sabato 5 dicembre 2015

IL PRETE OGGI: VOCAZIONE O PROFESSIONE?

È uscito recentemente un libro "Priester 2000" (Preti del 2000) in cui si divulgano alla stampa i risultati di una maxi indagine condotta nel giro di alcuni anni fra 3.000 sacerdoti impegnati nelle parrocchie di Germania, Austria, Svizzera, Croazia e Polonia, praticamente nel bacino dell'Europa centrale ed orientale. Che non sia stata inclusa l'Italia dipende probabilmente dal fatto che i preti italiani per antica cultura si ritengono forse intoccabili, insindacabili. Deputati per missione a confessare gli altri rimangono un po' restii e renitenti a confessare se stessi agli altri, comunicare loro i propri sentimenti, collocarsi all'interno di una realtà di cui tutti fanno parte. Non mi accingo alle seguenti riflessioni per chiedere compassione comprensione o gratificazione a favore dei preti, ma semplicemente per divulgare una informazione che tutti coinvolge. In effetti parlare di preti significa parlare dì chiesa, e quindi anche della gente che ad essa vi aderisce o accede sia pure in casi eccezionali come battesimi, matrimoni, funerali. Nella fattispecie si tratta di un'interazione reciproca. Tredici le domande del questionario dalle cui righe emerge non tanto un giudizio morale sul comportamento dei consacrati quanto una foto di famiglia, lasciando a ciascuno di tirare le proprie conclusioni in materia. Emerge non tanto quello che il prete dovrebbe essere (a ciò sono sufficienti le lettere papali), ma quello che lui stesso oggi si sente di essere. E questa è una novità in assoluto. Ovvio che non ne esca un'immagine uniforme di ecclesiastico, stante anche le diverse collocazioni ed estrazioni. In effetti le risposte di un addetto ad una parrocchia di campagna non possono coincidere con quelle di un incaricato in un centro ricupero drogati. Ne risulta un quadro complessivo ed approssimativo di 4 categorie o tipologie. La riserva è d'obbligo in quanto queste non sono rigidamente separate fra di loro, un prete potrebbe appartenere un po' a questa ed un po' a quella, e collocatosi in una categoria potrebbe col tempo passare ad un'altra. Ma vale la pena elencarle scegliendo un criterio cronologico, anziché numerico e d'importanza:
                             Una prima categoria è quella del prete “uomo di Dio”,
                             cioè eterno, senza tempo o fuori del tempo
Egli si autodefinisce "alter Cristus" (un altro Cristo), chiamato, eletto, prescelto, consacrato da Dio e separato dal mondo. Il suo sacerdozio è eterno e non conosce sviluppi o adattamenti storici. Il suo compito è eminentemente cultuale: la messa quotidiana considerata come sacrificio di Cristo per l'espiazione dei peccati, da celebrarsi anche senza la partecipazione di chicchessia, in perfetta solitudine. In secondo luogo la confessione e via via tutti gli altri sacramenti. Chi non vi si accosta è lontano dalla chiesa, fuori della quale non c'è salvezza. Dogmatico, custode e guardiano della retta fede considera ateismo e attacco alla persona di Cristo ogni obbiezione da parte della gente verso il suo operato. Mal digerisce la formulazione del Concilio Vaticano II (1965) che "l'insieme dei fedeli non può sbagliarsi nel credere". Identificato con la gerarchia è scettico nei confronti della sinodalità, cioè nella conduzione comunitaria e partecipata della parrocchia. Di fronte ad essa si sente "Padre padrone", prete re, fa e disfa a suo piacimento il consiglio pastorale e i gruppi di collaboratori. Si dichiara principalmente "per" la comunità, non "con" la comunità. La sua immagine biblica di riferimento è il Buon pastore, condurre le pecore all'ovile, la gente alla chiesa. Molto meno portare la chiesa fra la gente. Anche se molti potrebbero definirlo prete tradizionale o all'antica, tanto antico non è, perché la sua figura risale al 1563 quando il Concilio di Trento istituì i seminari, pensati come vivai del sapere e baluardi contro la riforma protestante. Prima per 1500 anni il suo ruolo e la sua collocazione erano stati piuttosto flessibili. Tendente al pessimismo, vede nero l'orizzonte moderno cui si contrappone in modo viscerale. In cerca di chiarezza, certezze, sicurezze si difende con l'intolleranza verso il pluralismo delle idee e delle religioni e con il fondamentalismo. Preoccupato di dare buon esempio dimostrandosi cedro del libano, roccia senza crepe, strenuo difensore del celibato ecclesiastico. Non crea equivoci e pubblicamente si fa riconoscere attraverso l'abito talare o completo nero con colletto e croce all'occhiello. I nostri autori riferiscono che circa il 25 % (= 1 su 4) dei preti in Europa centrale e il 33 % (= 1 su 3) in quella dell'Est hanno espresso di se stessi queste opinioni. Praticamente questa prima tipologia di prete era quella comune della nostra cultura e letteratura fino a al 1950. Le tre seguenti, raggruppanti il 75-65% degli intervistati, sono piuttosto di recente configurazioni.
