martedì 15 marzo 2016

LA SALMA DI PADRE PIO A ROMA: FASCINO DI SANTI O STRATEGIA?

Nella prima settimana di marzo di quest’anno 2016 la salma di P.Pio da Pietrelcina è stata trasportata a Roma da S. Giovanni Rotondo per assecondare la devozione popolare in occasione dell’anno giubilare della Misericordia. Unitamente ai resti di San Leopoldo Mandic di Castelnovo, pure cappuccino sepolto nel convento di Padova, entrambi avendo dedicato molta parte della loro vita alla distribuzione della misericordia attraverso la confessione privata. Dal 3 al 12 febbraio u. s. moltitudini di gente ovviamente sono andate in delirio, specie alla vista delle reliquie di P.Pio, strofinando sulla teca santini, indumenti, banconote, per ottenere prodigi e miracoli. Da premettere subito che nessuno mette in discussione il rispetto dovuto a queste figure, testimoni della loro vocazione e del loro dovere. Discussioni invece e reazioni parecchie sono sorte circa l’idea, il modo, la gestione di questa sacra tournée. Anzitutto l’idea si inserisce nel quadro più ampio del giubileo della misericordia, indetto da Papa Francesco nel marzo del 2015, con inizio l’8 dicembre e chiusura il 20 novembre 2016. Anche per evitare emotività da entrambe le parti di segno opposto, cioè dagli adoratori e dai contestatori, va detto che papa Francesco ha annunciato l’iniziativa espressamente come giubileo diffuso. Cioè non si tratta di una sagra romanocentrica, ma un’occasione di far passare l’evento a tutte le periferie del mondo. In effetti, secondo sue precise intenzioni, il giubileo o indulgenza plenaria si può lucrare ovunque anche davanti alla porta di casa, in tutte le diocesi e santuari ad hoc deputati. Un giubileo centrifugo e non centripeto. Tant’è vero che la prima porta santa non è stata aperta in San Pietro, come da ormai millenaria tradizione, ma nel Centro dell’Africa il 29 novembre, cioè una settimana prima dell’inizio ufficiale. In coerenza con il suo pontificato ciò significa che egli volle dare un segnale chiaro, di non ripetere sfarzi e folclore dell’anno santo 2000 sotto papa Wojtyla. Bergoglio diede anche l’incarico di coordinare il tutto a Mons.Fisichella, presidente della “nuova” evangelizzazione. Questi, non ostante il desiderio di Bergoglio di decentralizzare, annunciò subito a tutto il mondo via etere che la città eterna è pronta e apporterà nuove adeguate strutture per accogliere pellegrini dai quattro angoli della terra. Così Roma, mafia capitale infetta ne approfitterà per rifarsi dal malaffare e dal collasso. Che avrebbe dovuto fare Bergoglio? Molti su twitter hanno fatto circolare espressioni le più svariate, di cui una sintesi: ”trovo di dubbio gusto questa esposizione romana (siamo tornati alle superstizioni medievali di rivalsa antiprotestante). Molto dispiaciuto del teatro attorno a P.Pio e al suo cadavere: indegno, superstizione, maleducazione per i credenti. Da Papa Francesco mi aspettavo di meglio. Fa dubitare che il suo rinnovamento sia solo fumo che cerca il consenso della gente e facile popolarità”. Tentiamo una risposta che ci sembra più consona alla coerenza di Francesco. Si sa che non si possono fare riforme subito, tutte e su tutto. Bisogna pur concedere qualcosa per non rompere e non perdere tutto. Sono noti i dissensi all’interno della Curia vaticana (lo disse più volte egli stesso) nei confronti delle sue riforme, come dei cardinali, di molti vescovi, di buona parte del clero e dei tanti cattolici integralisti. Bergoglio certo vuole fare la sua strada, ma in modo soft senza irritare la parte conservatrice della chiesa. Ciò premesso, la commissione Fisichella escogitò forme di richiamo, la prima quella di organizzare una sacra passerella-corteo con le due salme imbalsamate per le vie di Roma e nel massimo tempio della cristianità. Frutto anche di una pressione dei gruppi di preghiera di P.Pio, sparsi un po’ in tutto il mondo, che coordinati dal cappuccino P.Morra lanciò per primo l’idea di un “Padre-Pioday”. Certo, il papa se l’aggregò e ovviamente la caldeggiò come propria. Ma anche qui che cosa avrebbe dovuto rispondere? Deludere tutti questi cattolici osannanti e gasati? Consigliarli di pellegrinare nel luogo della sua tomba in quel di S.Giovanni Rotondo? Ovviamente esiste anche una rilevante aliquota fra gli stessi devoti del Santo, come sopra accennato, i quali hanno considerato inopportuno disturbo questa iniziativa. Scherza con i fanti e lascia stare i santi. E qui osservazioni e critiche si sprecano.
                                      Rischi di feticismo e mercato delle reliquie
