lunedì 14 dicembre 2015

LE INQUIETUDINI MORALI DEL NOSTRO TEMPO

Oggi anziché di morale si preferisce parlare di moralizzazione. Si evita la parola "morale" allorquando va riferita a se stessi. In effetti, ciascuno di noi se la cava dicendo "io ho la mia morale, la mia coscienza, i miei principi e so come comportarmi. Non amo ingerenze". Si preferisce invece riferirsi alla moralizzazione, in quanto non tocca me ma gli altri. Per questo invochiamo la moralizzazione della politica, degli affari, del calcio, della globalizzazione, del mercato, della pedofilia e quant'altro mai. Un tempo la morale o il senso morale veniva passato ai figli e alle nuove generazioni mediante le tre categorie classiche di potere: la famiglia, la chiesa lo stato. Questi trasmettevano dei precetti attorno ai quali si creava un'etica civile, cioè di costume, una serie di comportamenti, la cui accettazione diventava ovvia. Nessuno reagiva, e chi apriva bocca veniva sistemato e all'occorrenza anche mandato al rogo, vedi gli eretici. Oggi invece l'autorità, la fonte morale del bene e del male è passata da queste categorie al singolo individuo, all'io. Ognuno di noi è agenzia morale per se stesso, autoreferenziale selfservice, fai da te. Nessun riferimento più ad altre componenti sociali o religiose, Sono io che decido ciò che è bene o male, ciò che è giusto o ingiusto ciò che è da farsi o meno. Il soggetto, portatore di diritto, che va rispettato per le opzioni scelte sono io, piacciano o non piacciano agli altri. lo sono il soggetto libero, il mio giudizio è sovrano e non ammette turbative di sorta da parte del super io, cioè della famiglia, della Chiesa, della società. Si scopre poi ad un primo esame superficiale che questo giudizio sovrano è molto poco libero, anzi è succube e smaccatamente schiavo di un conformismo acritico, dell'occhio sociale, del fan tutti cosi. Giudizio privo di convinzioni interiori, riflettute, maturate, soltanto frutto acerbo di convenzioni alla moda. Se poi ci si analizza in profondità si trova che questo "io, principio morale" s'identifica con il proprio desiderio, con l'erba voglio, quella che un tempo esisteva solo nel giardino del re. Cioè è morale, giusto, sacrosanto tutto ciò che io desidero. Il mio desiderio diventa un diritto dovuto alla mia dignità. Cartesio qualche secolo fa diceva: "penso, quindi esisto". Oggi l'uomo moderno grida: "desidero, voglio perciò esisto". Di qui nasce tutto un circolo vizioso: desiderio-tecnologia-prodotto, consumo-desiderio, e avanti all'infinito. Il ragazzino desidera il telefonino, la tecnologia glielo produce, il piccolo utente lo consuma, si stanca. Rinasce il desiderio del videofono e avanti nella spirale. Inoltre non ci si accorge che questa mentalità nasconde interpretazioni e decisioni pratiche radicalmente diverse: in effetti, che significa dignità? Ogni mio desiderio deve essere soddisfatto in nome della mia dignità? Una persona oggi è degna perché e bella, giovane, sa parlare, è siliconata, liftata, ha memoria, ha soldi, carisma, fa carriera? Allora non ha dignità e diritto chi fra di noi è anziano, brutto, rugoso in fronte, chi ha perso la memoria, con il morbo di Alzheimer, il disabile? Ha fatto impressione qualche tempo fa un caso accaduto in Francia allorché un figlio handicappato ha citato in tribunale i genitori per averlo messo al mondo in quel modo.
                                                    Diritti propri e diritti altrui.