                               Situati nella seconda categoria sono gli ecclesiastici
                               che sentono il prete come “uomo di Dio aperto al tempo”
Qui il sacerdote si autodefinisce meno con le espressioni simbolo dello stato sociale "sacerdote" o "chierico", meglio invece come presbitero (cioè anziano, consigliere di fiducia). Non si tratta solo di un semplice cambiamento di vocabolo, ma di una nuova comprensione e collocazione, in pratica un ritorno al ruolo biblico presentato dalla prima comunità cristiana. Non si ritiene un altro Cristo ma con referenzialità ed esso vive nella dedizione alla comunità! Per lui il ministero sacerdotale, anche se come nucleo voluto da Gesù, ha subito lungo la storia sviluppi e adattamenti ed ancora ne subirà. Il sacerdozio non appartiene ad una casta, ma è comune a tutti i fedeli anche se con mansioni diverse. Questo prete non soggiace all'ansia del sacramentalismo (messa, battesimo, confessione, matrimonio in chiesa ecc.), ma dà la precedenza all'evangelizzazione e all'annuncio, mediante rapporti accoglienti con i non credenti e con le altre religioni. Non vede il mondo diviso in buoni da conservare e in cattivi da abbandonare a satana, ma in ogni uomo del bene da coltivare e del male da eliminare. Non considera la sua vita una vocazione (realtà a cui ogni cristiano è chiamato), ma una professione nel senso etimologico del termine: professare un carisma e un impegno. I suoi modelli biblici sono ad esempio Elia, Eliseo, Mosè, ecc. cioè capacità di consigliare da un lato e forza sanante dall'altro. Con la comunità ha un rapporto sinodale, cioè il dialogo, cui riconosce il diritto ad un ampio spazio decisionale. Per lui la maturazione delle persone è più importante dell'organizzazione parrocchiale. Portato alla mediazione e alla conciliazione occupa spesso posizione direttive a livello territoriale. Ruolo collante, si situa alla soglia fra l'ambito sacro e profano, fra la tradizione e la situazione attuale. Non gli basta il buon senso, ricerca anche la competenza professionale. Perciò non si ritiene insostituibile e si programma periodi di riposo, di ricupero, di aggiornamento. In questa categoria si ritrovano il 50% dei preti dell'Europa centrale e il 45% di quelli dell'Europa dell'Est.
