mercoledì 9 dicembre 2015

UN’ALTRA GUERRA PER IL CROCEFISSO

Risale soltanto ad un mese fa la decisione di un insegnante delle scuole di Medie di Melana (La Spezia) di rimuovere dall'aula il Crocefisso per non turbare la sensibilità di uno studente musulmano di 14 anni, per rispetto alle minoranze di religione diversa, in ossequio alla laicità dello Stato italiano che non intende identificarsi con il solo cattolicesimo. Protesta dei genitori e intervento della Preside per rimettere al suo posto il così indegnamente bistrattato nostro simbolo religioso. Altro caso analogo era successo nello stesso periodo presso la sede Consulta della Corte Costituzionale di Roma. Per motivi di restauro il presidente Ruperto lo tolse e ad opera eseguita vi appese al suo posto un quadro della Sacra famiglia, motivando anche qui il suo gesto con il fatto che il cattolicesimo non è più da tempo religione di stato. Sempre sulla stessa linea lo scorso anno uno scrutatore si rifiuta di presenziare un seggio elettorale in un'aula scolastica dove era appeso un crocefisso. Lunedì sera 22 ottobre 2001 furibonda polemica televisiva "Porta a Porta" di Bruno Vespa. L'intervistato Abel Smith, presidente dell'Unione Musulmani d'Italia, premettendo che il cattolicesimo è una religione politeista e idolatra, esce testualmente con quest'espressione: "i cristiani adorano un cadaverino in miniatura appeso ad un pezzo di legno, tale da turbare la sensibilità dei bambini". Provocazione che suscitò l'ira furibonda di mezza Italia, tant'è vero che la sera seguente il conduttore ebbe a rammaricarsi dolente per essere stata quella la trasmissione più ignominiosa dopo la strage di New York dell'11 settembre. Dunque alla guerra dell'Afghanistan e a quelle che seguiranno bisogna aggiungere ora anche la guerra del Crocefisso. Certo esso è stato il simbolo della nostra civiltà, della nostra cultura e della nostra identità occidentale, ma che lo continui ad essere alcuni cominciano ora ad opporre delle obbiezioni. Va da sé che la croce è un simbolo antichissimo e carico di significati collettivi ed universali. Difatti viene riconosciuto dalle più remote antichità quale punto d'incontro del piano orizzontale e verticale, delle quattro direzioni del mondo: nord, sud, est, ovest, settentrione, meridione, oriente, occidente. Misura e sintesi, nella croce si congiungono cielo e terra. D'origine indoeuropea, esso significa quindi "bonjour a tout le monde", come dicono i francesi (buongiorno a tutti), cioè salute, felicità, prosperità. Nel tempo poi vi si esplicitarono i significati con diverse configurazioni, croce di S. Andrea a forma di x, croce di Malta a estremità incavate, croce celtica inserita in un cerchio da cui le sue estremità debordano a significare l'abbraccio universale, croce ugonotta che porta come pendaglio una colomba, croce ortodossa con tre braccia orizzontali di cui la terza obliqua, croce uncinata (svastica) benefica se la curvatura delle braccia volge a destra, malefica se volge a sinistra, croce ansata degli egiziani ad indicare la vita eterna. Croce che con tutti questi simbolismi, sia pure inconsci, viene oggi portata al collo, un po' per fede, un po' per scaramanzia, un po' quale monile ornamento. Lo esibiva anche una certa principessa parigina che trovatasi ad un ricevimento di gala di fianco al futuro papa Giovanni XXIII si sentì da questi complimentare: "bella o principessa la sua croce, ma molto più bello il suo Monte calvario". Con i romani la croce assunse anche l'altra faccia, dall'amore all'odio, e diventò il patibolo dei malfattori e degli schiavi: quello che toccò in sorte anche a Gesù Cristo. Il motivo del contendere sul crocefisso esposto nei luoghi pubblici, come da noi descritto nei casi