qui non ci interessa fare tanti discorsi di carattere sociologico sulle cause dei divorzi, quanto prendere in considerazione il rapporto umano-religioso nei confronti delle coppie toccate dal fenomeno. Ma Gesù si comporterebbe proprio così? Una per tutte, cito la testimonianza di Giuliana, che non è un nome di fantasia, ma che vive questa realtà sulla propria pelle. "Sono sposata da 22 anni e divorziata da 18. Non voglio addurre scuse su quanto accaduto. Quando si è in due, le responsabilità in genere si dividono in parti uguali. Quello che mi interessa è il mio rapporto con la chiesa e viceversa. Divorziare o separarsi è un'esperienza amarissima, ti carica di preoccupazioni, finanziarie, psicologiche, morali, familiari. È uno stress totale. Ti butta a terra. Quando ho iniziato una seconda convivenza mi sono sentita eliminata e discriminata. Intendo dalla chiesa. Non solo vietata la comunione, ma mi è stato ingiunto: 'non ti vogliamo più. E io ho risposto: “se è così va bene. Neanche tu, chiesa, mi avrai più. Io sono sempre cresciuta con la fede e quando con il mio compagno abbiamo dato alla luce Katia, oggi 16 anni, e Andrea 14, ci siamo posti il problema della loro educazione religiosa. E quella l'abbiamo sempre garantita fin da piccoli. All'età della prima comunione il parroco, don Claudio, ci ha ingiunto che il catechismo ai nostri figli e agli amici del condominio dovevamo impartirlo noi. Al che ho risposto: '“ora la chiesa ha bisogno di me e io per coerenza dovrei negarle ogni collaborazione'. Ma mi interessa troppo l'educazione dei miei bambini e ho deciso di cedere. Però provavo tanta sofferenza ed umiliazione allorché Katia e Andrea fecero la prima comunione: io mamma e il loro padre ne fummo allontanati e pubblicamente. E pensare che il mio compagno era ed è tutt'ora presidente dell'oratorio parrocchiale. Una volta ho incontrato per caso un prete, molto comprensivo e mi invitò ad una riunione mensile in un paese del territorio dove si incontrava un gruppo di separati, divorziati. Si chiama 'Animati dalla Parola'. Ci sono andata e continuo ad andarci perché non voglio sentirmi esclusa della comunità. Qualche volta ci viene pure il vescovo diocesano e raccomanda di divulgare e ampliare il gruppo anche nei dintorni. Però pure lui ci pianta una stilettata nell'anima quando ci ripete il divieto di fare la comunione. E con parole mielose e compassione pelosa ci spiega che egli pure soffre con noi, ma che la chiesa non può cambiare la legge del Signore. Non è la chiesa che ci esclude dalla comunione, è la nostra rottura del sacramento che ci rende degli autoesclusi. Non so se hai letto l'ultimo intervento dello scorso autunno a firma del cardinale di Milano Tettamanzi. Sembra un santo Padre ma poi finisce anche lui brandendo la clava del divieto. Ti devo dire francamente: la chiesa istituzione è proprio senza cuore, financo crudele. Mentre invece io con altri amici nella stessa situazione abbiamo trovato che esistono alcuni preti, l'altra chiesa che silenziosamente e senza lasciarsi piegare dall'istituzione, quelli che noi chiamiamo i preti della strada, vivono in mezzo e insieme alla gente e si comportano proprio come Gesù: esprimono misericordia verso le folle stanche e smarrite. In effetti ci consigliano di fare la comunione secondo il dettame della nostra coscienza e sarebbero pronti anche a fare riti, benedizioni e cerimonie di accoglienza per le coppie conviventi e divorziate. Vedi il caso mio, da 22 anni convivente con un compagno affettuoso, rispettoso, responsabile, padre onesto. Noi due il matrimonio come sacramento lo viviamo lo stesso anche se non siamo sposati in chiesa. Ma noi due dopo questo purgatorio di penitenza avremmo il diritto anche di una nuova accoglienza nella comunità cristiana, di una benedizione degli anelli, di esprimere in pubblico la nostra promessa di amore. La nostra Chiesa da Gesù dovrebbe imparare e praticare di più compassione e misericordia". (Giuliana G. 11.6.08.)
                                 Solo i divorziati sarebbero cristiani irregolari?