 Qui gli esempi si moltiplicano. Se morale è tutto ciò che coincide con il desiderio di ciascuno come la mettiamo con l'educazione dei figli? Un genitore che si permette una sculacciata al bambino perché combina un sacco di pasticci potrebbe essere dal pargoletto denunciato per lesione ai diritti del fanciullo. D'altra parte il padre non potrebbe invocare il diritto all'educazione del minore? Altro esempio: io donna single desidero un figlio. Diritto sacrosanto. Poiché non voglio maschi tra i piedi, mi vado a cercare uno di avventura che me lo faccia e poi lo licenzio. Domanda: ma non ha pure il bambino di diritto ad un padre, a delle relazioni affettive normali con un'autorità paterna? E' il bimbo solo fufi, cagnolino di mamma? Altro caso: io signora x mi trovo incinta, per motivi personali non voglio un figlio, desidero abortire. Il mio desiderio è l'unico giudizio morale. Quindi abortisco, è un mio diritto, sono io responsabile della mia pancia. Domanda: non esiste per caso anche il diritto del marito, del compagno, del convivente, ecc.? Non esiste anche il diritto del bambino, cioè dell'altro non voluto e rimasto indifeso? Certo il bambino è nella tua pancia, ma non è più la tua pancia! Esempio sull'economia: io soggetto libero desidero ottenere il massimo profitto dalla mia azienda. Quindi il mio desiderio è un diritto e va rispettato. Di conseguenza lavoro in nero, non fatturo la produzione, addomestico i bilanci. Domanda: non esiste anche il diritto altrui a non venir danneggiato dalle tue evasioni fiscali? Gli esempi si potrebbero moltiplicare all'infinito sino ad includere il desiderio-diritto di una civiltà ad armarsi, di inventare guerre per armarsi, sino a creare un mondo invivibile. Qui purtroppo risiede l'inquietudine morale del nostro tempo: ognuno è principio morale di per se stesso, alla società ci si rivolge solo per proteggere i supposti propri diritti. Per cui tutti pensando e comportandoci così abbiamo una rissa di querelanti, con codazzo di giudici e di avvocati, con dovizia di tribunali. E questa è diventata la convivenza umana: il risultato di aver posto l'io, il soggetto come unica fonte di moralità, principio di dignità.
                                                     Possibili vie d’uscita
Forse non sarebbe male ribadire un principio: il desiderio proprio è sacrosanto, il diritto proprio ancor di più. Però va rispettata anche la verità dell'uomo in tutte le sue dimensioni, che sono orizzontali e di relazione con gli altri, che sono anche trascendenti di relazione con Dio. Ma non voliamo troppo in alto su nel cielo, restiamo sulla terra. Cioè la morale, che un mio comportamento sia giusto o sbagliato, che un mio desiderio sia legittimo o meno dipende anche dagli altri. La moralità di un'azione è frutto anche di una solidarietà costruttiva con la realtà umana che mi sta attorno. In effetti, io non mi appartengo, o non appartengo solo a me stesso, ma anche agli altri. Lo dimostra il fatto che io degli altri ho pure bisogno. Del panettiere, del barbiere, del dottore, dell'agricoltore, del banchiere, ecc. Nella problematica in questione entrano in conto quindi il confronto con la storia, le tradizioni, le motivazioni, i fondamenti esistenziali, il contributo delle varie religioni, il messaggio dei vari fondatori delle stesse. Superare gli steccati e i recinti dell'erba voglio, andare oltre. In questo senso oggi le chiese in quanto comunità di fede e di retto comportamento possono giocare un ruolo importante. Ricordando però che nulla è più controproducente delle imposizioni esteriori e pianificatrici. E per noi cattolici proporre il vangelo con i suoi messaggi come realtà desiderabile, come un bisogno per l'uomo e benefico a tutti i suoi livelli. Sottolineando che ogni gioco, anche quello di briscola, ha le sue regole. Le regole sono essenziali al singolo e alla collettività. Come dice il grande striscione autostradale, passata la frontiera svizzera verso Milano, di benvenuto in Italia: “rispetta le regole, ama la vita". 

Autore:
Albino Michelin
02.04.2004

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