lunedì 28 marzo 2016

DAL NATALE CATTOLICO AL NATALE MULTIETNICO: STORDITO ANCHE IL BAMBINO GESÙ

Ogni anno in Italia nel periodo natalizio deve innescarsi una polemica da ring circa i simboli religiosi, e non tanto per il loro riferimento a Gesù Cristo (che a molti interessa poco o non interessa più), quanto per mettere all’angolo le minoranze etniche e religiose nel nostro paese. Come dicono tanti bravi cattolici:” non bisogna darla vinta a quelli là.” E’ il nostro virus ideologico a scadenza annuale fissa. Forse vale la pena questo problema “integrazione” metterlo a confronto con esperienze della vicina Svizzera, con il suo 22% di stranieri, (in cui lo scrivente risiede da anni), e il processo avvenuto, non ancora terminato dal dopo guerra 1950 circa ad oggi. Questo non tanto per sterile concorrenza, quanto per uno scambio di esperienze. Per evitare dispersione conviene limitarsi al “Natale nelle scuole”, tralasciando presepio e crocefisso e relativa celebrazione nelle chiese. E qui va subito fatta una premessa: la scuola in Italia è laica e tale deve restare. Ma organizzare una conferenza in una struttura parrocchiale su questo tema si arrischia grosso, perché il pubblico ti si solleva contro ribattendo:” falso, la scuola in Italia è cattolica perché cattolico è lo Stato italiano”. Dispiace, ma qui siamo sul falso del falso.  In effetti la Costituzione italiana promulgata il 27.12.1947 dice:” Tutti i cittadini hanno pari dignità senza distinzione di sesso, razza, religione (art.1). Lo Stato e la chiesa cattolica sono ciascuno nel proprio ordine indipendenti e sovrani (art.7)”. Bisogna ritornare a Benito Mussolini, pieno fascismo, 11 febbraio 1929, in cui il nostro capopolo decretò:” la religione cattolica apostolica romana è la sola religione di Stato. ” Ovvio il nostro presidente del tempo aveva in testa la purezza della razza italiota, e quindi con le sue leggi antisemite bando agli ebrei, e bastardi barbari del genere. Peccato che anche Papa Pio XI ci cascò e sottoscrisse con il concordato. Ma la Costituzione italiana 18 anni più tardi invalidò tale decreto. Scuola laica non significa abolizione del sacro, ma aperta e accogliente a tutte le varie espressioni del sacro. E qui già salta fuori un equivoco: la scuola italiana ha nel suo programma un’ora di religione (anche se libera a certe condizioni), nella quale l’insegnante è pagato dallo stato ma scelto e controllato dalla chiesa: deve insegnare catechismo cattolico o altre problematiche attraverso l’ottica cattolica. Indicato per una integrazione delle minoranze sarebbe invece un’ora obbligatoria di „Cultura delle religioni” in cui ogni etnia e confessione senza proselitismo apprende quella degli altri, diversa dalla sua, così si impara a conoscersi, rispettarsi e lentamente integrarsi. Invece per gli aspetti specifici della propria religione in altro orario i cattolici potranno andare in chiesa, i musulmani nella moschea, gli ebrei nella sinagoga, i buddisti nella pagoda. Ma la scuola deve dare voce a tutte le religioni, paritaria anche per quelle delle minoranze.
                                               I casi di Sassari e di Padova.
