mercoledì 9 dicembre 2015

PER NON SENTIRSI STRANIERI NELLA CHIESA ZURIGHESE

Ogni tanto qualcosa si muove in qualche comunità italiana del Canton Zurigo, sia essa associazionistica o cattolica. Mi riferisco nello specifico ad una pubblica assemblea organizzata dalle Acli di Uster (ZH), resa nota attraverso la stampa di emigrazione, sul tema: "Partecipazione degli stranieri e degli italiani nelle strutture scolastiche ed ecclesiastiche", effettuatasi mercoledì 5 dicembre 2001. Sorvoliamo sulla prima parte della serata, non perché priva d'interesse, anzi è stata con molta competenza condotta dalla connazionale Silvana Sperduto, universitaria e membro della locale Schulpflege. È solo una scelta di limitare il campo, ma l'argomento, presenza degli stranieri nelle amministrazioni scolastiche locali resta di primaria importanza, anche se i primi a disinteressarsi sono i primi interessati, i genitori. Ci soffermiamo alquanto sulla seconda parte, che poi risulta complementare alla prima. Si tratta della presenza degli stranieri nelle strutture della chiesa locale zurighese. Questo tema è stato affrontato con rara competenza dal parroco cattolico di Uster, Dr. Ettore Simioni, per giunta italiano di origine e di nazionalità. Egli introdusse la sua relazione con un significativo aneddoto. Tre ragazzini discutono vivacemente su come nasce un bambino. Il primo, italiano, risponde: "dai genitori", il secondo, francese: "dall'amore". Il terzo svizzero, conclude il discorso: "In Svizzera dipende da Cantone a Cantone". Esatto, per quanto riguarda l'organizzazione della chiesa cattolica nello Stato elvetico dipende tutto dalle costituzioni cantonali, quindi il nostro referente, onde evitare di cacciarsi in un ginepraio bene fece a soffermarsi soltanto sul Canton Zurigo.
Fino al 1964 la chiesa in questo territorio era come nella maggior parte del mondo ente di diritto privato. Cioè si regolava, pure nel rispetto della legge civile vigente, secondo un suo codice interno ecclesiastico. Ad esempio, il Vescovo mandava in una parrocchia il prete che voleva, lo investiva dall'alto dei suoi diritti, e costui cercava di campare come meglio poteva con la benevolenza di facoltosi credenti e con l'elemosina dei fedeli e tutto finiva lì. Nel 1964 in questo Cantone sì è effettuata una votazione popolare, ovviamente secondo i dettami della legge Svizzera (cioè diritto dì voto escluso agli stranieri indipendentemente dalla loro religione) ed è passata la proposta. Cioè anche la Chiesa cattolica, come precedentemente lo era quella protestante e quella dei vecchi cattolici, diventò un ente di diritto pubblico. Così da una parte essa ne trasse dei benefici, dall'altra ne perdette.
Benefici ottenuti: riconoscimento ufficiale, uscita da una situazione catacombale e di tolleranza, uguaglianza nei doveri e nei diritti. Benefici perduti: obbligo di darsi una struttura democratica secondo le leggi del Cantone, cioè il sacrificio in parte della propria autonomia. Per una società autoritaria e piramidale com'è stata la chiesa cattolica in tutto il mondo da Costantino in poi, assumere strutture democratiche è la fine di un mito. Spieghiamo le conseguenze con un esempio: il vescovo manda un sacerdote a dirigere una parrocchia. Se l'assemblea annuale dei cattolici (chiamata comune ecclesiastico) non lo vota o lo boccia, il vescovo se lo deve riprendere o si innescano grane infinite. Persino il caso del Vescovo Haas di Coira-Zurigo verso il 1995 non è andato esente da questa logica. Roma l'ha voluto imporre? Il popolo diocesano, attraverso il suo parlamento (Sinodo) non lo gradì anzi lo rifiutò, di conseguenza non gli passò la quota finanziaria corrispettiva