giovedì 11 febbraio 2016

NELLA CIVILTÀ DEL BEN-ESSERE. PORTARE LA PROPRIA CROCE?

Siamo tutti d’accordo che il corpo è il bene più prezioso ricevuto e abbiamo il dovere di rispettarlo in tutti i modi e in tutti i sensi. Un sentimento generalmente diffuso che non concerne solo il corpo fisico, ma tutto l'habitat in cui esso è collocato, tutti gli strumenti di cui necessita, tutti i beni di cui ha bisogno, e tutte le esigenze che attorno ci si crea. La ricerca del confort, la casa-villetta con il caminetto, il riscaldamento, l'aria condizionata, il sofà, i tappeti. L'auto con tutti i suoi optional, la roulotte, le ferie nei paesi più esotici. Ben-essere! E specificatamente rispetto al corpo alcune delle nostre preoccupazioni sono: scegliere il cibo senza sentirlo nemico, i tests kineseologici per la ricerca dell'intolleranza alimentare, già perché un menù sbagliato può alterare il nostro fisico e coinvolgere anche il nostro psichico. I tests kineseologici emozionali, la cromoterapia, la fitoterapia (con le piante), l'ippoterapia (con il cavallo), la cinoterapia (con il cane), la micioterapia (con il gatto), ecc. E poi chi non ha mai sentito parlare dei messaggi emozionali con i fiori di Bach? Una fisioterapia abbastanza recente che cura i nostri aspetti emozionali, in quanto a lungo andare potrebbero diventare un pericolo. I suoi rimedi arrivano a 38, ma saranno destinati ad aumentare, e stabiliscono positivi rapporti fra l'anima e la nostra personalità. Si raggiunge così, o assai spesso, l'equilibrio: corpo-mente-spirito. Disintossicazione, tonicità. Insomma una vera magia. Chi pensa più alle sofferenze di Gesù sulla Croce? Essa 2000 anni fa strumento della passione e morte del Signore, della sofferenza come parte integrante del vivere. In effetti anche Gesù disse: "Ognuno prenda la sua croce e mi segua". E siccome storicamente essa è stata l'asse portante della nostra civiltà cristiana occidentale giova farsi qualche domanda in merito.
                                    L’abuso della Croce e dei suoi simboli.
Non ritorniamo o non cominciamo sempre dalle crociate. Ma si sa che in nome della croce ne hanno combinato di tutti i colori. Per liberare il Santo Sepolcro, o per ammazzare i saraceni e nemici del nostro Dio. La croce posta su molte bandiere del medioevo per farsi guerra le signorie le une contro le altre. La croce messa sulle labbra ai condannati a morte prima delle esecuzioni capitali o delle impiccagioni o dei roghi: punizione contro chi non voleva convertirsi alla fede cattolica. Croce, ridotta a simbolo di partito. In effetti bisogna chiedersi se tutta questa attuale polemica del si o no al crocefisso nelle scuole sia dovuta alla fede verso Gesù, oppure alla rivalsa contro gli islamici o altri nemici dei secoli passati. Croce banalizzata: che ci sta a fare il crocefisso nei bar dove volano bestemmie di fuoco, nei tribunali dove la legge sta al servizio di chi ha soldi per comprarsela, nelle scuole dove si può insegnare l'ateismo più radicale, nei campi di calcio dove giocatori si fanno uno sghiribizzo a guisa di scaccia pensieri. Croce enfatizzata: tipo la croce pettorale d'oro sulla pancia dei prelati, contrassegno onorifico, che ribalta la verità di Gesù nato povero e morto nudo. Croce drammatizzata: si pensi al film di Mel Gibson in cui si esalta l'orgia del sangue o alla “Rana crocefissa” dell'artista Martin Kippenberger in una mostra di Bolzano di qualche anno. Ogni cosa al suo posto. E quello più adatto per croce e crocefisso sarebbe il luogo di culto, o il cuore del credente. E ampliamolo forse anche nell'abbigliamento, sobrietà permettendo. Comunque al di là di questi usi o abusi della croce è legittimo porsi una seconda domanda: se noi cioè con tutta questa nostra richiesta del ben-essere siamo dentro o fuori del messaggio cristiano e del Vangelo cui l'occidente spesso si appella.
                       Dalla ricerca della sofferenza alla lotta contro la sofferenza
Si potrebbe dividere la nostra risposta in tre epoche storiche. La prima riguarda la fuga dal mondo e dai suoi piaceri. Già verso il terzo-quarto secolo molti si ritiravano nel deserto, si cibavano di erbe e cavallette, altri si assestavano sopra una colonna per non vedere le bruttezze di questa terra, altri si flagellavano e digiunavano per partecipare alle sofferenze di Gesù. In effetti il corpo veniva chiamato "frate asino" e come un asino lo si doveva trattare e flagellare. Altri non facevano mai il bagno e si lasciavano vivere nei pidocchi e tutto l’ambiente impestavano con ogni sorta di fetore. Si pensi ad un Santo, certo Benedetto Labre (1748-83), un tipo non tanto medioevale. E sempre in quei primi periodi nacquero canti della Passione: “Gesù mio con dure funi chi crudele ti flagello? Sono stati i miei peccati, Gesù mio perdon pietà.” E si laceravano