all'inizio, presenta alcuni risvolti che non vanno ignorati. Nel Regio Decreto del 1922 si fa obbligo di appendere in modo visibile nei luoghi pubblici questo simbolo in quanto il cattolicesimo veniva allora considerato religione di stato. Questo per la storia. Ora però ci si trova invasi da una quantità di religioni, ciascuna con i suoi simboli più diversificati. Ovvio che chi arriva da altri mondi ha da rispettare la cultura della nostra maggioranza, finché essa resta tale. E questa è prioritaria al rispetto delle minoranze. Se un domani i numeri in Italia gireranno, si cambieranno anche iconi. Importante è spiegare il significato dei vari simboli cosicché l'informazione a tutto campo divenga arricchimento per tutti e rispetto per ciascuno. Ma facciamo un passo più avanti. E' veramente l'Italia di oggi ancora un paese credente che ha bisogno del crocefisso sui muri per mantenere e testimoniare la propria fede o è diventata talmente laica da usare del crocefisso solo come pretesto di superiorità verso i gialli, i neri, gli arabi, gli induisti, i musulmani? Come bandiera da sventolare sotto il naso di tutti che la civiltà nostra occidentale è superiore alle altre? Che in tutta questa canea non ci sia anche del fariseismo? Da rispettare la sensibilità del lettore, ma francamente questo crocefisso appeso ad ogni parete come un arredo archeologico, o nelle osterie fra tintinnar di bicchieri e ubriachi, o cacciato in tutti gli angoli, scaffali e sottoscala fa pena. E poi vederlo nelle aule dei tribunali a campeggiare sul programma, mezzo slogan e mezzo spot: "La legge è uguale per tutti" fa salire il sangue alla testa. Perché è a tutti noto che se esiste un luogo dove la giustizia in Italia sta diventando sempre più ingiustizia, specie per chi non ha quattrini per comperarsi amicizie che contano, questo è proprio l'aula del tribunale. E lo si vorrebbe sotto gli occhi del crocefisso ad abbracciare tutti, truffatori e truffati ad un tempo? I magistrati lo stacchino pure dal muro quel crocefisso, non se lo lascino sempre dietro la schiena, ma se lo mettano davanti agli occhi oppure dentro la coscienza. Allora rimuovere il crocefisso dai luoghi pubblici? Per rispetto alla nostra storia e alla nostra identità culturale, forse ancora no. Ma per rispetto a lui certamente sì. Infine un argomento tipico ad hoc per i credenti. Allorché io venni in Svizzera nel 1956, come tanti, ebbi un sussulto in fondo al cuore nel vedere che sopra il campanile delle chiese protestanti svettava il gallo anziché la croce. Lo shock con il tempo si mitigò soprattutto quando ci si spiegò che il gallo significava l'animale del mattino, che canta prima del sorgere del sole, che invita a svegliarci e a vigilare sui nostri comportamenti per il giorno che viene. Per noi cattolici il crocefisso è il simbolo del dolore umano, della debolezza che vince sulla forza, della violenza che viene sconfitta il Venerdì Santo. Però dimentichiamo che il messaggio del cristianesimo non si fonda sul Venerdì Santo ma sulla pasqua. Il crocefisso, introdotto nella chiesa solo nel Medioevo avanzato, presso le masse popolari costituì un eccessivo supporto al fatalismo, al dolorismo, al piagnisteo, all'autoflagellazione, alla fuga dal mondo. Certo la Pasqua senza Venerdì santo è un'utopia. Ma il venerdì santo senza la Pasqua è uno strazio senza rimedio. Che senso ha, intanto, vivere, lottare se tutto finisce e si perde fra il grido di un impiccato sul Golgota? Sì parla troppo dì croce e di crocefisso, poco di Risurrezione. Questo sarebbe il vero simbolo da rivalutare: non rievoca fantasie di morte, ma fonda la speranza e costruisce il futuro.

Autore:
Albino Michelin
07.12.2001

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