Per quanto riguarda le mani sulla scuola da parte dell’autorità ecclesiastica, scalpore ha fatto il diniego degli insegnanti al Vescovo Paolo Atzei di fare la visita pastorale natalizia 2015 a San Donato di Sassari. Motivo addotto: gli scolari cattolici sono 128, gli stranieri 124. Gli insegnanti sono riusciti a raggiungere un certo equilibrio multietnico per non radicalizzare la reciproca convivenza, ed un prelato cattolico potrebbe metterlo a rischio o richiedere magari la visita paritetica del rabbino, dell’iman, e di altri ancora, e la processione non finirebbe più. La risposta del Vescovo:” un becero modo di pensare che appartiene a decenni ancora fermi a 50 anni fa”. La difficoltà di questo Pastore a recepire la laicità e l’autonomia della scuola e il suo ruolo per l’integrazione. Un secondo motivo per il diniego al Natale multietnico risiede nella reciprocità. Così espressa: questi stranieri e arabi vengono qui da noi e vogliono abolire le nostre tradizioni religiose. Ma a noi nei loro paesi non è concesso altrettanto, anzi ci proibiscono tutti i simboli e ci perseguitano. Si risponde che il paragone non tiene più di tanto. Nel senso che loro sono venuti qui perché noi avevamo bisogno di mano d’opera specie per i lavori più umili (pulizie), inquinanti (concerie), pesanti (raccolta di agrumi). E perché questi lavori noi non li si voleva fare, ma specialmente perché con loro si aumentava il nostro benessere economico. Per i soldi insomma, braccia sì uomini no. Gli arabi invece non ci hanno mai chiamati a lavorare nei loro territori, noi ci siamo andati a colonizzare, convertire, sfruttare. Magari ci abbiamo stretto anche amicizia che continua bellamente ancora con molti stati per venderci le armi e acquistarci il petrolio. Non si dimentichi che il mercato d’armi in quei paesi ammonta a oltre 8 miliardi e che noi siamo i primi esportatori d’armi alla Siria, che poi per contrabbando vengono rivendute all’Isis. E così il terrorismo ci viene in casa nostra e ci sbanca con le nostre armi. Quale reciprocità? Ed ancora “no al Natale multietnico” causa le moschee. Perché loro vogliono costruirsi le moschee dove predicano l’odio contro di noi? Intanto venirci incontro permettendo loro preghiera e ramadan è un modo per non peggiorare i reciproci rapporti. E’ premessa per una migliore convivenza. Anche i mussulmani pagano le tasse, anzi non le evadono come gli italiani, aumentano il nostro Pil. Non dimentichiamo che molte missioni cattoliche italiane in Svizzera sono state costruite anche con i soldi dei cantoni locali, vedi Basilea ed altre. Nelle moschee predicano l’odio? La cosa va controllata. Ricordo che negli anni 1975-80, nel periodo delle brigate rosse in Italia, gli svizzeri temevano ci fosse qualche infiltrazione segreta fra loro e noi italiani di qui. La Sicurezza elvetica ha programmato una serie di controlli nelle associazioni e nelle missioni cattoliche, intercettazioni telefoniche comprese. Ad esempio ogni domenica per un certo periodo venivano due operatori alla messa che si celebrava in italiano per rispetto alla nostra cultura, con registratori, documentavano tutto dalla A alla Z e riportavano nei loro uffici per la traduzione. Io stesso alla fine venni a sapere che alla mia messa per due anni fui controllato dal segno di croce iniziale all’andate in pace. La stessa cosa andrebbe fatta nelle moschee italiane, dove per rispetto alla loro cultura va predicato in arabo. Per la traduzione si possono assumere degli interpreti a conoscenza dell’arabo, e non dei nostri politici prevenuti. Chi semina odio lo si manda a casa. Ma le generalizzazioni a sproposito sono solo polemica pretestuosa, intolleranza del diverso, sono razzismo. Il seme ideologico in versione cattolica del terrorismo Isis. Chiarite tali premesse si arriva agli episodi contro il Natale multietnico del dicembre 2015. Tutto orchestrato ovviamente dagli adulti, dai genitori i cui bambini, puri da equivoci, imparano già il virus dell’intolleranza. Un mal di pancia continuo nei media e in TV fomentato da certa politica. Quelli là vogliono azzerare le nostre tradizioni, questa è un’altra guerra santa, non dobbiamo tradire il nostro passato, guai a fare passi indietro. Altro caso va qui citato: il neo vescovo di Padova Claudio Cipolla ebbe a dire:” nelle nostre tradizioni natalizie possiamo fare anche qualche passo indietro per non urtare eccessivamente la sensibilità dei nostri ospiti”. Subito il governatore del Veneto Zaia, novello Mosè e l’Unto del Signore, a bacchettarlo e tentare di indurlo a ritirare, come se il vescovo non conoscesse il vangelo o la parabola del Buon Samaritano o le parole di Gesù alla straniera Siro-fenicia.