per il suo mantenimento ed attività: in conclusione il prelato dovette cambiare diocesi. Un secondo svantaggio della votazione del 1964 viene ravvisato nella discriminazione fra cattolici svizzeri e cattolici stranieri, cioè una certa spaccatura all'interno della chiesa. Ecco il parallelo: negli enti di diritto pubblico lo straniero in Svizzera non può votare. Di conseguenza egli è escluso dal diritto di voto anche nelle faccende interne alla sua chiesa, a meno che non acquisti un passaporto svizzero. Di qui ecco la domanda: cattolici svizzeri e cattolici stranieri sono uguali? Davanti a Dio si, ma davanti alla chiesa zurighese no. In effetti, nelle assemblee amministrative a costoro è permesso si il diritto di parola, ma non quello di voto, né attivo, né passivo. Un terzo aspetto di concessione allo stato è la riscossione delle tasse di culto in forma obbligatoria. Il loro ammontare ed impiego è controllato dalla società civile e rispettivi organi allo scopo dì evitare imbrogli, storni, fallimenti. Come si nota in questo contesto tutto si tiene con tutto e risponde ad una logica, discutibilissima, ma democratica e fondata sulla democrazia degli enti riconosciuti di diritto pubblico.
Cambiare questa legge è possibile? Ovvio, attraverso un referendum cantonale. In effetti, prossimamente verrà sottoposto a votazione il seguente progetto "lasciare libertà alle varie parrocchie di concedere o meno il diritto di voto agli stranieri". Nel bel mezzo della sua relazione, il Dr. Simioni, venne interrotto da un connazionale: "ma in Svizzera i preti sono pagati dal Vaticano, vero?". Casca il palco, a dimostrazione di quanto siamo prigionieri della nostra cultura di chiesa italiana monarchica. Una domanda che palesa il nostro vuoto di democrazia in materia. Nello zurighese, come anche in altri cantoni dì Svizzera, accanto ai comuni politici e scolastici, che restano autonomi, abbiamo anche i cosiddetti comuni di chiesa, formati dai cattolici che contribuiscono con le tasse del culto. Due volte l'anno costoro si riuniscono in assemblea e leggono o confermano per 4 anni il loro esecutivo, gruppo amministrativo composto in genere di 7-9 membri. Il comune politico gira l'ammontare delle tasse del culto al comune di chiesa il quale lo amministra secondo esigenze prioritarie: stipendio al personale, preti, catechisti, teologi, catechiste, mantenimento degli edifici sacri, ecc. Una percentuale va al parlamento cattolico cantonale (Sinodo} per le necessità diocesane, fra cui lo stipendio al vescovo, in terzo luogo viene devoluto a bisogni sociali. Poi qualcosa andrà anche al Vaticano per spirito di corpo, ma con piramide rovesciata. Cioè i primi a usufruire delle tasse del culto sono i contribuenti locali, poi via via si sale verso l'alto o verso l'esterno. Ma dal Vaticano i preti zurighesi non ricevono il becco d'un quattrino, anzi sarebbero tenuti ad un'operazione inversa.
Ovvio che la serata di Uster conducesse ad una conclusione altamente positiva: quella di indurre i nostri connazionali cattolici in possesso del doppio passaporto a candidarsi nelle amministrazioni delle chiese locali. Come giustamente ebbe ad osservare S. Dugo, del Comitato ACLI organizzatore dell'iniziativa, si tratta di fare un discorso politico, nella struttura bisogna entrarci, è nella stanza dei bottoni che si conta e dove si possono cambiare le cose.  Qui non serve fare i singolari. Tutte le missioni e i missionari dello zurighese ed oltre dovrebbero fare comunità per un obiettivo altamente promozionale in favore degli stranieri: si colga l'occasione propizia.

Autore:
Albino Michelin
14.12.2001

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