Per allargare la visuale, un po’ di sobrietà sarebbe necessaria su questa infinità di teschi, crani e mandibole sotto gli altari delle chiese, della lingua di S.Antonio, del sangue di S.Gennaro, dei trecento chiodi della croce di Gesù, delle centinaia di spine del suo capo sparse nel mondo, del latte della Madonna e delle piume dell’angelo Gabriele conservate nella chiesa di Misinto, in provincia di Milano, e chi più ne ha più ne metta. Spesso un mercato irriverente. Forse una strategia per trattenere i creduli e le anime semplici? Sarebbe uno stato di salute del cattolicismo un po’ precario. Lutero, di cui il prossimo anno si celebra il quinto centenario della sua riforma, pure sfavorevole a reliquie e indulgenze, non aveva poi tutti i torti. Nemmeno tutti i torti aveva lo scrittore della Bibbia (Esodo 20,6), quando ingiungeva: ”non ti farai idolo e immagine alcuna che è lassù nel cielo e quaggiù sulla terra. Non ti prostrerai davanti a loro perché io sono il tuo Dio, un Dio geloso”. Una seconda motivazione, che potrebbe sottostare al richiamo di pellegrini a Roma con l’esposizione della salma dei nostri due santi confessori, potrebbe essere appunto il ricupero e il rilancio della confessione e della figura del prete in quanto confessore. Tutti costatano che il ruolo di quest’ ultimo è in calo e la confessione lo è ancor di più. La gente oggi preferisce o non confessarsi a nessuno, eccetto in TV, o confessarsi direttamente a Dio, o preferisce conversare dei propri problemi di coscienza con un psicologo o con un teologo, in quanto si sente maggiormente capita e a proprio agio, senza giudizi e senza rampogne. E nella indizione dell’anno della Misericordia di Papa Francesco da parte di molti si tende a fare un decalage. Cioè mentre egli sottolinea soprattutto di passare dalla misericordia di Dio verso di noi alla misericordia nostra verso i poveri, gli sfruttati, i profughi, gli emigrati, i disoccupati, i torturati, i senza tetto, contro le guerre, cc. Una certa parte di chiesa tende a ridurre tutto questo alla confessione privata presso un sacerdote e connessa con l’indulgenza plenaria che si acquisterebbe alla visita di una chiesa o santuario. Papa Francesco disse che pure lui si confessa spesso, ma qui è legittimo fare una distinzione tra confessione libera scelta a scopo devozionale ad incremento della propria spiritualità e confessione obbligata al raggiungimento di uno scopo, sia esso il perdono dei peccati o l’acquisizione dell’indulgenza. Anziché confessione oggi si preferisce chiamarla riconciliazione, però è solo cambiamento di vocabolo, di contenitore, mentre i contenuti rimangono gli stessi. In effetti questa sarebbe una decisione che permette pure qualche domanda: che senso avrebbe per quest’anno un perdono a sottoprezzo, quando si viene dal passato o si ritornerà l’anno prossimo ad un perdono sovraprezzo? Esempio tipico: la donna che ha abortito, cioè la scomunicata (canone ecclesiastico 1398) per ottenere l’assoluzione prima del giubileo doveva presentarsi al vescovo o ad un suo incaricato, entro un mese. Quest’anno invece basta si confessi al primo pretino o fraticello per sentirsi assolta, senza tanto pellegrinare dal vescovo o da chi per lui. Ma terminato il giubileo dovrà tornare a ripetere la maratona di sempre. Come si può concepire una remissione degli stessi peccati a, oggi a tutto sconto, domani con una sovrattassa? Questa autoreferenzialità della chiesa non lascia un po’ perplessi sul ruolo ridimensionato della propria coscienza, sullo spazio sottratto a Dio, che solo può perdonare, e sulla mediazione indispensabile del clero in materia? E’ una domanda che si pongono pure molti teologi qualificati, di cui già è nota la risposta. Anzi c’è di più: Papa Francesco potrebbe decidere quest’anno (cosa che curia e clero non gli consentirebbero) di ritenere valida e sacramentale l’assoluzione comunitaria prima di ogni messa, o alla fine di riunioni penitenziali di gruppo in cui si premette un esame e una formazione di coscienza, dopo di che il prete impartisce l’assoluzione generale come rappresentante della comunità. E chi fosse pentito viene perdonato, e chi non lo fosse se ne ritorna a casa come prima. Questa forma penitenziale un vantaggio ce l’ha: quello di riscoprire l’importanza della coscienza, che specie per i cattolici italiani è un’araba fenice. In effetti per molti è più semplice una confessione dal prete, una recita mnemonica di routine e si ritorna e vivere bellamente con i propri vizi e virtù di sempre. Quando Gesù disse “a chi rimetterete i peccati saranno rimessi” (Giov.20,23) intendeva anche l’assoluzione di gruppo oppure un tribunale privato (definito poi così dal concilio di Trento nel 1560), in cui il penitente diventa il reo e il prete diventa il giudice? Anche questa è una domanda che si potrebbe indirizzare all’autoreferenzialità della chiesa. A conferma di ciò non si dimentichi che lo stesso Canone ai nr.961-2-3 ammette l’assoluzione generale in casi di necessità, come potrebbe essere, e non solo, a un battaglione di soldati prima di un assalto al fronte. In mancanza di tempo il cappellano militare impartisce come in passato l’assoluzione comunitaria. Certo il giudizio di necessità è soggettivo, basterebbe anche il giudizio di opportunità come su citato. Nel qual caso potrebbe anche essere concesso dai singoli vescovi, tanto che Bergoglio nella sua “Evangelii Gaudium” prospetta una maggiore decentralizzazione delle diocesi e considera i vescovi muniti anche di autorità dottrinale.
Questi potrebbero essere (fra gli altri) tre motivi dell’esposizione della salma di Padre Pio a Roma, per cui da un giubileo per le periferie voluto da Bergoglio si è tornati ad un giubileo romanocentrico: la rivalutazione della città eterna e papale, che attende escursioni a gogò, il ricupero della confessione, il ruolo del prete. Applicazioni un po’ troppo riduttive per un anno giubilare dalla dimensione di misericordia universale.

Autore:
Albino Michelin
01.03.2016

Nessun commento:

Posta un commento