                         I casi di Rozzano (Milano) e di Romano d’Ezzelino (Vicenza)
A Rozzano in provincia di Milano il preside non permette che durante la pausa del pranzo a che due maestre insegnino ai bambini canti religiosi natalizi. Subito dei genitori danno l’allarme, qualche giorno dopo si raduna davanti alla scuola mezzo parlamento italiano, con l’on. Gelmini cantare con voce garrula al cancello “Tu scendi dalle stelle”, l’on. Salvini, supporter della Lega (nata pagana nel dio Po, invecchiata vaticana a scopi elettorali), distribuire minipresepi e ruspette, donne regalare a tutti un bambinello Gesù di peluche. Sembrava la famiglia Brambilla, il coro meneghino, una macchietta in cui ci mancava solo la buon’anima di Totò. Loro mestiere invece sarebbe se costoro protestassero perché nella scuola di Rozzano i bagni sono senza porte, e le pareti mancano di intonaci. A Romano d’Ezzelino(Vicenza), peggio ancora. Ritorno ai tempi dell’inquisizione, sorta con Papa Lucio III al concilio di Verona, ma in pieno medioevo nel 1186, mica l’altro ieri. La preside delle Medie Montegrappa decide per un Natale multietnico sul tipo dell’anno precedente. Un canto italiano, uno arabo, uno ungherese, uno ebraico, uno africano. Incontro musicale multicolore che ai bambini piace un mondo e ai ragazzi delle medie pure, se ancora non completamente istigati e aizzati dai genitori. Siamo stati spettatori delle solite risse tra i fondamentalisti cattolici e gli altri aperti ad una sana laicità. Il sindaco Rossella Olivo chiede la scaletta dei canti e, quale neopapessa delle crociate natalizie, qua censura, là mette all’indice, là depenna, là concede il nulla osta. Difficile introdurre il concetto che un Natale multietnico nelle scuole non significa gettare il guanto e resa di fronte ai bambini stranieri, ma condivisione con loro di un’esperienza canora musicale, dal momento che Gesù non è nato solo per i veneti e i lombardi, ma per tutti gli uomini del mondo. Da rimarcare: non si rinuncia a nulla, nessun passo indietro, ma si condivide. Se non ora, a questa età, quando si preparerà all’integrazione? Ciò non esclude un concerto di Natale confessionale che i bambini cattolici e di altre etnie disponibili possono eseguire nella chiesa parrocchiale davanti al grande crocefisso e al presepio con genitori, familiari e il paese tutto.
                                                          Il caso di Monza.
Presso l’Ente cattolico professionale frequentato da fedi diverse il parroco don Marco Oneta decide di tralasciare la messa di Natale e programmare un incontro di riflessione con preghiere, canti, proiezioni a contenuto religioso. Passo indietro non digerito da alcuni insegnanti che parlano di deriva natalizia a cui il parroco risponde che la messa sta diventando un atto di culto troppo forte anche per dei cattolici che a messa ci vanno sempre meno, o non ci vanno proprio più. Quindi meglio una sostituzione più significativa. In definitiva la polemica di molti italiani che gli stranieri “devono” integrarsi sa di neocolonialismo. La nostra identità nel futuro globale che viene non sta nell’arroccarsi nel proprio mondo antico, ma conviverci che l’identità è inclusiva del “diverso” e che l’integrazione del diverso va preparata e accompagnata anche con qualche nostra rinuncia. Non è rinnegare il passato, non è privazione, ma condivisione e arricchimento.

Autore:
Albino Michelin
07.12.2015

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