le membra, si facevano insanguinare gambe e schiene per appropriarsi delle sofferenze di Gesù condannato a morte. E ovviamente si acquistava il Paradiso. Alcune devozioni sono sopravvissute fino a pochi anni or sono. Pensiamo ai primi 9 venerdì del mese. Comunione e confessione per alleviare le sofferenze del Cuore di Gesù causate dai peccati degli uomini: paradiso garantito come venne informata in una visione Santa Maria Margherita Alacoque (+1690). Questa prima epoca storica non è circoscritta solo al Medioevo ma ha pure dei residuati nel nostro tempo. Vedasi ad esempio le piaghe di P. Pio da Pietralcina e relative spiegazioni che vengono date. La seconda epoca riguarda non più la ricerca, ma l'accettazione della sofferenza. E' già un passo in avanti, periodo nel quale non si parla più del corpo come "frate asino", ma di questa terra come valle di lacrime. Cioè sopportare per amore di Dio e per guadagnarsi meriti in cielo, data la situazione da cui non ci si può cavar fuori. Pure oggi però abbiamo qualche atteggiamento del genere. I devoti di Radio Maria si dilettano lo spirito quando il veggente Padre Livio Fanzaga fa l'elogio della sofferenza umana, in quanto chi soffre sarebbe un prediletto dalla Madonna. Il nostro tempo comunque, e qui possiamo definirlo terza epoca, si caratterizza per la lotta contro la sofferenza. Terapie, anestesie, pronto soccorso, analgesici, medici di famiglia. Persino il problema tanto dibattuto sull'eutanasia ci rivela che oggi il dolore e la sofferenza spaventano. Significativo il caso che divise l'Italia qualche anno fa: Eluana, una giovane ragazza friulana, da oltre quindici anni in coma, vita vegetativa, il padre che per pietà desidera togliere la spina. Per contro invece gente che gli espone in piazza Duomo di Milano "Bottiglie per la vita", a significare che Eluana va alimentata nonostante tutto. Al di là però di questi casi limite bisogna affermare che la lotta contro il dolore, la ricerca del ben-essere è un grande cammino fatto nella storia a favore della dignità dell'uomo. Tutto ciò non ha nulla contro croce e cristianesimo, il cui messaggio fondamentale è l’amore del prossimo come di se stessi.
                              La messa quale partecipazione al sacrificio di Cristo?
Ogni esagerazione di una realtà può essere peggiore di una menzogna. Nessuno nega che la morte di Gesù in Croce sia stata una vera e grande sofferenza. Però ci sia permesso di dire che oggi Gesù non soffre più. E quindi accentuare il significato della messa sostenendo essere questa il rinnovamento del sacrificio della Croce si arrischia l'equivoco. Come il consigliare di andare alla messa per partecipare alla croce del Signore. Perché in questo modo pure noi placheremmo l'ira di Dio per i peccati del mondo. Un Dio il nostro sempre con il broncio? In debito e in attesa di risarcimento? Indubbiamente sia Paolo come Giovanni nel Nuovo Testamento hanno usato modelli del loro tempo per avvicinarci a questa realtà. E poi un certo Anselmo di Cantorbery agli inizi del secondo millennio schematizzò il sacrificio di Gesù secondo la mentalità giuridica romana. Ragionò così: "Dio Padre è stato offeso dal peccato di Adamo e dei suoi discendenti. Dio è infinito. Quindi c'era bisogno di una riparazione infinita. Gli uomini come avrebbero fatto essendo essi persone limitate? Ecco: ci voleva il Figlio di Dio per ottenere il perdono del Padre. Così iI Padre programmò la morte di Gesù, questi accettò ed in tal modo pagò il riscatto a nome di tutti "Do ut des: O Padre, io Figlio tuo do la mia vita sulla croce e tu mi dai il perdono a tutte l'umanità". Un modello di ragionamento che rispecchia la mentalità antica, in cui allorché il re o il faraone veniva offeso, chiedeva per risarcimento che l'offensore vendesse o mandasse alla morte un figlio. E nelle civiltà antiche i quando si fondava una città, allo scopo di ottenere la benedizione degli dei si uccideva un figlio o un essere umano e con il suo sangue si aspergevano le fondamenta della futura città stessa. Il fatto di Abramo che dopo di aver udito l'invito di Dio a sacrificare suo figlio sul monte sentì una mano che gli fermò il braccio del genocidio, indicandogli di sostituire la vittima umana con un montone, sta a significare un cammino verso la civilizzazione e verso il rispetto dell'uomo. Allora non andare più a messa? Anche questa è una toppa peggiore dello sbrego. Senz'altro però una conclusione in bocca a Gesù va nel caso ripetuta: "Misericordia voglio e non sacrifici". La nostra ricerca di ben-essere non ha nulla da eccepire sulla Messa, né tanto meno sul messaggio cristiano. Perciò la lotta contro il dolore, le malattie, l'Aids, ecc. resta oggi un impegno primario e costante della nostra società.

Autore:
Albino Michelin
09.10.2008

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