lunedì 7 marzo 2016

LA COSCIENZA PRIMA DI TUTTO.

Mancanza di senso civico e illegalità in Italia continueranno chissà quanto, se non vi sarà un'inversione di tendenza, chiamata rifondazione della coscienza. Cambi di casacca, bugie disinvolte, tradimenti, "Vendo-la’" o "compero­qua", tariffari per finanziamenti di mutui, partite di caccia all'ultimo voto, urla scomposte delle tifoserie più agguerrite. Parlamentari che avevano promesso al popolo di difendere con il loro partito una serie di riforme e di proposte-legge e poi ti tradiscono per oscuri interessi: un vero mercato delle vacche. Anche gli italiani di Svizzera si devono ingoiare un certo Antonio Razzi, che eletto tra le file dell'Italia dei valori, (ma perdiana, nell’Italia politica esistono ancora dei valori?), se n'è andato ad accendere il cerotto al mortale nemico, (un tempo Berlusconi) correggiamo: avversario politico. Insomma ci manca qui la coscienza e nessuno mostra un sussulto per difenderla. Qualcuno dirà: ma che c'entra la politica con la coscienza? Si capisce: la coscienza non si può oscurare in nessun settore della vita. Quindi anche in politica coscienza significa fedeltà e coerenza ad un progetto iniziale con il quale ci si è presentati ai cittadini. Indipendentemente dal partito in cui si milita. Conveniamo pure che come il mondo, la società, così anche la realtà quotidiana è in evoluzione. E quindi una legislazione può essere reinterpretata, ma nel caso va spiegata bene ai propri sostenitori, e solo dopo diventerebbe accettabile un dissenso all'interno del proprio schieramento. Nel caso nostro invece, posto in questione, ciò che ha prodotto ed in futuro continuerà a produrre volta­faccia, non è stato il bene dei cittadini, ma interessi personali, da garantirsi salendo sul cavallo vincente. Quanto sopra, forse è solo un episodio, però ci induce a fare delle considerazioni in lungo ed in largo sul discorso "coscienza", inerente ad ogni tipo di comportamento. Da quello sociale, a quello religioso, a quello di chiesa, sul quale ultimo preferisco soffermarmi.
Anche San Giuseppe in conflitto fra legge e coscienza
Nulla da scandalizzarsi, diversamente non sarebbe stato un uomo Sposo di Maria, al suo conflitto fra legge e coscienza, diede la priorità alla coscienza anziché alla legge sacra di Mosè. Nel Vangelo di Luca al capitolo primo si legge della gravidanza di Maria. L'angelo le annuncia che diventerà madre per opera dello Spirito del Signore, senza concorso di un uomo. Nel Vangelo di Matteo invece al capo terzo non è Maria, ma Giuseppe il protagonista. Constatando che la moglie è incinta senza il suo intervento, decide secondo la legge sacra di Mosè di licenziarla per evitarle la lapidazione, in quanto palesemente adultera. Se nonché in sogno un angelo gli annuncia che quella gravidanza è opera dello Spirito Santo. Tralasciamo qui il perché della diversità dei due racconti e le relative spiegazioni, letterarie o simboliche. Quanto piuttosto ci interessa la convergenza: cioè che Gesù è frutto dello Spirito del Signore. Come in un certo senso più ampliato, tutti i bambini del mondo sono figli di Dio, anche se attraverso la mediazione, chiamata rapporto sessuale, o fecondazione artificiale, o altre tecniche che dir si voglia. Ma ciò che qui veramente ci interessa è la decisione e la scelta di Giuseppe. Mette in disparte la legge sacra di Mosè e dà la precedenza ai suggerimenti della sua coscienza. Cioè, l'eventuale errore, o trasgressione, o peccato (come lo si voglia chiamare) di una persona non va riparato con l'eliminazione della persona stessa che l'ha compiuto (nel caso Maria), ma con la compressione e l’accompagnamento. Quindi Giuseppe decide di obbedire a questa voce e non ostacolare in nome della legge un progetto che intuisce essere di Dio. Come non pensare nel leggere questo brano alle tante persone che chiedono di andare contro coscienza per obbedire alle indicazioni della legge di Mosè, o più concretamente oggi, alle indicazioni del Magistero ecclesiastico, quando con una certa frequenza e con poco dialogo tale magistero interviene per tutelare quelli che vengono definiti valori non negoziabili? Uno potrebbe anche semplificare tutto dicendo che basta obbedire ai vescovi e al Vaticano, così come sostenevano i farisei, per i quali bastava obbedire alla Legge e ai profeti. E' mistificazione e travisamento, preso di mira con una certa durezza da Gesù stesso, perché accettare acriticamente un'autorità esterna significa talvolta scavalcare alcune motivazioni di coscienza che restano sempre personali ed non trasferibili.
Per San Tommaso e Papa Ratzinger.
