sabato 5 dicembre 2015

MISSIONARIETÀ È ANCHE LINGUAGGIO

Gli emigrati hanno fatto l'esperienza che quando in un determinato ambiente non si riesce a capire la lingua, nemmeno passa il messaggio culturale, cioè la rispettiva conoscenza sulle abitudini, la mentalità, usi e costumi della gente. Si resta fra mondi separati, gli uni estranei agli altri. Orbene questo meccanismo si avvera pari pari anche nella cosiddetta "missionarietà" cioè nel rapporto chiesa parrocchia-missione da una parte e mondo dall'altra. E per mondo possiamo intendere tutta una gradazione di contenuti che va dalla gente di fede, a quella laica, indifferente, e via via fino a quella sedicente atea. Oggi per esempio corre un po' dovunque fra di noi l'affermazione che la chiesa è il popolo di Dio e che tale popolo è il soggetto della pastorale, nel senso di agente attivo e corresponsabile. Tale è la sintesi del Convegno di aggiornamento organizzato a Varese dal 17 al 20 ottobre 2000. Questa affermazione è profondamente evangelica perché rivaluta la dignità di ogni persona dando al tutto una valenza meno clericale, meno parziale e più comunitaria. Essa tuttavia ha bisogno di un linguaggio adeguato e di una inversione di tendenza da parte di una mentalità cattolica rimasta per secoli (oggi si direbbe) a custodia cautelare. Non convince, non conviene, non rende sul piano operativo usare metodi superati ed arcaici ad un mondo che parla tutt'altra grammatica. Su questa linea si permettano alcune osservazioni costruttive, ad esempio "missionarietà e carta stampata". Nel quaderno informativo dal titolo "Missioni e missionari in Svizzera" edito nel '98 a pagina 71 viene presentata in esteso la biografia di Papa Wojtyla. In gergo lapidario egli viene corredato da una sontuosa nomenclatura, a tutta facciata, fra cui "Sovrano dello Stato Città del Vaticano". A parte il fatto che va ringraziato il mondo internazionale laico per la sua disponibilità ad includere negli stati moderni anche quello vaticano in cui non è riconosciuta residenza legale a donne e bambini, tutto il nostro testo sembra pervaso dalla preoccupazione unilaterale di una chiesa verticistica, istituzionale, in cui la distanza dai fedeli (l'inflazionante popolo di Dio) risulta fra le righe abissale. Anche il nostro linguaggio della carta stampata dovrebbe meglio manifestare la realtà di comunione e unità pastorale in direzione verticale, cioè la chiesa gerarchica come luogo di accoglienza, di verifica, di sostegno dei carismi del popolo credente. Ma senza troppi medaglioni onorifici, perché questo è linguaggio arcaico, appropriato ai lontani tempi degli imperatori. Inoltre è controproducente attribuire al rappresentante della nostra cattolicità il mito del Re, del "totalmente altro" e dell'intoccabile, in quanto sul piano pratico rischia di fomentare inutile anticlericalismo, polemiche, ironie. Vedasi gli attuali contenziosi circa il Concordato, la estraterritorialità, la foresta di antenne vaticane disseminate nella città di Roma. Ci si presenti dunque anche nei carteggi e nella carta stampata la biografia di un Papa più umile a senza fronzoli e la nostra pastorale sarà più credibile. Un'altra osservazione concerne il linguaggio maschile. Cioè il diritto­ dovere dello spazio donna nella chiesa. E' un discorso ricorrente, ma con implicanze nuove. Forse non tutti sono informati che dall'anno 2000 nel seminario di Coira, dove si preparano i preti della nuova generazione, docente di teologia dogmatica e fondamentale sia una donna, la trentaseienne Eva Maria Faber. Da salutare con entusiasmo questa paritetica collocazione della donna nella Pastorale, fatto che potrebbe costituire un incentivo anche alle nostre 121 suore, religiose, missionarie Italiane di Svizzera. In effetti difficile reperire ancor oggi una donna consacrata per una conversazione domestica su Gesù e la donna e ciò dimostra come le nostre consorelle soffrano ancora di una sudditanza psicologica clerico-maschile e che ci rimane un elevato margine onde promuovere o permettere la formazione culturale delle nostre suore (un esercito!) a livello universitario, biblico e teologico. Anche questo potrebbe significare unità pastorale, cammino di comunione, non tanto geografico o di accorpamento territoriale, quanto di mentalità e di valori. Il linguaggio femminile dà alla missionarietà quel plus di psicologia e di rapporto umano, che talvolta ai maschi fa difetto. Una terza osservazione riguarda il fenomeno più o meno latente delle chiese parallele. Cioè i rapporto missione italiana-parrocchia svizzera. Chi è nato nel Veneto conosce Il detto popolare che definisce il prete "Don Fasso tutto mi". Ora trovarci qui nelle parrocchie locali in cui laici, operatori pastorali, teologi, sposati o meno, dirigono una comunità cattolica ci sentiamo un po' fuori della nostra pelle. In effetti il "Don Fasso tutto ml" è stato formato alla gestione unica ed insindacabile del potere sacro. Vedersi del laici accanto lo considera quasi una forma di concorrenza e di indebita ingerenza. E di qui la tentazione di applicare l'istruzione vaticana del 15.8.97 (dal titolo La collaborazione dei laici ai ministri ordinati) nei senso più restrittivo. Ma anche al riguardo non sembra possibile oggi fra di noi in terra elvetica una missionarietà senza questo nuovo linguaggio. Ed un ultima osservazione. Dato che il Delegato nazionale del Missionari lo è pure delle Missioni, quindi indirettamente anche dei rispettivi gruppi di chiesa e Consigli Pastorali, si auspica che l'elezione del prossimo Delegato per Il periodo 2002-2007, sia esso di nuovo conio o successore di se stesso, venga ovviamente nei modi ritenuti più opportuni e adeguati discusso in antecedenza anche dal laicato interessato, per quanto concerne il servizio e l'orientamento da garantire. Pure questo in coerenza con Il documento ufficiale del su citato Convegno di Varese, in cui all'Interno dell'Unità Pastorale si delinea Il popolo di Dio quale soggetto attivo e corresponsabile della evangelizzazione. Anche su tale argomento la missionarietà ha un senso pieno se trasmessa con questo linguaggio: la partecipazione.

Autore:
Albino Michelin
15.05.2001

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