Lettere come queste, con osservazioni e critiche alla chiesa ne circolano tutti i giorni. Le Giuliane sono veramente tante. La nostra si riferisce in modo costante alla misericordia di Gesù, certamente espressioni del genere Gesù ne ha dette tante, come ad esempio "misericordia voglio e non sacrificio". Pure indirettamente attraverso Paolo: "noi non intendiamo fare da padroni della vostra fede, siamo invece collaboratori della Vostra gioia" (2° Cor. 1.24). Il tutto non significa che la misericordia divenga legittimazione di ogni comportamento, ma senz'altro non deve essere accanimento contro questo tipo di "irregolari" con maxi indulgenze e indulti verso comportamenti molto più gravi, perché costanti e intenzionali. Continuare a sostenere che questi "irregolari" si sono autoesclusi dalla Chiesa può essere un'interpretazione soggettiva e faziosa del Vangelo. Perché ad esempio non trattare da autoesclusi (quindi con divieto della comunione) coloro che frodano costantemente il fisco dilapidando i sacrifici dei poveri, coloro che progettano e fomentano la malavita, o tutti quei medici della Santa Rita di Milano, clinica degli orrori, che inventano false malattie, esportano tumori inesistenti, piantano chiodi su articolazioni solo allo scopo di iniqui profitti finanziari? Ma a tutti costoro basta una confessioncella al fraticello di turno per uscire assolti e rientrare nella comunità a testa alta e benedetti dalla chiesa? Fra tanti casi di antimisericordia e anticompassione giova citarne uno che ha destato reazioni pesanti anche fra la gente di buon senso. Venerdì 9 maggio 2008 "Mi manda Rai 3" ha trasmesso una rubrica sui diritti della persona. Compare una signora, ex impiegata negli uffici della curia vaticana, licenziata in tronco perché essendo separata si è permessa di sposarsi in civile al comune di Roma. Come i casi di insegnanti di religione conviventi che danno al vescovo un indirizzo diverso dal partner per evitare licenziamenti e trovarsi sulla strada. Quando uno è professionalmente corretto non andrebbe mai punito o discriminato a causa delle sue diverse concezioni religiose o morali. Lo diceva già il Codice della Rivoluzione Francese (1792) e la Carta dell'Onu (1948). E che dire del Vescovo di Viterbo, L. Chiarinelli, che recentemente ha negato il matrimonio in chiesa ad un disabile incidentato perché ritenuto incapace di fare figli? Come se lo scopo del matrimonio fosse quello della prole anziché del mutuo amore. Ma, si legge nella stampa d'inizio giugno, il prelato ha loro negato le nozze con "sofferenza e dolore". La solita compassione clericalese, che non era certo quella di Gesù. La sua era una compassione vera identificazione con il sofferente di turno. Mettiamo a confronto questi casi con i funerali di fine agosto 2007 del tenore divostar Pavarotti, ufficialmente e solennemente divorziato. Cerimonia funebre nella cattedrale di Parma con tanto di vescovo diocesano in pompa magna e concertini d'opera. Proprio non ci si raccapezza più.
                Gesù ha istituito il matrimonio in chiesa e con il prete celebrante?
La signora Giuliana vorrebbe farci capire che i veri preti, secondo lei quelli della strada, dovrebberero addirittura fare resistenza all'Istituzione chiesa. Buona l'intenzione, ma in pratica bisogna andare cauti. Credo piuttosto che sarebbe necessario ricompattare dal basso tutti i preti in "cura d'anime" (seria o bugiarda l'espressione "cura"?) affinché facciano le dovute pressioni verso l'alto. Le leggi della chiesa lungo i secoli hanno sempre subito una revisione a due condizioni: la trasgressione generale, silenziosa e silente, dei fedeli e, in secondo luogo, le richieste pressanti del clero verso la gerarchia. Su questo abbiamo oggi dei segnali timidi, ma crescenti. Da una parte i custodi della legge e che quindi negano ogni mediazione e ogni benedizione alla coppia divorziata, o al massimo la confinano in un luogo segreto, appartato o nottetempo. Dall'altra abbiamo un certo numero di preti che non disdegnano un rito sobrio, ma accogliente e festoso, premessa l'informazione che non si tratta di un secondo matrimonio ecclesiastico, ma di un rito d'accoglienza della nuova famiglia nella comunità cristiana. Motivando la scelta che Dio non lo si può negare a nessuno e che a Dio ciascuno ci va secondo i suoi passi, le sue scarpe, le sue possibilità. E qui s'innesta il ruolo della Sacra Rota. Ma più competente e informato di un prete da sempre vicino alla coppia chi potrebbe essere? Solo lui, in nome della fede, potrebbe dichiarare nullo, pericolante, o inesistente il matrimonio in discussione. Altri sacerdoti si spingono anche verso un discorso teologico più radicale e stringente. Sostengono: come nel sacramento dell'eucaristia o comunione allorché il pane si deteriora cessa di essere il corpo di Cristo, cosi nel matrimonio quando l'amore scompare e diventa addirittura rifiuto e prolungato del partner, allora il sacramento non esiste più e si potrebbe procedere a seconde nozze in chiesa. Come si vede, discorso da approfondire e non da liquidare. La Giuliana, fra le tante affermazioni, sostiene che lei e il convivente si sentono marito e moglie, con tutto il sacramento anche se non "celebrato in chiesa”. Non si abbattano, anzi! Devono sapere che fino al Concilio di Trento (1560) per parecchi secoli la Chiesa Istituzione ha accettato e considerato sacramento ogni rito sponsale celebrato secondo le tradizioni del luogo, romane, germaniche, francone, celtiche, ecc. Il matrimonio lo si stipulava in famiglia, in genere senza il sacerdote. Ma la nostra gente, a torto disinformata, pensa che sia stato Gesù Cristo ad istituire il matrimonio in chiesa, con rito obbligato di fronte al prete in cotta e stola. In riferimento a tutto questo discorso ci auguriamo che non esistano più lazzaretti per divorziati, e vengano abbattute le mura dei lebbrosari, in cui noi cattolici abbiamo segregato le coppie "irregolari". Gesù proclama di essere venuto non per i sani, ma per i malati. E se egli venisse ancora su questa terra non andrebbe a visitare prima la Piazza S. Pietro e i pontificali papali. Andrebbe in questi lebbrosari e in questi lazzaretti. "Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò". E sinceramente malati, oppressi, stanchi nell'anima e nel corpo lo siamo un po' tutti.

Autore:
Albino Michelin
20.06.2008


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