Su questo argomento anche S. Tommaso d'Aquino (1200), sommo dottore della chiesa, e punto referenziale della teologia e della morale cattolica, sostiene (vedi De Veritate Questione 17, articolo 5): "se vi è conflitto tra la parola del Magistero e la mia coscienza, sappia il dubbioso che il magistero è parola di uomo, mentre la coscienza è voce di Dio". E qui voglio citare un discorso fatto e pubblicato recentemente da Mons. K. Sowlin, vescovo in Sudafrica, ai suoi cristiani: "Più in alto del Papa come potere vincolante dell'autorità ecclesiastica, sta la propria coscienza, cui si deve obbedire prima di ogni altra cosa, se necessario anche contro le richieste della stessa autorità". Una tesi questa tanto antica, quasi rivoluzionaria, sostenuta da un insospettabile, grande teologo, Joseph Ratzinger, quando nel 1962-65 era esperto al Concilio Vaticano II. Si dirà: ma proprio lui che nel 2005 sarebbe diventato il Papa Benedetto XVI? Sì, allora 1968 così affermava. Ammettiamo pure che anche la sedia pontificale, e il ruolo fanno la persona, la cambiano, o anche la maturano, però non al punto da metterla in contraddizione con se stessa e da causarle un ribaltone. Quindi quanto Ratzinger affermò qualche decennio fa resta sostanzialmente valido anche oggi. Il tutto comunque si fonda sul passo classico di Paolo quando nella lettera ai Romani(14,2-6) dichiara essere la propria coscienza norma della propria condotta. Premesso questo aspetto, cioè la priorità della coscienza sull'autorità, non bisogna però concludere che quest'ultima (l'autorità) non abbia nessun rapporto con la prima (la coscienza). Solo che il compito dell'autorità sta nel formare la coscienza dei singoli e della comunità, non di sostituirla. Formarla in modo propositivo e non impositivo, diversamente raccoglie reazioni opposte. Se oggi ad esempio la chiesa entra nella società a gamba tesa e pretende interdire divorzio, aborto, procreazione assistita, legalizzazione, coppie di fatto, ecc.., può per reazione ottenere esattamente l’opposto. Essa deve formare quello che da sempre veniva chiamato (e oggi non si cita più): "sensus fidelium, " cioè sentimento e sensibilità dei fedeli. E qui si apre un altro capitolo, o meglio si amplia quello precedente. Che nella chiesa l'autorità non può essere separata dalla "sinodalità", cioè dal sentire di gruppo, dalla corresponsabilità di comunità, quindi non solo dagli addetti ai lavori, o dai residenti nei palazzi alti, ma dal consenso per quanto possibile della totalità e dell'universalità dei fedeli, anche se implicito e non sempre conclamato. In un recente dibattito televisivo un esperto vaticanista, di primo piano nella stampa e nei media, ebbe a dire che l'ultimo pronunciamento di Papa Ratzinger, in cui permette il condom preservativo nei casi di necessità, a lui e a molti credenti sa di intervento blitz sulla scena mondiale, cioè solitario e monarchico. Vale a dire non è stato premesso un ampio dibattito sinodale fra il suo gremio (Cardinali-vescovi) e la base dell’ecclesia, cioè della comunità. Nel senso che mentre l'anno precedente, nel suo viaggio in Africa il pontefice aveva chiuso al preservativo, improvvisamente e di sua iniziativa ora decide di aprire. Sia pure con tutte le riserve del caso, ampliate dai suoi giornalisti interpreti. Di qui il nostro interlocutore (ma non è voce isolata, né un anticlericale) ravvisa un camminare solitario dell'autorità papale, senza dialogo e senza ascolto della comunità ecclesiale. E si augura che nella chiesa si arrivi a riconoscere e ad aprirsi ad una nuova fase di pensare e di realizzare, fin dai livelli più bassi della vita della chiesa, un esercizio sinodale (o di gruppo) dell'autorità. Insomma l'autorità non può che fare rima con sinodalità.
Anche “il sentire dei fedeli” è una forma di autorità.
 E' questa la conclusione cui sono giunti anche i partecipanti al convegno "L'autorità nella chiesa e la libertà del cristiano", promosso dalla Federazione Universitari cattolici l’11 novembre 2010 presso l'Università Cattolica di Milano. Il senso dei fedeli citato sopra è infatti la voce della chiesa, non è libertà contro l'autorità, ma è esso stesso autorità. Di qui si conclude che è la chiesa intera, l'insieme di tutti i battezzati a godere del carattere dell'infallibilità. Come affermato anche nella Lumen Gentium (= Luce delle Genti), Costituzione del Concilio Vaticano ecumenico al capo 12: Non è il Papa da solo, ma la chiesa nel suo insieme ad essere infallibile. Compito della chiesa gerarchica quindi non è di obbligare ad un consenso silenzioso ed artificiale in nome della comunione ecclesiale, ma quello di educare alla riflessione e alla autonomia personale. Questo tipo di impegno alla chiesa non toglie nulla, ma fa crescere il popolo nella conoscenza dei valori autentici e nel viverli senza contraffazione e secondi interessi. Che in Italia invece vi regni questa babilonia, si registri un ammanco di convinzioni sia nella politica, come nella società, come nella vita religiosa, è frutto di una subcultura che riduce culto e legalità ad espressioni devozionali e baciamano strumentali. La coscienza ridotta ad uno straccio, altro che la coscienza prima di tutto. Per trovare un po’ di coscienza civica, morale e religiosa sarebbe opportuno spostarsi e vivere per un po' di tempo nei paesi protestanti. Commedie del genere e furbate se ne vedono molto meno.

Autore:
Albino Michelin
17.12.2010

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