                               Una terza tipologia è caratterizzata da quella parte del clero
                               che definisce il prete” Uomo di chiesa vicino al suo tempo”
Come si nota abbiamo dei sensibili passaggi dalla prima categoria "prete altro Cristo”, alla seconda "prete uomo di Dio", alla terza e poi alla quarta "prete uomo di chiesa", cioè della comunità e con la comunità. Non si tratta di un calo verso il laicismo, ma di una propensione verso l'incarnazione con la realtà in cui si opera. L'appartenente a questa terza categoria si sente più testimone e animatore che parroco, più seminatore che organizzatore. Per una maggiore fraternità elimina volentieri il "don" dal suo nome cognome. Se gli manca la comunità non ritiene necessaria la celebrazione quotidiana della messa, e quando la organizza questa prende più l'aspetto di un'agape e di una cena del Signore che non del sacrificio della croce. Stima e valorizza i laici, tutto imposta sulla sinodalità e sulla corresponsabilità. Non si ritiene il padrone o il cardine del mondo. Non gli basta essere un consacrato o un uomo di Dio, ma più delle precedenti categorie si apre alla formazione permanente, alla cultura, ai segni dei tempi. A questa tipologia appartengono circa 15% dei preti interpellati, in genere assistenti giovanili, incaricati di gruppi associati laici e simili. 
                              Alla quarta categoria (circa 5% del clero) appartiene il prete
                              che si definisce ”Guida della comunità del suo tempo.”
Qui l’incarnazione nel mondo è totale e radicale. E’ una tipologia con un massimo di attualità ed un minimo di storia alle spalle. Ogni elemento clericale qui è del tutto assente, abbigliamento e segni di riconoscimento in primis o presente solo per la sua negazione. Il sacerdozio ministeriale per lui non è eterno, può venire esercitato solo temporaneamente. Rivaluta molto il sacerdozio dei fedeli e la struttura carismatica della chiesa senza attribuire un valore eccessivo alla sua consacrazione. Considera facoltativo il celibato del prete, normale il sacerdozio femminile, necessario lo sviluppo di ogni carisma dello Spirito nella comunità. La sua autocomprensione si modella sull'espressione di S. Paolo (2a Cor.l 24): "non siamo padroni della vostra fede ma i collaboratori della vostra gioia". Uomo di confine, cammina sul crinale dell'istituzione ecclesiastica. Raramente fa carriera, ma nemmeno la cerca. Tenta di superare i limiti della struttura mediante consapevoli e autocontrollati sconfinamenti dell'ordine attuale, esponendosi ovviamente a critiche ed emarginazioni. Per una grande e pesante organizzazione come è la chiesa egli ritiene importanti uomini del genere perché potenziali portatori di riforme, cui essa non può rinunciare. Bisognoso come ogni prete di spiritualità deve ricercare più degli altri momenti ed oasi rivitalizzanti. A questa tipologia appartengono i cosiddetti preti di strada, dei centri di ricupero, di frontiera.
                                                     Neoclericalismo
L'indagine si conclude con un riferimento ad un neoclericalismo di ritorno o di autodifesa. Un aspetto più evidente nell'Europa dell'Est, ma non assente nei nostri paesi e concerne i giovani preti. In quelle zone scomparso l'obbiettivo del comunismo, che per oltre 70 anni li ha posti in stato di assedio, improvvisamente si trovano a riprogettarsi in una società laica del consumismo. Aggiungi il fatto dell'ampliamento delle competenze pastorali attribuite ai laici, teologi, cooperatrici, catechiste che in molte parti come in Svizzera occupano spazi in precedenza riservati al prete, oggi ridotto quasi unicamente a proferire le parole della consacrazione alla messa. Aggiungi il fatto di vedersi strumentalizzato soltanto a supporto del celibato e si spiegherà come tutto ciò possa causare in lui una perdita d'identità. E di qui la risposta con la tendenza alla riaffermazione di sé stessi attraverso il ricupero di un certo autoritarismo, dogmatismo, abbigliamento di categoria, scetticismo verso la modernità, riproponendosi inconsciamente un programma del lessico di chiesa del 1854 che suonava:” la dignità del prete è la più alta pensabile, unica. Egli deve esserne necessariamente orgoglioso". E' questo un nuovo clericalismo, non però di potere come il precedente (il prete è Dio), ma di autodifesa (se no, chi sono io?). Da augurarsi che questa indagine possa essere resa sempre più di dominio pubblico anche nell’interesse delle comunità che sempre più esperimentano una evoluzione irreversibile.

Autore:
Albino Michelin
07.09.2001 

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