domenica 13 dicembre 2015

HA SENSO PARLARE ANCORA DI FAMIGLIA?

Sabato 20 marzo 2004 ha avuto luogo allo Stadtheater di Olten il Convegno nazionale Acli sul tema in collaborazione con la Delegazione nazionale missioni cattoliche italiane. Partecipanti del Movimento in numero mediamente discreto. Primo responsabile dell'incontro il dott. Luigi Zanolli, presidente nazionale Svizzera, e fra gli altri la signora Emilia Margelisch-Sena, presidente Acli Svizzera Centro Orientale. Inoltre un pullman con rappresentanza ticinese. Tutti gli argomenti furono di indubbio interesse. Quello della dott.ssa Lepori che ha analizzato il tipo di aiuto di cui la famiglia oggi necessita, quello del dottor Giovanni Longu. Nell'insieme fu tratteggiata anche la tipologia della famiglia di oggi: tradizionale, quella dei separati, divorziati, conviventi, quella del week- end, quella degli omosessuali, ecc. Su quest'ultima contraria si è espressa la signora Margelisch poiché solo nella coppia naturale è garantita una sana relazione padre-madre-figli. Spazio fu poi dato anche alla testimonianza di tre coppie: Bruno e Vanna rispettivamente di anni 82 e 80, con oltre mezzo secolo di vita matrimoniale alle spalle. Ammirazione perché erba rara al nostro tempo, ma fortunatamente più presente di quanto la pubblicità non dica. Quindi una coppia mista, Peter svizzero e Maria Grazia italiana a dimostrare come anche le due civiltà diverse possano costruire un ménage felice. Fu il turno quindi di una coppia divorziata, lui risposato, lei nubile. Gino legato da un precedente matrimonio, padre di due bambini passato a seconde nozze con Tina, da cui un terzo figlio. Tutti e tre questi figli si sentono ugualmente accettati ed amati e soprattutto i primi due hanno ricuperato una famiglia precedentemente (si fa per dire) carente. Entrambi i nuovi coniugi religiosi praticanti, lei appartenente ad un movimento di spiritualità, attivi nelle iniziative di missione. Ma nella nostra società esistono altri due tipi di famiglia verso cui la chiesa potrebbe chinarsi con più attenzione.
                                                       Le famiglie di sventura
Sono quelle dei preti sposati e di coloro che pur esercitando il ministero tengono rapporti affettivi con una donna. Va detto per la cronaca che l'associazione Zoefra (Zoelibat Frauen, donne per un libero celibato dei preti) tramite la signora Friedli (vedi mio articolo su Rinascita 6.6.03) ha pubblicato un rapporto in cui oltre 300 risultano in Svizzera i casi di sacerdoti in questa situazione, in pratica uno su due. In Italia esiste anche una consistente associazione chiamata Vocativo (vocazione) costituita da famiglie in cui il marito-padre è un ex sacerdote. Vivono cristianamente la loro fede e si battono per una legittimazione della loro scelta. Positiva risonanza ha lasciato Papa Wojtyla, in occasione della visita al Parlamento italiano (14.11 .02) quando implorò indulto, che poi divenne indultino, per i detenuti italiani micro o macrocriminali non importa, ma responsabili di azioni illegali. Ma grati saremmo un giorno alle supreme autorità allorché non un indultino in casa altrui, ma pieno riconoscimento in casa nostra si desse alle famiglie di questi ex preti, anche riaffidando loro l'esercizio della professione. Ho presente a tutt'oggi i casi di due sacerdoti sulla trentina o poco oltre che vorrebbero sposarsi pure uscendo coerentemente dall'esercizio del ministero, ma la gerarchia romana non concede loro licenza. Se ne riparla dopo i quarant'anni, con probabilità di domanda respinta.  
                                             Le famiglie di rifondazione coniugale 
Il secondo tipo di famiglia che io chiamerei "di frustrazione" viene qui, dietro correttivo di alcuni, ridefinita di rifondazione. Sarebbero le coppie passate a seconde nozze dopo un precedente primo matrimonio di chiesa. Anche Gino e Tina non si sentono frustrati ma rifondati, ricreati. Orbene per queste coppie non c'è pietà, non c'è misericordia. Niente comunione, padrinato, madrinato ecc. Ostracismo più assoluto. La chiesa con le sue relative liturgie, a mio avviso, non va considerata come un Grand Hotel, con saloni di splendore, gente fastosa e festosa, look Hollywood, ma andrebbe considerata come una "Sanitas", una casa di accoglienza, un ospedale da campo, un pronto soccorso in cui trovano il primo posto gli incidentati di percorso, i malati, cronici, i candidati alla morte. Non ha molto senso continuare a parlare dì pastorale della famiglia facendo della retorica sul casto coniugio, sull'amore trinitario ecc. Queste famiglie rifondate vanno meglio accompagnate e supportate. Qui non mi sono mancate esperienze. Da anni diverse coppie divorziate provenienti da altri territori di missione si rivolgono al sottoscritto per un rito di accoglienza nella chiesa in occasione di una rifondazione familiare. Conosco abbastanza bene la distinzione fra tale gesto e il matrimonio ecclesiastico, che rimane irrepetibile (almeno stante alla legge vigente). Indubbiamente venivo incontro ai richiedenti, premesso un verace colloquio, non si trattasse di palco, di teatro, di convenienza, di pressione da parte dell'occhio sociale. Ciò costatato, ero preso dal forte sentimento di solidarietà, che cioè Dio non si può proibire e negare a nessuno. E che in una società non più massificata e cristiana, non va sprecata nemmeno una fiammella di fede. Tanto meno spenta. Amici sacerdoti mi hanno chiacchierato come trasgressivo, che simula e falsifica i sacramenti, che confonde la buona gente. Ovviamente con la seconda intenzione di deferirmi all'autorità superiore e porre freno all’abuso. Ad evitare tali lungaggini ho preferito inviare tutte queste coppie a sacerdoti svizzeri, che fanno riti di accoglienza in stato interiore meno ansioso del mio. Ma non si può eludere la domanda: conoscono queste situazioni i preti italiani? Si può accettare che nello stesso paese a volte piccolino il sacerdote italiano neghi la comunione ai divorziati, risposati, conviventi e il confinante porta a porta prete svizzero invece sia di tutt'altro vangelo? Collaborazione e integrazione pastorale significa anche capirsi e accordarsi sulle scelte di fondo. Dovremmo prendere maggiormente atto di queste emorragie del nostro tessuto sociale, di famiglie che vanno altrove, che prendono la strada del nomadismo religioso perché in loco all'italiana considerate bastardine. Anche quest'aspetto, come il primo da me citato, potrebbero costituire un pacchetto di richieste, che composte con altre urgenti, potrebbero venire sottoposte al papa Wojtyla nel suo prossimo viaggio a Berna il 6 giugno 2004.  Che tutto non finisca in suono di fanfare, in melodie jodler, in cioccolata multinazionale Nestlé. Grazie a Dio con movimenti svizzeri stiamo lavorando in questo senso. Non cellule di Al Quaeda, ma gruppi di fermento a matrice Vangelo. Anche le Acli è giusto che vengono di ciò informate.
                                                  Reazioni a queste proposte
 Di consenso le ripercussioni provenienti dall'assemblea: un buon correttivo è venuto dalla coppia Gino­ Tina che sottolineò la fortuna di trovarsi in una missione in cui il sacerdote fa crescere queste coppie: la chiesa rischia di perdere sempre più famiglie. Soprattutto a causa delle differenze e contraddizioni palesi e pubbliche offerte dal clero in materia. E la signora Cinzia (residente in Ticino), ribatte il chiodo:” sono praticante, mi confesso per fare la comunione, vado a Lourdes, sono quarantenne, prego il signore di poter incontrare un altro uomo che faccia da padre affettuoso alla mia bambina, sono divorziata. Qualche prete mi dà l'assoluzione, qualche altro me la nega. Talvolta trovo chi mi colpevolizza in modo cosi arrogante che mi sento non tanto frustrata, ma addirittura una 'donna sporca'. Ma io faccio la comunione lo stesso perché penso che anche il Signore è felice della mia e della nostra felicità. Però mi stupisce che per tutti ci sia perdono, mafiosi, camorristi, criminali, pedofili, bancarottieri.  Per noi divorziati no". A questa testimonianza si aggiunge subito dopo quella di alcuni del pullman del Ticino: "Grazie, Signore. Lei ha toccato giusto. In un paese il nostro parroco dopo la messa invita i divorziati a fare la comunione separatamente in sagrestia o nella cappella accanto. Bella anche questa, penso. La messa che diventa da riunione fraterna a luogo di discriminazione fra pecore e capre, i buoni alla destra e i cattivi alla sinistra. Se guardiamo la realtà dal punto di vista nostro di missionari la situazione è drammatica, la gente invece giudica il tutto un teatro ridolini e si fa la sua strada. L'insieme del dibattimento è caduto a pennello, tant'è vero che il dott. Zanolli, pure definitosi pubblicamente uno di quelli (cioè un divorziato) ha proposto un Convegno per il prossimo anno sul tema: "Amore senza famiglia o famiglia senza amore?" con esplicito voto che si abbia un'idea precisa e comune sulla pastorale dei divorziati e risposati. Ottima idea, c’è da augurarsi che si premetta in questo lasso di tempo un'ampia inchiesta sulla situazione del nostro argomento in questione. È così che grazie al Convegno Acli 2004 si potrà garantire un servizio più globale alla famiglia emigrata in situazione di imprevista e imprevedibile evoluzione. 

Autore:
Albino Michelin
26.03.2004

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